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2020-01-06
La parentopoli delle regioni
Ansa
Il 2020 è l'anno delle elezioni regionali che assumono un valore tutto particolare perché potrebbero decidere anche della sopravvivenza del governo: che succederebbe a Palazzo Chigi se a fine mese il centrodestra vincesse sia in Calabria sia soprattutto Emilia Romagna? In primavera seguiranno Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche e Puglia. Mai come ora, alla ricerca di una nuova verginità, i candidati si riempiono la bocca di anatemi contro il clientelismo, il lobbismo, il poltronismo non solo come colloso attaccamento alla poltrona ma anche come patologica attitudine ad aggiungere un posto in più. In nome, è ovvio, di una nuova politica più sobria quindi meno sprecona, meno élite e più piazza.
Ma al di là dei sermoni, continua indisturbato l'atavico vizio di sistemare parenti e amici. Anzi è proprio in campagna elettorale che questo malcostume dà il meglio di sé. Quando si annuncia che tutto cambierà, si fa di tutto affinché nulla cambi. Come? Con una bella infornata di parenti, vicini e lontani, nei posti chiave. Anche il più insulso consigliere regionale o comunale ha la sua corte in cui piazza moglie o marito, figli, nipoti, suocera, nuora, fidanzati in carica ed ex. La geopolitica di parentopoli non conosce eccezioni. Anzi, cerca di darsi un contegno normativo. La Regione Campania, con il dem Vincenzo De Luca presidente, pensò addirittura di dare una legittimazione normativa a questa consuetudine, abolendo il divieto introdotto dall'allora presidente forzista Stefano Caldoro di assumere, come collaboratori, i familiari e gli affini di terzo grado.
Ci fu una mezza rivolta perché, se così fan tutti, nessuno vuole ammetterlo. De Luca, travolto dalle polemiche, è stato costretto a cancellare la norma, ma la pratica è rimasta indisturbata. Se poi un partito ha in mano Comune e Regione, il domino delle poltrone diventa più interessante. Si veda quello che sta accadendo a Reggio Calabria dove il Pd governa da vari anni in entrambe le amministrazioni e attorno al sindaco del capoluogo Giuseppe Falcomatà si è creata una rete di parenti di ogni grado e loro amici. Le Province, passato l'entusiasmo per la presunta abolizione, continuano a rivelarsi un'occasione interessante per i «figli di».
In queste pagine La Verità documenta una serie di episodi delle ultime settimane nelle regioni che si avvicinano al voto per rinnovare gli organismi di rappresentanza. Si tratta di episodi accaduti negli stessi giorni in cui i leader politici mettono a punto i programmi di governo regionale e si riempiono la bocca di parole come trasparenza, pulizia, lotta al malcostume dilagante. Ma quando si tratta di assegnare un posto di lavoro, soprattutto nella pubblica amministrazione, nelle regioni italiane continua a prevalere l'antico detto «tengo famiglia». Anche se si tratta di posti di lavoro precari: si sa che, con la parentela giusta, ciò che è precario diventa definitivo.
La parentopoli riguarda soprattutto il Pd, partito che governa la gran parte delle regioni. Ma non risparmia nemmeno i 5 stelle, che tra collaboratori e consiglieri parlamentari hanno piazzato sorelle, fidanzati, ex compagni di vita ed ex portaborse. Un caso regionale per tutti: il marito di Valeria Ciarambino, capogruppo nel consiglio regionale della Campania e candidata contro il dem Vincenzo De Luca alla presidenza della Regione, è entrato nello staff dell'eurodeputata Chiara Gemma eletta alle europee di maggio. Travolta dalle critiche sui social, la risposta della Ciarambino è stata: «L'invidia è una brutta bestia». Anche parentopoli entra come collante nella coalizione giallorossa.
Nella girandola dei trasferimenti cade il divieto di prendere familiari
In Campania si è tentato addirittura di dare a parentopoli una legittimazione normativa. Con un blitz del novembre 2015, l'ufficio di presidenza del democratico Vincenzo De Luca aveva varato una delibera per abolire il divieto introdotto dall'allora presidente forzista Stefano Caldoro di assumere come collaboratori i familiari e gli affini di terzo grado. Per legittimare la norma ci si appellò anche al Codice civile sostenendo che l'esclusione dei parenti di terzo grado fosse troppo stringente e in contrasto con le disposizioni di legge in materia. La polemica che ne era seguita, con le opposizioni sulle barricate, minacciò di travolgere De Luca che decise così di annullare la decisione.
Questo non vuol dire che la pratica sia stata interrotta. Nel 2017 scoppia lo scandalo parentopoli nella sanità con il 70% degli assunti tramite le agenzie interinali che risultano parenti di infermieri, amministrativi e medici degli ospedali e delle Asl dove lavorano. In un dossier dei Verdi della Campania emergeva che su 100 assunti a chiamata diretta come interinali, senza alcun concorso, ben 71 avevano parentele.
