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2021-10-16
La piazza «apolitica» diventa un comizio. Così persino Calenda scarica la Cgil
Carlo Calenda (Ansa)
È arrivato il giorno della manifestazione dei sindacati: oggi alle 14, in Piazza San Giovanni, a Roma, è in programma l'iniziativa organizzata da Cgil, Cisl e Uil dopo l'assalto di Forza nuova alla sede della Cgil di sabato scorso. Una manifestazione che doveva avere come piattaforma «Mai più fascismi», ma che ha preso una netta piega politica. Innanzitutto, la concomitanza con la vigilia dei ballottaggi rende inevitabilmente la piazza di oggi un raduno che potrebbe avere un peso elettorale, soprattutto se, come sarà inevitabile, la copertura dei media sarà totale e le parole d'ordine saranno contro la destra, o come amano dire i sedicenti progressisti, «le destre». Inoltre, i temi che caratterizzeranno la manifestazione sono tutti politici, come ha fatto notare Carlo Calenda, che ha pubblicato su Twitter il manifesto della Fiom Cgil che lo ha convinto a ritirare la sua adesione alla manifestazione di oggi. «Avevamo dato», scrive Calenda, «la piena adesione a una manifestazione contro il vile assalto squadrista alla sede della Cgil. Ma se diventa una manifestazione anche per la riduzione dell'età pensionabile e altre amenità allora noi non ci saremo. Occorre chiarire. E tuttavia è un peccato che non si riesca, per una volta, a dare un segnale tutti insieme, socialisti, liberali e popolari contro la violenza politica. Io avevo aderito alla manifestazione immediatamente», aggiunge Calenda a La 7, «i sindacati sono una istituzione democratica e vanno preservati, una manifestazione contro un gesto di violenza fascista aperta a tutti. Ora mi trovo non più solo quello ma una piattaforma politica e sociale, secondo me completamente sbagliata, che non può esserci se si vuole fare una grande manifestazione di tutti, dove dovrebbero esserci anche i rappresentanti della destra».
Ma vediamola, questa piattaforma della Fiom che ha fatto fare marcia indietro a Calenda, convincendolo a non partecipare: «Occorre scendere in piazza», scrive la Fiom, «contro ogni forma di fascismo e di violenza e per lo scioglimento immediato di tutte le organizzazioni di matrice neofascista e neonazista. Per riaffermare il lavoro e il sindacato confederale, fondamento e presidio democratico della Repubblica, baluardo dei valori e dei principi costituzionali». E fin qui, ci siamo. Poi inizia il programma politico: «Per aprire con il governo», precisa la Fiom, «un confronto in grado di dare risposte al disagio sociale e alle disuguaglianze, terreno fertile delle paure e dell'individualismo. Per affermare il diritto di lavorare in sicurezza, rafforzando la prevenzione nei luoghi di lavoro, sanzionando le imprese inadempienti. Per estendere i diritti e superare la precarietà stabilizzando i rapporti di lavoro. Per risolvere», si legge ancora nel manifesto, «le numerose crisi industriali e occupazionali, rilanciare gli investimenti pubblici e privati, definire una politica industriale sostenibile sul piano sociale e ambientale. Per un confronto urgente e preventivo con il governo finalizzato ad allargare le protezioni sociali, estendere e migliorare il welfare, investire nella sanità pubblica. Per riformare in senso universalistico gli ammortizzatori sociali, redistribuire il lavoro e difendere l'occupazione. Per ridurre l'età pensionabile», scrive la Fiom, «introducendo elementi di flessibilità in uscita (41 anni di contribuzione o 62 anni di età anagrafica), con particolare attenzione ai lavori gravosi e usuranti, introdurre una pensione di garanzia per le giovani generazioni. Per contrastare evasione ed elusione fiscale e contributiva, abbassare la tassazione sul lavoro dipendente, ricostruire una progressività del prelievo fiscale per ridurre le disuguaglianze di reddito e finanziare la spesa sociale». Mancano solo lo ius soli e la legge Zan.
