2022-05-10
«La paura del Covid nutre le fobie e crea diffidenza»
La psicanalista Giuliana Kantzà,: «Chi è mosso da obbedienza lo fa per paura e per sé stesso, non per l’altro. Un errore sacralizzare i vaccini».Come eravamo prima e come saremo dopo la pandemia? La primavera tarda ad arrivare (Mimesis Edizioni) è un saggio che prova a dare delle risposte attraverso le fotografie di Fabrizio Annibali e le illustrazioni di Barnaba Canali con quattro punti di vista. Il primo, scritto da Marco Gentile (dottore commercialista e revisore legale presso lo studio Villa Roveda Associati) si focalizza sui «virus» psicosociologici già presenti nella società. Il secondo, attraverso una serie di reportage firmati da Eugenio Arcidiacono (vicecaposervizio di Famiglia Cristiana), racconta le storie di alcune categorie di lavoratori che sono state cruciali per la tenuta della società stessa, denunciando allo stesso tempo come la criminalità organizzata stia approfittando della situazione per accrescere profitti e consenso sociale. La terza prospettiva è invece un’analisi scritta da Luciano Scalettari (inviato speciale, poi vicecaporedattore di Famiglia Cristiana, si occupa di Africa e presiede ResQ) che si focalizza sul sistema dell’informazione e sul tema delle disuguaglianze sociali. L’ultima chiave è infine quella psicanalitica, con un’intervista di chi scrive alla dottoressa Giuliana Kantzà, psicoanalista, membro della Scuola lacaniana di psicoanalisi, ha insegnato Storia della psichiatria presso la facoltà di Medicina dell’Università di Perugia e Psicopatologia e Psicoanalisi presso la facoltà di Medicina dell’Università di Milano ed è stata docente all’Istituto Freudiano di Milano. Il saggio è dedicato proprio alla memoria della dottoressa, scomparsa dopo una lunga malattia. Pubblichiamo qui alcuni stralci dell’intervista. Come possiamo elaborare il virus? «Prima di tutto dobbiamo renderci conto degli aspetti sociali. Prendiamo l’esempio di un fobico che ha paura di uscire, perché piove o perché c’è il sole. E che, se riesce a varcare la soglia di casa, teme pure di avere indossato la giacca sbagliata. Con la pandemia del Covid è a posto. Perché può mettersi l’impermeabile anche se c’è il sole o uscire in maglietta anche se fuori diluvia. Il Covid assorbe il suo sintomo. E quindi paradossalmente è una via di affrancamento e liberazione da esso. Prima ero fobico ma mi dovevo nascondere. Ora no. Perché non sono più fobico, temo solo di contagiarmi. Non esco per prudenza, perché il mio timore per contagio è accertato. Questo mi fa paura. Ognuno incolla al sintomo Covid il proprio, soggettivo, sintomo. Un altro esempio è la diffidenza. L’odio del vicino. Che cerca sempre di allontanarsi. Non intendo solo per garantirsi le misure precauzionali, pensiamo allo sguardo di allontanamento. È come se con il virus si fossero spalancate le tende di un sipario. […]».E cosa nasconde questo sipario? «Adesso notiamo cose, dettagli, che fanno parte del vivere comune della società umana ma che devono trovare una loro via di uscita. Lo hanno fatto in passato, possiamo provare a farlo anche noi che ci troviamo di fronte al redde rationem di una società postcapitalistica che è finita faccia a faccia con il suo disfacimento. Parlo di una società fondata sul “tutto a tutti”, affinché ci sia autonomia soggettiva che preservi il singolo. Qualcosa che tende a far assomigliare l’uno all’altro, mentre siamo tutti diversi. Mi è capitato di vedere saluti tra amici, presi con precauzioni financo esagerate, misure preventive e doverose, ma - e qui cito Jacques Lacan - usarle non significa crederci. Non vanno credute. Vuol dire che devo farlo ma non credere che questo mi preservi. Quello con l’altro è sempre stato incontro difficile. Diciamo: oggi non mi posso incontrare perché c’è la pandemia. Ma chiediamoci: non incontro l’altro perché c’è la pandemia o perché, invece, ho un’ottima giustificazione e non mi posso incontrare? Ciò presenta pericoli che hanno versanti politici, economici e soggettivi. Pensiamo a questa difficoltà di incontrare l’altro, quante volte prima del Covid abbiamo dovuto controllare lo sguardo perché non apparisse il nostro astio, la nostra invidia o la nostra indifferenza. Ora invece siamo a posto. Si manifesta questo astio nel fatto che devo stare lontano dall’altro, quindi non guardo. È una radicale lotta contro l’altro. In una situazione tragica come questa si dovrebbe invece prendere la strada della solidarietà e dell’unione con l’altro. Ecco il primo passo: non si usi la distanza sociale come risoluzione dei propri sintomi». Aldo Moro diceva che «la tirannia comincia là dove il piccolo io, rotto ogni vincolo di fraternità e di rispetto, dimentico di quella sublime umiltà che fa l’individuo uomo, eleva la sua particolare visione ad universale, senza il vaglio di una critica che consacri questo passaggio». Queste parole si possono adattare a chi si dichiara contrario al green pass? Dove finisce, se finisce, la libertà dell’«io» a favore della libertà del «noi»? «Come passa questa libertà dell’io rispetto a noi? Se non ti vaccini sei contro di me perché sei un mio possibile pericolo. Questo atteggiamento va però corretto un po’. Non dico tutto, ma un po’ sì. Si può accettare chi non ha fatto il vaccino. Si prendono misure di sicurezza. Aveva ragione Aldo Moro, una umiltà sublime prevederebbe che ci fosse obbedienza totale ma chi è mosso da obbedienza lo fa per paura. Non lo fa, spesso, per l’altro ma per se stesso. E allora la carità di umiltà profonda viene a cadere. Io l’ho fatto, mi sono vaccinato, sono a posto. Tu no, vai da un’altra parte. Credo che non si debba però mostrare la somministrazione di un vaccino come qualcosa di sacrale».Eppure la domanda più frequente, oggi, è diventata: «Ma tu sei vaccinato»? «È vero. E se non sei vaccinato allora prendo le distanze. L’unico criterio di sicurezza che viene rispettato. Ma questo è un criterio di nascondimento e di solitudine. Ed è molto diffuso. Io sono contro di te. E tu sei contro di me perché non hai fatto il vaccino, e qui diventa una questione personale, ma la tesi finale è anche: perché non hai obbedito alla legge. Essere un buon cittadino coincide con il fare quello che dice la legge. Anche questo è sempre avvenuto nelle diverse esplosioni pandemiche. Nella peste di Firenze, nel 1348, il contado non voleva avere più contatti con chi viveva in città anche se era la loro fonte di ricchezza. Ma non bastava. Erano diventati portatori di morte. Firenze fu così costretta a chiudere le sue botteghe. Nel giro di poco tempo la città si è trovata a chiedere al contado il pane. E ha iniziato una decadenza da cui non si è più ripresa. Questo è il punto anche oggi. Se non sei vaccinato mi stai dicendo che puoi essere portatore di morte. Quindi io non ti voglio vedere, non voglio avere rapporti con te. Terribile. Il vaccino è nato da una mancanza di relazione con l’altro e continua la sua strada in quella direzione». Prima i vaccini, poi il green pass obbligatorio al lavoro hanno alimentato il tutto contro tutti. Come se ne esce? «Non c’è una uscita collettiva. Sarebbe bello che ci fosse ma è impossibile».
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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