C'è un'altra autostrada che mogli, fratelli, cugini e nipoti possono usare per spostarsi da un'amministrazione all'altra e assicurarsi uno stipendio sicuro. La porta d'accesso è quella dei comandati. Ad aprile scorso esplode il caso dell'infornata di dipendenti trasferiti in Regione da altri enti pubblici. Per questo scopo è stata definita, come ha rivelato Il Mattino, una pianta organica di 69 persone. Il meccanismo si basa su una norma del testo unico sulla pubblica amministrazione che prevede lo spostamento di coloro che sono in forza presso un ente statale, a un'altra amministrazione per esigenze di servizio o quando è richiesta una competenza specifica. Questa pratica si è trasformata nel tempo in uno strumento clientelare.
Tre anni fa, infatti, è saltato il divieto di prendere parenti dei consiglieri tra le file dei comandati. Poi il 17 gennaio 2019 la spallata definitiva a ogni steccato anti parentopoli. Il Consiglio regionale ha deciso la modifica dell'ordinamento in cui si prevede che «i titolari di incarico possono chiamare a far parte degli uffici di stretta collaborazione e supporto personale appartenente ai ruoli della Giunta, del Consiglio e degli enti strumentali della Regione, personale di aspettativa, distacco o comando». Questo significa che per entrare in una partecipata regionale non è più necessario passare sotto le forche caudine di un concorso.
Come era ovvio aspettarsi, la definizione della pianta organica di 69 comandati è passata all'unanimità. Tutti hanno un fratello, una fidanzata o una moglie da sistemare.
Ma sui comandati alla Regione, la Procura della Repubblica di Napoli ha aperto un'inchiesta per verificare l'esistenza di eventuali rapporti di parentela e se ci siano interessi convergenti tra i consiglieri politici per sistemare i vari parenti. Nel marzo scorso un faro sui comandati è stato acceso anche dalla Corte dei conti regionale campana. Nel mirino sono entrarti i presunti mancati rimborsi agli enti pubblici di provenienza del personale.
Un Natale di promozioni per mogli, sorelle e cugine
Al concorso per funzionari nella Provincia Bat (Barletta, Andria, Trani) sono comparsi una serie di nomi legati a politici locali. Alla prova sono pervenute 147 domande per soli 4 posti e per un contratto di 12 mesi. Molte istanze provengono da Margherita di Savoia, la città del sindaco-presidente, Bernardo Lodispoto, eletto alla guida della Provincia a fine settembre dopo aver battuto il sindaco di Barletta, Mino Cannito, anche grazie al sostegno del consigliere regionale Filippo Caracciolo, ex assessore all'Ambiente dimessosi dopo essere finito in un'inchiesta per corruzione.
Tra gli ammessi alla prova orale per il posto da funzionario, svoltasi l'antivigilia di Natale, ci sono - come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno - la cugina di Caracciolo, Margherita, e due suoi fedelissimi al Comune di Trani, entrambi Pd: l'assessore Marina Nenna e il consigliere Giacomo Marinaro. La sorella del consigliere regionale, omonima, già lavora al Comune di Barletta come agente di polizia municipale.
Scorrendo l'elenco degli ammessi troviamo Raffaele Bufo, coordinatore di «Margherita cambiaverso», e Maria Rosaria Calamita, moglie dell'ex consigliere comunale e candidato sindaco di Margherita di Savoia Francesco Galante. C'è poi un uomo vicino al Pd, Giancarmine Fiorilli, ai tempi vicesegretario dei Giovani democratici di Capitanata. Altre amministrazioni pubbliche potranno attingere dalla graduatoria.
A Barletta la municipalizzata Barsa ha selezionato 13 operatori ecologici tra cui 9 laureati (il bando prevedeva fino a 9 punti per la laurea). Tra loro c'era anche la figlia di un consigliere comunale locale. «Non possiamo mica impedirle di partecipare a un concorso pubblico», ha spiegato l'amministratore della società, Michele Cianci.
Via libera al reclutamento senza criteri e curriculum
Si è risolta con una sentenza inaspettata la mega parentopoli all'Ama di Roma, uno degli scandali sul clientelismo che ha maggiormente polarizzato l'attenzione dei media. Quando era sindaco Gianni Alemanno, circa 500 persone furono assunte alla municipalizzata dei rifiuti tramite una procedura selettiva affidata al consorzio Elis, nonostante molte di queste avessero un «punteggio inferiore alla soglia di idoneità», come affermato dalla Cassazione. Secondo la Corte dei conti però non c'è stato alcun danno erariale. I 34 lavoratori assunti a chiamata diretta tra il 2008 e il 2009 (su un totale di 64) dall'allora amministratore delegato Franco Panzironi, e poi licenziati nel 2015 con l'esplosione dello scandalo parentopoli, sarebbero stati reclutati a seguito di «una seria selezione dei candidati». I giudici di primo grado avevano chiesto al manager 1,757 milioni di euro come risarcimento all'azienda. Per Panzironi resta la condanna in via definitiva a 2 anni di carcere, cui si è aggiunta la pena a 8 anni e 4 mesi nell'ambito dell'appello nel processo su Mafia Capitale.