Altro che lontana dalla politica! La piattaforma della manifestazione, a leggere questo manifesto, è un vero e proprio programma elettorale di un partito di sinistra, e quel che è ancora più curioso, un elenco di punti che con il fascismo, il nazismo e così via non ha proprio nulla a che fare. Che c'entra la riduzione dell'età pensionabile con la lotta al fascismo? E la riforma degli ammortizzatori sociali? La progressività del prelievo fiscale? Non si sa. Quello che si sa, è che un merito alla Fiom Cgil va riconosciuto: quello di aver chiarito che la manifestazione di oggi a Roma è una iniziativa tutta politica, con parole d'ordine che non solo non uniscono, ma anzi dividono, poiché su temi come quelli delle pensioni, degli ammortizzatori sociali, delle tasse, centrodestra e centrosinistra hanno visioni totalmente differenti, e anche nelle stesse coalizioni non tutti i partiti la pensano alla stessa maniera, come dimostra la presa di posizione di Calenda.
«Sarà una manifestazione di parte. La mia proposta», spiega a Radio24 il leader della Lega, Matteo Salvini, «è lavoriamo insieme per isolare i violenti, di destra, di sinistra, senza andare alla guerra». «È una manifestazione autenticamente sindacale», gli risponde parlando a Rainews24 il leader della Cisl, Luigi Sbarra, «libera, democratica, lontana dalle sirene dei partiti e della politica». Lontana dalla politica? Ci vuole un bel coraggio per affermare una cosa del genere, considerato quanto sostiene la Fiom. Coraggio che non manca neanche al segretario del Pd, Enrico Letta: «Non c'è nessuna strumentalizzazione della piazza», afferma Letta, «c'è da parte di tutti noi la voglia di dimostrare la solidarietà alla Cgil per l'aggressione vile, squadrista, fascista di cui è stata oggetto la Cgil sabato sera e la nostra presenza senza bandiere, semplicemente con il tricolore. Non c'è nessuna strumentalizzazione e non avrà nessun impatto elettorale». Una barzelletta che non fa ridere.
Per Brusaferro il Covid è domato. Allora a che serve il foglio verde?
Dio benedica il sempre placido Silvio Brusaferro, il presidente mono-espressione dell'Istituto superiore di sanità (Iss) che ieri ha illuminato la cupezza del green pass day con dati assai incoraggianti sulla decrescita italiana della pandemia cinese. «Il nostro Paese è in progressivo e lento miglioramento e ha un'incidenza tra le più contenute d'Europa», ha riassunto il medico friulano, che è anche il portavoce dell'eroico Comitato tecnico scientifico, incaricato di spiegare vita, morte e miracoli del virus al ministro Roberto Speranza affinché egli possa ponderare le sue scelte. Scherzi del calendario. Mentre il governo dei migliori, unico nel mondo, impone il certificato vaccinale e i tamponi a tutti i lavoratori, badanti comprese, come se fossimo in piena tragedia, il maggior tecnico di governo dice che va tutto bene e che va anche sempre meglio. Poi, certo, vista l'assenza di un minimo di obiettività sul green pass, nel giro di poche ore si alzerà di certo qualche cervellone per spiegarci che il merito di questo arretramento dei contagi è ovviamente di questo certificato che ha riscritto la Costituzione.
Il venerdì di caos e paura per il giro di vite sul green pass avrebbe avuto bisogno di qualche notizia che rafforzasse il clima (artefatto) da emergenza. In assenza di ricoveri e morti in aumento, o di terapie intensive prese d'assalto, ci sarebbe voluto un colpo di genio ansiogeno alla Rocco Casalino, lo spin doctor dell'ex premier Giuseppe Conte che sapeva come aggiungere il giusto pathos alla tragedia del primo lockdown. In assenza di una qualche storia drammatica ma edificante, come un'intera famiglia senza green pass che si pente della scelta eversiva mentre è in fila per la mensa della Caritas, ecco che passa il canuto Brusaferro e spande ottimismo sul weekend. Nell'incontro settimanale con la stampa, ha affermato che «c'è in Italia un progressivo lento miglioramento e ciò caratterizza anche altri Stati europei anche se in alcuni la circolazione del virus è forte, ma il nostro paese ha una circolazione del virus tra i più contenuti in Europa e siamo in una fase di decrescita dei casi, in tutte le fasce di età». Brusaferro ha anche spiegato che l'età media di chi oggi prende il Covid è di 40 anni, mentre chi finisce in terapia intensiva ha mediamente 66 anni e chi ci rimette la vita 81.