A salvare l'ex capo dell'Ama dall'accusa di danno erariale è stata la legge Brunetta entrata in vigore a settembre 2010. Nel 2009 le società in house come la municipalizzata potevano assumere a chiamata diretta e quindi non erano obbligate a passare attraverso i concorsi. La magistratura contabile ne ha dedotto che le assunzioni a chiamata diretta di Ama, seppure illegittime, non sarebbero state illecite.
Nella sentenza del Tribunale di Roma c'è descritto chiaramente il meccanismo delle assunzioni che, senza passare da concorsi, avvenivano «senza neppure una proposta motivata e senza allegazione di curricula, in spregio a qualsiasi positiva verifica circa l'imparzialità nella trasparenza delle assunzioni» e sarebbero state imposte solo «da logiche clientelari e arbitrarie dell'amministratore delegato, a cui si è fatta irragionevole acquiescenza». Per i 34 licenziati del 2011, la maggior parte usciti dalla municipalizzata con accordo transattivo, le porte per un possibile reintegro sono state definitivamente sbarrate dalla Cassazione. I primi 4 licenziati che si sono rivolti alla Suprema Corte non hanno avuto soddisfazione.
Triangolo rosso tra sindaci e coniugi
Una ragnatela ramificata tra Comune e Regione che è servita a piazzare mogli, figli e perfino nipoti. C'è chi ha fatto ricorso alla raccomandazione pura e semplice in virtù del proprio ruolo politico e chi invece, saltando da una poltrona a un'altra, è riuscito a piazzare parenti più o meno stretti nel posto lasciato vacante. Un meccanismo ben oliato quello attivato dal Partito democratico a Reggio Calabria, da anni al governo in entrambi gli enti. A scoperchiare la pentola, e a fare nomi e cognomi di cui tutti sul posto erano già a conoscenza, è il Quotidiano del Sud. Nella lista dei politici coinvolti in questo «triangolo rosso» di nomine familiari compare il vicesindaco della Città metropolitana, Riccardo Mauro, uomo molto vicino al sindaco Giuseppe Falcomatà. La moglie di Mauro, Alessandra Pace, ha lavorato nel gruppo consiliare del Pd dallo scorso 11 febbraio al 30 giugno con uno stipendio complessivo di 5.450 euro.
C'è poi il caso dell'assessore comunale Lucia Anita Nucera, che dopo la nomina ha interrotto il lavoro nella struttura del consigliere regionale e avrebbe ceduto il posto al marito come autista.
Per qualche mese Teresa Praticò, la moglie del consigliere comunale delegato di Falcomatà alla manutenzione Filippo Burrone è stata nel gruppo del consigliere Giovanni Nucera (La Sinistra). Il consigliere Giuseppe Eraclini, invece, avrebbe favorito l'inserimento nella stessa struttura di Nucera, della figlia Claudia Santina, mentre nella struttura di Seby Romeo, ex capogruppo regionale del Pd che si trova agli arresti domiciliari dopo l'operazione Libro nero, si trova il figlio del delegato del sindaco Falcomatà, Rocco Albanese.
Attorno al presidente del Consiglio regionale, Nicola Irto, ruota una corte di parenti. Sono stati inseriti la figlia dell'ex sindaco di San Pietro di Caridà, Roberta Masso, il segretario del Pd di Gioiosa Jonica, Enrico Tarzia e il sindaco di Palmi, Giuseppe Ranuccio.
Qualcuno, non avendo mogli o figli da sistemare, si è allargato nel grado di parentela al nipote, paracadutato nei gruppi regionali: è il caso di Stefania Mileto, nipote del consigliere comunale di maggioranza Nino Mileto (La svolta).
Parentopoli è anche diventato il sistema di selezione in un concorso pubblico: è accaduto all'ospedale di Catanzaro Pugliese-Ciccio, dove il sospetto di una corsia preferenziale per «i figli di» ha fatto saltare la prova destinata a reperire due avvocati. I vertici aziendali per soffocare le polemiche scatenate da partiti e sindacati hanno giustificato il rinvio con l'improvvisa indisponibilità di un commissario.