Sarà per caso merito del green pass, che introducendo un obbligo surrettizio di vaccinazione ha spinto centinaia di migliaia di renitenti tra le braccia del generale Francesco Paolo Figliuolo? Ecco, non proprio. Venerdì scorso, lo stesso Brusaferro spiegava che per la diminuzione dei contagi era stato fondamentale «il dato delle vaccinazioni», arrivato all'85% nella fascia 20-29 anni e al 90% in quella 60-69. Insomma, ricapitolando, l'Italia si conferma una delle nazioni d'Europa e del mondo con i tassi di vaccinazioni più elevati e, allo stesso tempo, non c'è più alcuna «emergenza Covid», come testimonia anche un semplice giro nei pronto soccorso. E tuttavia il governo riesce a innescare una mezza emergenza democratica imponendo il green pass a un popolo di vaccinati. Un esperimento di controllo sociale praticamente unico in Occidente, involontariamente disturbato, nel suo giorno più importante, dal pacato ottimismo di Brusaferro.
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Il fascismo è una scusa: oggi, a urne aperte, il sindacato lancerà un programma politico, tra ecologia, lotta all'evasione e pensioni.Il capo dell'Iss: «Incidenza tra le più basse d'Europa». Ma Chigi tira dritto sulla card.Lo speciale contiene due articoli.È arrivato il giorno della manifestazione dei sindacati: oggi alle 14, in Piazza San Giovanni, a Roma, è in programma l'iniziativa organizzata da Cgil, Cisl e Uil dopo l'assalto di Forza nuova alla sede della Cgil di sabato scorso. Una manifestazione che doveva avere come piattaforma «Mai più fascismi», ma che ha preso una netta piega politica. Innanzitutto, la concomitanza con la vigilia dei ballottaggi rende inevitabilmente la piazza di oggi un raduno che potrebbe avere un peso elettorale, soprattutto se, come sarà inevitabile, la copertura dei media sarà totale e le parole d'ordine saranno contro la destra, o come amano dire i sedicenti progressisti, «le destre». Inoltre, i temi che caratterizzeranno la manifestazione sono tutti politici, come ha fatto notare Carlo Calenda, che ha pubblicato su Twitter il manifesto della Fiom Cgil che lo ha convinto a ritirare la sua adesione alla manifestazione di oggi. «Avevamo dato», scrive Calenda, «la piena adesione a una manifestazione contro il vile assalto squadrista alla sede della Cgil. Ma se diventa una manifestazione anche per la riduzione dell'età pensionabile e altre amenità allora noi non ci saremo. Occorre chiarire. E tuttavia è un peccato che non si riesca, per una volta, a dare un segnale tutti insieme, socialisti, liberali e popolari contro la violenza politica. Io avevo aderito alla manifestazione immediatamente», aggiunge Calenda a La 7, «i sindacati sono una istituzione democratica e vanno preservati, una manifestazione contro un gesto di violenza fascista aperta a tutti. Ora mi trovo non più solo quello ma una piattaforma politica e sociale, secondo me completamente sbagliata, che non può esserci se si vuole fare una grande manifestazione di tutti, dove dovrebbero esserci anche i rappresentanti della destra». Ma vediamola, questa piattaforma della Fiom che ha fatto fare marcia indietro a Calenda, convincendolo a non partecipare: «Occorre scendere in piazza», scrive la Fiom, «contro ogni forma di fascismo e di violenza e per lo scioglimento immediato di tutte le organizzazioni di matrice neofascista e neonazista. Per riaffermare il lavoro e il sindacato confederale, fondamento e presidio democratico della Repubblica, baluardo dei valori e dei principi costituzionali». E fin qui, ci siamo. Poi inizia il programma politico: «Per aprire con il governo», precisa la Fiom, «un confronto in grado di dare risposte al disagio sociale e alle disuguaglianze, terreno fertile delle paure e dell'individualismo. Per affermare il diritto di lavorare in sicurezza, rafforzando la prevenzione nei luoghi di lavoro, sanzionando le imprese inadempienti. Per estendere i diritti e superare la precarietà stabilizzando i rapporti di lavoro. Per risolvere», si legge ancora nel manifesto, «le numerose crisi industriali e occupazionali, rilanciare gli investimenti pubblici e privati, definire una politica industriale sostenibile sul piano sociale e ambientale. Per un confronto urgente e preventivo con il governo finalizzato ad allargare le protezioni sociali, estendere e migliorare il welfare, investire nella sanità pubblica. Per riformare in senso universalistico gli ammortizzatori sociali, redistribuire il lavoro e difendere l'occupazione. Per ridurre l'età pensionabile», scrive la Fiom, «introducendo elementi di flessibilità in uscita (41 anni di contribuzione o 62 anni di età anagrafica), con particolare attenzione ai lavori gravosi e usuranti, introdurre una pensione di garanzia per le giovani generazioni. Per contrastare evasione ed elusione fiscale e contributiva, abbassare la tassazione sul lavoro dipendente, ricostruire una progressività del prelievo fiscale per ridurre le disuguaglianze di reddito e finanziare la spesa sociale». Mancano solo lo ius soli e la legge Zan. Altro che lontana dalla politica! La piattaforma della manifestazione, a leggere questo manifesto, è un vero e proprio programma elettorale di un partito di sinistra, e quel che è ancora più curioso, un elenco di punti che con il fascismo, il nazismo e così via non ha proprio nulla a che fare. Che c'entra la riduzione dell'età pensionabile con la lotta al fascismo? E la riforma degli ammortizzatori sociali? La progressività del prelievo fiscale? Non si sa. Quello che si sa, è che un merito alla Fiom Cgil va riconosciuto: quello di aver chiarito che la manifestazione di oggi a Roma è una iniziativa tutta politica, con parole d'ordine che non solo non uniscono, ma anzi dividono, poiché su temi come quelli delle pensioni, degli ammortizzatori sociali, delle tasse, centrodestra e centrosinistra hanno visioni totalmente differenti, e anche nelle stesse coalizioni non tutti i partiti la pensano alla stessa maniera, come dimostra la presa di posizione di Calenda. «Sarà una manifestazione di parte. La mia proposta», spiega a Radio24 il leader della Lega, Matteo Salvini, «è lavoriamo insieme per isolare i violenti, di destra, di sinistra, senza andare alla guerra». «È una manifestazione autenticamente sindacale», gli risponde parlando a Rainews24 il leader della Cisl, Luigi Sbarra, «libera, democratica, lontana dalle sirene dei partiti e della politica». Lontana dalla politica? Ci vuole un bel coraggio per affermare una cosa del genere, considerato quanto sostiene la Fiom. Coraggio che non manca neanche al segretario del Pd, Enrico Letta: «Non c'è nessuna strumentalizzazione della piazza», afferma Letta, «c'è da parte di tutti noi la voglia di dimostrare la solidarietà alla Cgil per l'aggressione vile, squadrista, fascista di cui è stata oggetto la Cgil sabato sera e la nostra presenza senza bandiere, semplicemente con il tricolore. Non c'è nessuna strumentalizzazione e non avrà nessun impatto elettorale». Una barzelletta che non fa ridere. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-piazza-apolitica-diventa-un-comizio-cosi-persino-calenda-scarica-la-cgil-2655307166.