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Alla vigilia del voto dilaga il malcostume delle assunzioni pilotate. A partire dai maggiori partiti della maggioranza che oggi sostiene il governo Conte 2. Nella girandola dei trasferimenti cade il divieto di prendere familiari. La Procura indaga sugli intrecci del personale «comandato» nell'amministrazione di Vincenzo De Luca. Il governatore dem ha anche tentato di abolire la proibizione di ingaggiare i congiunti come collaboratori. Un Natale di promozioni per mogli, sorelle e cugine. Infornata di «soliti noti» al concorso per funzionari provinciali. Via libera al reclutamento senza criteri e curriculum. Lo scandalo Ama: responsabili «salvati» dalla legge Brunetta. Triangolo rosso tra sindaci e coniugi. Attorno a Giuseppe Falcomatà, primo cittadino del capoluogo calabro, e ai suoi consiglieri ruota una ragnatela ramificata che riesce a piazzare a dovere le persone «giuste». Lo speciale comprende cinque articoli. Il 2020 è l'anno delle elezioni regionali che assumono un valore tutto particolare perché potrebbero decidere anche della sopravvivenza del governo: che succederebbe a Palazzo Chigi se a fine mese il centrodestra vincesse sia in Calabria sia soprattutto Emilia Romagna? In primavera seguiranno Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche e Puglia. Mai come ora, alla ricerca di una nuova verginità, i candidati si riempiono la bocca di anatemi contro il clientelismo, il lobbismo, il poltronismo non solo come colloso attaccamento alla poltrona ma anche come patologica attitudine ad aggiungere un posto in più. In nome, è ovvio, di una nuova politica più sobria quindi meno sprecona, meno élite e più piazza. Ma al di là dei sermoni, continua indisturbato l'atavico vizio di sistemare parenti e amici. Anzi è proprio in campagna elettorale che questo malcostume dà il meglio di sé. Quando si annuncia che tutto cambierà, si fa di tutto affinché nulla cambi. Come? Con una bella infornata di parenti, vicini e lontani, nei posti chiave. Anche il più insulso consigliere regionale o comunale ha la sua corte in cui piazza moglie o marito, figli, nipoti, suocera, nuora, fidanzati in carica ed ex. La geopolitica di parentopoli non conosce eccezioni. Anzi, cerca di darsi un contegno normativo. La Regione Campania, con il dem Vincenzo De Luca presidente, pensò addirittura di dare una legittimazione normativa a questa consuetudine, abolendo il divieto introdotto dall'allora presidente forzista Stefano Caldoro di assumere, come collaboratori, i familiari e gli affini di terzo grado. Ci fu una mezza rivolta perché, se così fan tutti, nessuno vuole ammetterlo. De Luca, travolto dalle polemiche, è stato costretto a cancellare la norma, ma la pratica è rimasta indisturbata. Se poi un partito ha in mano Comune e Regione, il domino delle poltrone diventa più interessante. Si veda quello che sta accadendo a Reggio Calabria dove il Pd governa da vari anni in entrambe le amministrazioni e attorno al sindaco del capoluogo Giuseppe Falcomatà si è creata una rete di parenti di ogni grado e loro amici. Le Province, passato l'entusiasmo per la presunta abolizione, continuano a rivelarsi un'occasione interessante per i «figli di». In queste pagine La Verità documenta una serie di episodi delle ultime settimane nelle regioni che si avvicinano al voto per rinnovare gli organismi di rappresentanza. Si tratta di episodi accaduti negli stessi giorni in cui i leader politici mettono a punto i programmi di governo regionale e si riempiono la bocca di parole come trasparenza, pulizia, lotta al malcostume dilagante. Ma quando si tratta di assegnare un posto di lavoro, soprattutto nella pubblica amministrazione, nelle regioni italiane continua a prevalere l'antico detto «tengo famiglia». Anche se si tratta di posti di lavoro precari: si sa che, con la parentela giusta, ciò che è precario diventa definitivo. La parentopoli riguarda soprattutto il Pd, partito che governa la gran parte delle regioni. Ma non risparmia nemmeno i 5 stelle, che tra collaboratori e consiglieri parlamentari hanno piazzato sorelle, fidanzati, ex compagni di vita ed ex portaborse. Un caso regionale per tutti: il marito di Valeria Ciarambino, capogruppo nel consiglio regionale della Campania e candidata contro il dem Vincenzo De Luca alla presidenza della Regione, è entrato nello staff dell'eurodeputata Chiara Gemma eletta alle europee di maggio. Travolta dalle critiche sui social, la risposta della Ciarambino è stata: «L'invidia è una brutta bestia». Anche parentopoli entra come collante nella coalizione giallorossa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem4" data-id="4" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-parentopoli-delle-regioni-2644130668.html?rebelltitem=4#rebelltitem4" data-basename="nella-girandola-dei-trasferimenti-cade-il-divieto-di-prendere-familiari" data-post-id="2644130668" data-published-at="1766393062" data-use-pagination="False"> Nella girandola dei trasferimenti cade il divieto di prendere familiari In Campania si è tentato addirittura di dare a parentopoli una legittimazione normativa. Con un blitz del novembre 2015, l'ufficio di presidenza del democratico Vincenzo De Luca aveva varato una