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-brusaferro-il-covid-e-domato-allora-a-che-serve-il-foglio-verde" data-post-id="2655307166" data-published-at="1634326500" data-use-pagination="False"> Per Brusaferro il Covid è domato. Allora a che serve il foglio verde? Dio benedica il sempre placido Silvio Brusaferro, il presidente mono-espressione dell'Istituto superiore di sanità (Iss) che ieri ha illuminato la cupezza del green pass day con dati assai incoraggianti sulla decrescita italiana della pandemia cinese. «Il nostro Paese è in progressivo e lento miglioramento e ha un'incidenza tra le più contenute d'Europa», ha riassunto il medico friulano, che è anche il portavoce dell'eroico Comitato tecnico scientifico, incaricato di spiegare vita, morte e miracoli del virus al ministro Roberto Speranza affinché egli possa ponderare le sue scelte. Scherzi del calendario. Mentre il governo dei migliori, unico nel mondo, impone il certificato vaccinale e i tamponi a tutti i lavoratori, badanti comprese, come se fossimo in piena tragedia, il maggior tecnico di governo dice che va tutto bene e che va anche sempre meglio. Poi, certo, vista l'assenza di un minimo di obiettività sul green pass, nel giro di poche ore si alzerà di certo qualche cervellone per spiegarci che il merito di questo arretramento dei contagi è ovviamente di questo certificato che ha riscritto la Costituzione. Il venerdì di caos e paura per il giro di vite sul green pass avrebbe avuto bisogno di qualche notizia che rafforzasse il clima (artefatto) da emergenza. In assenza di ricoveri e morti in aumento, o di terapie intensive prese d'assalto, ci sarebbe voluto un colpo di genio ansiogeno alla Rocco Casalino, lo spin doctor dell'ex premier Giuseppe Conte che sapeva come aggiungere il giusto pathos alla tragedia del primo lockdown. In assenza di una qualche storia drammatica ma edificante, come un'intera famiglia senza green pass che si pente della scelta eversiva mentre è in fila per la mensa della Caritas, ecco che passa il canuto Brusaferro e spande ottimismo sul weekend. Nell'incontro settimanale con la stampa, ha affermato che «c'è in Italia un progressivo lento miglioramento e ciò caratterizza anche altri Stati europei anche se in alcuni la circolazione del virus è forte, ma il nostro paese ha una circolazione del virus tra i più contenuti in Europa e siamo in una fase di decrescita dei casi, in tutte le fasce di età». Brusaferro ha anche spiegato che l'età media di chi oggi prende il Covid è di 40 anni, mentre chi finisce in terapia intensiva ha mediamente 66 anni e chi ci rimette la vita 81. Sarà per caso merito del green pass, che introducendo un obbligo surrettizio di vaccinazione ha spinto centinaia di migliaia di renitenti tra le braccia del generale Francesco Paolo Figliuolo? Ecco, non proprio. Venerdì scorso, lo stesso Brusaferro spiegava che per la diminuzione dei contagi era stato fondamentale «il dato delle vaccinazioni», arrivato all'85% nella fascia 20-29 anni e al 90% in quella 60-69. Insomma, ricapitolando, l'Italia si conferma una delle nazioni d'Europa e del mondo con i tassi di vaccinazioni più elevati e, allo stesso tempo, non c'è più alcuna «emergenza Covid», come testimonia anche un semplice giro nei pronto soccorso. E tuttavia il governo riesce a innescare una mezza emergenza democratica imponendo il green pass a un popolo di vaccinati. Un esperimento di controllo sociale praticamente unico in Occidente, involontariamente disturbato, nel suo giorno più importante, dal pacato ottimismo di Brusaferro.
Friedrich Merz (Ansa)
Il dissenso della gioventù aveva provocato forti tensioni all’interno della maggioranza tanto da far rischiare la prima crisi di governo seria per Merz. Il via libera del parlamento tedesco, dunque, segna di fatto una crisi politica enorme e pure lo scollamento della democrazia tra maggioranza effettiva e maggioranza dopata. Come già era accaduto in Francia, la materia pensionistica è l’iceberg contro cui si schiantano i… Titanic: Macron prima, Merz adesso. Il presidente francese sulle pensioni ha visto la rottura dei suoi governi per l’incalzare di rivolte popolari e questo in carica guidato da Lecornu ha dovuto congelare la materia per non lasciarci le penne. Del resto in Europa non è il solo che naviga a vista, non curante della sfiducia nel Paese: in Spagna il governo Sánchez è in piena crisi di consensi per i casi di corruzione scoppiati nel partito e in casa, e pure l’accordo coi i catalani e coi baschi rischia di far deragliare l’esecutivo sulla finanziaria. In Olanda non c’è ancora un governo. In Belgio il primo ministro De Wever ha chiesto altro tempo al re Filippo per superare lo stallo sulla legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue. In Germania - dicevamo - il governo si è salvato per l’appoggio determinante della sinistra radicale, aprendo quindi un tema politico che lascerà strascichi dei quali beneficerà Afd, partito assai attrattivo proprio tra i giovani.
I tre voti con i quali Merz si è salvato peseranno tantissimo e manterranno acceso il dibattito proprio su una questione ancestrale: l’aumento del debito pubblico. «Questo disegno di legge va contro le mie convinzioni fondamentali, contro tutto ciò per cui sono entrato in politica», ha dichiarato a nome della Junge Union Gruppe Pascal Reddig durante il dibattito. Lui è uno dei diciotto che avrebbe voluto affossare la stabilizzazione previdenziale anche a costo di mandare sotto il governo: il gruppo dei giovani non aveva mai preso in considerazione l’idea di caricare sulle spalle delle future generazioni 115 miliardi di costi aggiuntivi a partire dal 2031.
E senza quei 18 sì, il governo sarebbe finito al tappeto. Quindi ecco la solita minestrina riscaldata della sopravvivenza politica a qualsiasi costo: l’astensione dai banchi dell’opposizione del partito di estrema sinistra Die Linke, per effetto della quale si è ridotto il numero di voti necessari per l'approvazione. E i giovani? E le loro idee?
Merz ha affermato che le preoccupazioni della Junge Union saranno prese in considerazione in una revisione più ampia del sistema pensionistico prevista per il 2026, che affronterà anche la spinosa questione dell'innalzamento dell'età pensionabile. Un bel modo per cercare di salvare il salvabile. Anche se ora arriva pure la tegola della riforma della leva: il parlamento tedesco ha infatti approvato la modernizzazione del servizio militare nel Paese, introducendo una visita medica obbligatoria per i giovani diciottenni e la possibilità di ripristinare la leva obbligatoria in caso di carenza di volontari. Un altro passo verso la piena militarizzazione, materia su cui l’opinione pubblica tedesca è in profondo disaccordo e che Afd sta cavalcando. Sempre che la democrazia non deciderà di fermare Afd…
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«The Rainmaker» (Sky)
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Mentre l’Europa è strangolata da una crisi industriale senza precedenti, la Commissione europea offre alla casa automobilistica tedesca una tregua dalle misure anti-sovvenzioni. Questo armistizio, richiesto da VW Anhui, che produce il modello Cupra in Cina, rappresenta la chiusura del cerchio della de-industrializzazione europea. Attualmente, la VW paga un dazio anti-sovvenzione del 20,7 per cento sui modelli Cupra fabbricati in Cina, che si aggiunge alla tariffa base del 10 per cento. L’offerta di VW, avanzata attraverso la sua sussidiaria Seat/Cupra, propone, in alternativa al dazio, una quota di importazione annuale e un prezzo minimo di importazione, meccanismi che, se accettati da Bruxelles, esenterebbero il colosso tedesco dal pagare i dazi. Non si tratta di una congiuntura, ma di un disegno premeditato. Pochi giorni fa, la stessa Volkswagen ha annunciato come un trionfo di essere in grado di produrre veicoli elettrici interamente sviluppati e realizzati in Cina per la metà del costo rispetto alla produzione in Europa, grazie alle efficienze della catena di approvvigionamento, all’acquisto di batterie e ai costi del lavoro notevolmente inferiori. Per dare un’idea della voragine competitiva, secondo una analisi Reuters del 2024 un operaio VW tedesco costa in media 59 euro l’ora, contro i soli 3 dollari l’ora in Cina. L’intera base produttiva europea è già in ginocchio. La pressione dei sindacati e dei politici tedeschi per produrre veicoli elettrici in patria, nel tentativo di tutelare i posti di lavoro, si è trasformata in un calice avvelenato, secondo una azzeccata espressione dell’analista Justin Cox.