delibera per abolire il divieto introdotto dall'allora presidente forzista Stefano Caldoro di assumere come collaboratori i familiari e gli affini di terzo grado. Per legittimare la norma ci si appellò anche al Codice civile sostenendo che l'esclusione dei parenti di terzo grado fosse troppo stringente e in contrasto con le disposizioni di legge in materia. La polemica che ne era seguita, con le opposizioni sulle barricate, minacciò di travolgere De Luca che decise così di annullare la decisione. Questo non vuol dire che la pratica sia stata interrotta. Nel 2017 scoppia lo scandalo parentopoli nella sanità con il 70% degli assunti tramite le agenzie interinali che risultano parenti di infermieri, amministrativi e medici degli ospedali e delle Asl dove lavorano. In un dossier dei Verdi della Campania emergeva che su 100 assunti a chiamata diretta come interinali, senza alcun concorso, ben 71 avevano parentele. C'è un'altra autostrada che mogli, fratelli, cugini e nipoti possono usare per spostarsi da un'amministrazione all'altra e assicurarsi uno stipendio sicuro. La porta d'accesso è quella dei comandati. Ad aprile scorso esplode il caso dell'infornata di dipendenti trasferiti in Regione da altri enti pubblici. Per questo scopo è stata definita, come ha rivelato Il Mattino, una pianta organica di 69 persone. Il meccanismo si basa su una norma del testo unico sulla pubblica amministrazione che prevede lo spostamento di coloro che sono in forza presso un ente statale, a un'altra amministrazione per esigenze di servizio o quando è richiesta una competenza specifica. Questa pratica si è trasformata nel tempo in uno strumento clientelare. Tre anni fa, infatti, è saltato il divieto di prendere parenti dei consiglieri tra le file dei comandati. Poi il 17 gennaio 2019 la spallata definitiva a ogni steccato anti parentopoli. Il Consiglio regionale ha deciso la modifica dell'ordinamento in cui si prevede che «i titolari di incarico possono chiamare a far parte degli uffici di stretta collaborazione e supporto personale appartenente ai ruoli della Giunta, del Consiglio e degli enti strumentali della Regione, personale di aspettativa, distacco o comando». Questo significa che per entrare in una partecipata regionale non è più necessario passare sotto le forche caudine di un concorso. Come era ovvio aspettarsi, la definizione della pianta organica di 69 comandati è passata all'unanimità. Tutti hanno un fratello, una fidanzata o una moglie da sistemare. Ma sui comandati alla Regione, la Procura della Repubblica di Napoli ha aperto un'inchiesta per verificare l'esistenza di eventuali rapporti di parentela e se ci siano interessi convergenti tra i consiglieri politici per sistemare i vari parenti. Nel marzo scorso un faro sui comandati è stato acceso anche dalla Corte dei conti regionale campana. Nel mirino sono entrarti i presunti mancati rimborsi agli enti pubblici di provenienza del personale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-parentopoli-delle-regioni-2644130668.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="un-natale-di-promozioni-per-mogli-sorelle-e-cugine" data-post-id="2644130668" data-published-at="1766393062" data-use-pagination="False"> Un Natale di promozioni per mogli, sorelle e cugine Al concorso per funzionari nella Provincia Bat (Barletta, Andria, Trani) sono comparsi una serie di nomi legati a politici locali. Alla prova sono pervenute 147 domande per soli 4 posti e per un contratto di 12 mesi. Molte istanze provengono da Margherita di Savoia, la città del sindaco-presidente, Bernardo Lodispoto, eletto alla guida della Provincia a fine settembre dopo aver battuto il sindaco di Barletta, Mino Cannito, anche grazie al sostegno del consigliere regionale Filippo Caracciolo, ex assessore all'Ambiente dimessosi dopo essere finito in un'inchiesta per corruzione. Tra gli ammessi alla prova orale per il posto da funzionario, svoltasi l'antivigilia di Natale, ci sono - come riporta La Gazzetta del Mezzogiorno - la cugina di Caracciolo, Margherita, e due suoi fedelissimi al Comune di Trani, entrambi Pd: l'assessore Marina Nenna e il consigliere Giacomo Marinaro. La sorella del consigliere regionale, omonima, già lavora al Comune di Barletta come agente di polizia municipale. Scorrendo l'elenco degli ammessi troviamo Raffaele Bufo, coordinatore di «Margherita cambiaverso», e Maria Rosaria Calamita, moglie dell'ex consigliere comunale e candidato sindaco di Margherita di Savoia Francesco Galante. C'è poi un uomo vicino al Pd, Giancarmine Fiorilli, ai tempi vicesegretario dei Giovani democratici di Capitanata. Altre amministrazioni pubbliche potranno attingere dalla graduatoria. A Barletta la municipalizzata Barsa ha selezionato 13 operatori ecologici tra cui 9 laureati (il bando prevedeva fino a 9 punti per la laurea). Tra loro c'era anche la figlia di un consigliere comunale locale. «Non possiamo mica impedirle di partecipare a un concorso pubblico», ha spiegato l'amministratore della società, Michele Cianci. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-parentopoli-delle-regioni-2644130668.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="via-libera-al-reclutamento-senza-criteri-e-curriculum" data-post-id="2644130668" data-published-at="1766393062" data-use-pagination="False"> Via libera al reclutamento senza criteri e curriculum Si è risolta con una sentenza inaspettata la mega parentopoli all'Ama di Roma, uno degli scandali sul clientelismo che ha maggiormente polarizzato l'attenzione dei media. Quando era sindaco Gianni Alemanno, circa 500 persone furono assunte alla municipalizzata dei rifiuti tramite una procedura selettiva affidata al consorzio Elis, nonostante molte di queste avessero un «punteggio inferiore alla soglia di idoneità», come affermato dalla Cassazione. Secondo la Corte dei conti però non c'è stato alcun danno erariale. I 34 lavoratori assunti a chiamata diretta tra il 2008 e il 2009 (su un totale di 64) dall'allora amministratore delegato Franco Panzironi, e poi licenziati nel 2015 con l'esplosione dello scandalo parentopoli, sarebbero stati reclutati a seguito di «una seria selezione dei candidati». I giudici di primo grado avevano chiesto al manager 1,757 milioni di euro come risarcimento all'azienda. Per Panzironi resta la condanna in via definitiva a 2 anni di carcere, cui si è aggiunta la pena a 8 anni e 4 mesi nell'ambito dell'appello nel processo su Mafia Capitale. A salvare l'ex capo dell'Ama dall'accusa di danno erariale è stata la legge Brunetta entrata in vigore a settembre 2010. Nel 2009 le società in house come la municipalizzata potevano assumere a chiamata diretta e quindi non erano obbligate a passare attraverso i concorsi. La magistratura contabile ne ha dedotto che le assunzioni a chiamata diretta di Ama, seppure illegittime, non sarebbero state illecite. Nella sentenza del Tribunale di Roma c'è descritto chiaramente il meccanismo delle assunzioni che, senza passare da concorsi, avvenivano «senza neppure una proposta motivata e senza allegazione di curricula, in spregio a qualsiasi positiva verifica circa l'imparzialità nella trasparenza delle assunzioni» e sarebbero state imposte solo «da logiche clientelari e arbitrarie dell'amministratore delegato, a cui si è fatta irragionevole acquiescenza». Per i 34 licenziati del 2011, la maggior parte usciti dalla municipalizzata con accordo transattivo, le porte per un possibile reintegro sono state definitivamente sbarrate dalla Cassazione. I primi 4 licenziati che si sono rivolti alla Suprema Corte non hanno avuto soddisfazione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-parentopoli-delle-regioni-2644130668.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="triangolo-rosso-tra-sindaci-e-coniugi" data-post-id="2644130668" data-published-at="1766393062" data-use-pagination="False"> Triangolo rosso tra sindaci e coniugi Una ragnatela ramificata tra Comune e Regione che è servita a piazzare mogli, figli e perfino nipoti. C'è chi ha fatto ricorso alla raccomandazione pura e semplice in virtù del proprio ruolo politico e chi invece, saltando da una poltrona a un'altra, è riuscito a piazzare parenti più o meno stretti nel posto lasciato vacante. Un meccanismo ben oliato quello attivato dal Partito democratico a Reggio Calabria, da anni al governo in entrambi gli enti. A scoperchiare la pentola, e a fare nomi e cognomi di cui tutti sul posto erano già a conoscenza, è il Quotidiano del Sud. Nella lista dei politici coinvolti in questo «triangolo rosso» di nomine familiari compare il vicesindaco della Città metropolitana, Riccardo Mauro, uomo molto vicino al sindaco Giuseppe Falcomatà. La moglie di Mauro, Alessandra Pace, ha lavorato nel gruppo consiliare del Pd dallo scorso 11 febbraio al 30 giugno con uno stipendio complessivo di 5.450 euro. C'è poi il caso dell'assessore comunale Lucia Anita Nucera, che dopo la nomina ha interrotto il lavoro nella struttura del consigliere regionale e avrebbe ceduto il posto al marito come autista. Per qualche mese Teresa Praticò, la moglie del consigliere comunale delegato di Falcomatà alla manutenzione Filippo Burrone è stata nel gruppo del consigliere Giovanni Nucera (La Sinistra). Il consigliere Giuseppe Eraclini, invece, avrebbe favorito l'inserimento nella stessa struttura di Nucera, della figlia Claudia Santina, mentre nella struttura di Seby Romeo, ex capogruppo regionale del Pd che si trova agli arresti domiciliari dopo l'operazione Libro nero, si trova il figlio del delegato del sindaco Falcomatà, Rocco Albanese. Attorno al presidente del Consiglio regionale, Nicola Irto, ruota una corte di parenti. Sono stati inseriti la figlia dell'ex sindaco di San Pietro di Caridà, Roberta Masso, il segretario del Pd di Gioiosa Jonica, Enrico Tarzia e il sindaco di Palmi, Giuseppe Ranuccio. Qualcuno, non avendo mogli o figli da sistemare, si è allargato nel grado di parentela al nipote, paracadutato nei gruppi regionali: è il caso di Stefania Mileto, nipote del consigliere comunale di maggioranza Nino Mileto (La svolta). Parentopoli è anche diventato il sistema di selezione in un concorso pubblico: è accaduto all'ospedale di Catanzaro Pugliese-Ciccio, dove il sospetto di una corsia preferenziale per «i figli di» ha fatto saltare la prova destinata a reperire due avvocati. I vertici aziendali per soffocare le polemiche scatenate da partiti e sindacati hanno giustificato il rinvio con l'improvvisa indisponibilità di un commissario.