I dati sono impietosi: l’utilizzo medio della capacità produttiva nelle fabbriche di veicoli leggeri in Europa è sceso al 60% nel 2023, ma nei paesi ad alto costo (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è crollato al 54%. Una capacità di utilizzo inferiore al 70% è considerata il minimo per la redditività.
Il risultato? Centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di scomparire in breve tempo. Volkswagen, che ha investito miliardi in Cina nel tentativo di rimanere competitiva su quel mercato, sta tagliando drasticamente l’occupazione in patria. L’accordo con i sindacati prevede la soppressione di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 in Germania. Il marchio VW sta già riducendo la capacità produttiva in Germania del 40%, chiudendo linee per 734.000 veicoli. Persino stabilimenti storici come quello di Osnabrück rischiano la chiusura entro il 2027.
Anziché imporre una protezione doganale forte contro la concorrenza cinese, l’Ue si siede al tavolo per negoziare esenzioni personalizzate per le sue stesse aziende che delocalizzano in Oriente.
Questa politica di suicidio economico ha molto padri, tra cui le case automobilistiche tedesche. Mercedes e Bmw, insieme a VW, fecero pressioni a suo tempo contro l’imposizione di dazi Ue più elevati, temendo che una guerra commerciale potesse danneggiare le loro vendite in Cina, il mercato più grande del mondo e cruciale per i loro profitti. L’Associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ha definito i dazi «un errore» e ha sostenuto una soluzione negoziata con Pechino.
La disastrosa svolta all’elettrico imposta da Bruxelles si avvia a essere attenuata con l’apertura (forse) alle immatricolazioni di motori a combustione e ibridi anche dopo il 2035, ma ha creato l’instabilità perfetta per l’ingresso trionfale della Cina nel settore. I produttori europei, combattendo con veicoli elettrici ad alto costo che non vendono come previsto (l’Ev più economico di VW, l’ID.3, costa oltre 36.000 euro), hanno perso quote di mercato e hanno dovuto ridimensionare obiettivi, profitti e occupazione in Europa. A tal riguardo, ieri il premier Giorgia Meloni, insieme ai leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria, in una lettera ai vertici Ue, ha esortato l’Unione ad abbandonare, una volta per tutte, il dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, senza peraltro apportare benefici tangibili in termini di emissioni globali». Nel testo, si chiede di mantenere anche dopo il 2035 le ibride e di riconoscere i biocarburanti come carburanti a emissioni zero.
L’Ue, che sempre pretende un primato morale, ha in realtà creato le condizioni perfette per svuotare il continente di produzione industriale. Accettare esenzioni dai dazi sull’import dalle aziende che hanno traslocato in Cina è la beatificazione della delocalizzazione. L’Europa si avvia a diventare uno showroom per prodotti asiatici, con le sue fabbriche ridotte a ruderi. Paradossalmente, diverse case automobilistiche cinesi stanno delocalizzando in Europa, dove progettano di assemblare i veicoli e venderli localmente, aggirando così i dazi europei. La Great Wall Motors progetta di aprire stabilimenti in Spagna e Ungheria per assemblare i veicoli. Anche considerando i più alti costi del lavoro europei (16 euro in Ungheria, dato Reuters), i cinesi pensano di riuscire ad essere più competitivi dei concorrenti locali. Per convenienza, i marchi europei vanno in Cina e quelli cinesi vengono in Europa, insomma. A perderci sono i lavoratori europei.
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