La sala del Teatro Due di Parma
A Parma c’è un teatro storico, il Teatro Due, che è anche un ente di formazione accreditato. E c’è un regista, Walter Le Moli, che era anche formatore per gli aspiranti attori. Lì, ha stabilito una sentenza, dal 1998 si sarebbero consumate delle molestie «a contenuto sessuale». Fino al luglio 2021, quando il consigliere regionale di Parità rompe il muro di omertà e fa scoppiare il caso. La denuncia era partita da un’associazione, Amleta, che aveva scritto anche alla stessa fondazione Teatro Due (guidata dal presidente Oberdan Forlenza e dalla direttrice Paola Donati, candidata nella lista Civici per De Pascale alle elezioni regionali) e a vari assessori regionali, tra i quali Elly Schlein, all’epoca vicepresidente della Regione rossa guidata da Stefano Bonaccini.
A fine luglio gli atti vengono trasmessi alle autorità. Il regista viene allontanato dopo la segnalazione. Il Tribunale del lavoro, nel 2024, riconosce i fatti denunciati e condanna la Fondazione Teatro Due, imponendo un «piano di rimozione delle discriminazioni basate sul sesso consistite in molestie e violenze sessuali». Ben otto attrici testimoniano in udienza. Le versioni convergono. Si trattava di «discriminazione collettiva». Tra le dinamiche «risapute», scrive il giudice del lavoro, «vi era l’abitudine del regista di arrivare con alcune ore di ritardo rispetto all’orario di inizio del corso, costringendo i partecipanti a restare fino a tarda serata, per poi invitare alcune attrici a cena fuori». Nel ristorante il regista «era solito», si legge in sentenza, «avere atteggiamenti sessualmente espliciti nei confronti delle commensali, spesso anche contro la loro volontà». Il giudice fa leva sullo «squilibrio di potere» nella relazione con le corsiste. E in alcuni casi sarebbe riuscito a convincerle «a seguirlo presso la sua abitazione, con la scusa di voler provare monologhi e scene teatrali, per poi costringerle ad avere rapporti sessuali». Infine, il giudice sentenzia: «Si ritiene che nell’ambito del corso di formazione si siano verificate discriminazioni continue e sistematiche nei confronti delle persone di sesso femminile», che la fondazione «non ha contrastato in modo adeguato e sufficiente». Tutti sapevano e nessuno era mai intervenuto. La sentenza viene confermata in appello. La Regione Emilia-Romagna, però, nello stesso perimetro temporale, continua a tenere in piedi accreditamento per la formazione e anche i finanziamenti. Nonostante due anni prima la giunta abbia stilato un regolamento per l’accesso ai contributi. E tra i criteri, questo regolamento, prevede proprio il rispetto della parità di genere.
Segue una seconda sentenza, sempre del giudice del lavoro, depositata a fine novembre, che ha risarcito con 100.000 euro due corsiste. Questa volta la condanna è per il regista e per la fondazione. Le vittime sono due studentesse che hanno frequentato un corso di alta formazione teatrale finanziato dalla Regione Emilia-Romagna. «Il regista ha agito di nascosto, fuori dai luoghi del teatro e la prima denuncia in Procura (i fatti però al momento della denuncia erano prescritti, ndr) è stata quella della Fondazione», ha sostenuto il cda della fondazione annunciando appello. Argomenti che, però, non avevano convinto il Tribunale.
In mezzo, come una crepa che si allarga, c’è anche un’ulteriore notizia: il Centro antiviolenza di Parma, secondo quanto racconta una delle attrici, non avrebbe accettato di seguirla in tribunale. «Diceva che il sistema giuridico italiano ci avrebbe massacrate. Quindi noi ci troviamo davanti alla sentenza che parla chiaro, però prima ci siamo trovati davanti persino a un’avvocata di un centro antiviolenza che non voleva portare avanti questa causa», ha spiegato la vittima a Parma Today. E la presidente del centro, Samuela Frigeri, siede anche nel consiglio generale della Fondazione Cariparma che finanzia (insieme ad altre fondazioni bancarie) da tempo il Teatro Due (anche nel 2024 ha concesso 80.000 euro di contributi). Non è un dettaglio. È un cortocircuito.
La vicenda finisce al centro di un’interrogazione del consigliere regionale di Fratelli d’Italia Priamo Bocchi. La sua domanda è lineare: dopo la condanna, che cosa ha fatto la Regione? E soprattutto: intende revocare l’accreditamento della Fondazione Teatro Due come ente di formazione e sollecitare le dimissioni dei vertici (nel cda siede un ex assessore del Pd, Simona Caselli)? Bocchi aggiunge i numeri del bilancio 2024 per rendere il quadro impossibile da sminuire: la fondazione avrebbe ricevuto fondi pubblici per 3,1 milioni di euro, «a fronte di 1,77 milioni di costo del personale e poco più di 563.000 euro di ricavi». C’è poi l’elenco dei contributi: ministero della Cultura (per oltre 1 milione di euro), Regione Emilia-Romagna (per 480.000), Comune di Parma (per 360.000). E c’è anche il profilo istituzionale del regista, ricostruito da Bocchi: «È stato membro del Cda di Reggio Parma Festival dal 2015 al 2021 e confermato nel 2021, fino alle dimissioni presentate il 18 febbraio 2022». L’assessore regionale dem alla Cultura, Gessica Allegni, ha risposto che «verranno effettuate delle verifiche». Parole giudicate da Bocchi «insoddisfacenti». Perché quando in una sentenza è scritto che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, il tema non è più solo il regista. Non è più solo il teatro. Ma è tutto ciò che ruota attorno. Gli accrediti, i finanziamenti, i consigli di amministrazione, le fondazioni bancarie. E i luoghi nati per dire alle donne «denunciate», che poi, quando si passa dal manifesto alla carta bollata, rischiano di diventare l’ennesima porta chiusa.
Violenze, sindaco piddino nei guai
La cronaca ha giocato ai democratici un brutto scherzo, di quelli che - quando ti dichiari paladino assoluto della difesa delle donne - non vorresti davvero mai subire. Mattia Missiroli, sindaco di Cervia - eletto nel 2024 grazie al Pd di Elly Schlein e a tutti gli alleati del campo largo - è indagato per maltrattamenti e lesioni alla moglie dalla quale si sta separando e la donna ha presentato come prove anche foto e alcuni video. In un periodo storico come questo, a prescindere dall’esito delle indagini la domanda politica è ovvia: è politicamente opportuno secondo i sedicenti massimi esperti della parità di genere - ovvero dem, femministe e compagnia bella - che un sindaco indagato per questo tipo di reato rimanga alla guida della città?
In attesa di una risposta - che nella serata di ieri ancora non era arrivata - passiamo alla cronaca. Mattia Missiroli, architetto di professione, ha 44 anni e, già prima di diventare sindaco era noto per aver participato al reality Campioni ambientato nel mondo del calcio e in onda tra il 2004 e il 2006. Architetto di professione, si è formato politicamente in ambito Pd, è sposato dal 2009 e ha due figli, ma a quanto pare le cose, in questo periodo, con la consorte non vanno per il meglio. Lo scorso 5 dicembre la donna si è presentata in pronto soccorso a Ravenna per farsi medicare alcune lesioni a un braccio, segni non del tutto banali considerato che le sono costate sette giorni di prognosi. Quando i medici le hanno chiesto come se li fosse procurati la donna ha affermato di essere caduta a terra dopo una forte spinta. A quel punto il personale dell’ospedale ha attivato il protocollo previsto in questi casi. Così, senza aver mai formalmente denunciato il marito, ma grazie alla celerità del codice rosso, la moglie di Missiroli è stata nei giorni successivi chiamata e ricevuta più volte in questura. E sarebbe in quei colloqui che la donna avrebbe descritto altri momenti di vita domestica caratterizzati da insulti e alcuni gesti violenti, allegando come prove le foto di un labbro rotto e alcuni video.
Secondo la Procura, quanto riportato dalla donna sarebbe stato sufficientemente grave da prevedere la custodia cautelare in carcere, ma il gip ha respinto la richiesta, derubricando l’accaduto a fatti episodici. Il primo cittadino, proprio nei giorni scorsi, avrebbe lasciato l’appartamento in cui viveva con moglie e figli ma sulla misura restrittiva, a quanto pare, la Procura sarebbe in procinto di presentare ricorso.
Missiroli, dal canto suo, ha respinto tutte le accuse definendole «gravi e infamanti», si è detto certo di «poter presto dimostrare la propria innocenza» e, attraverso il suo avvocato, Ermanno Cicognani, ha fatto sapere di «non aver mai avuto in 16 anni di matrimonio comportamenti violenti nei confronti della moglie» sottolineando, invece, come «la separazione in corso coinvolge aspetti che possono prestarsi a strumentalizzazioni».
La domanda iniziale resta aperta, ma secondo Fdi la risposta è una sola: il sindaco deve dimettersi. «Quanto avvenuto getta una luce sinistra su un’istituzione che non può permettersi di essere lambita da simili ombre», hanno dichiarato con una nota congiunta esponenti locali e nazionali del partito di Giorgia Meloni. «L’aspetto dell’opportunità politica non può essere sottaciuto. Il Pd ha fatto della tutela delle donne una bandiera da sventolare in ogni dove, ci aspetteremmo dunque che fosse proprio il partito a chiedergli di fare un passo indietro».
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Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
È lo stesso Pd, che si è sempre dichiarato europeista e anzi baluardo dell’europeismo contro le destre, che, una volta al potere, avrebbero sfasciato l’economia di questo Paese, portando lo spread a livelli insostenibili e rischiando così sanzioni europee pesantissime e insopportabili per le nostre finanze? È lo stesso Pd che, nei vari componenti multicolore e durante la grigia stagione dei governi tecnici, ha sempre approvato manovre (a partire da quella di Mario Monti) che hanno depresso l’economia del Paese?Spesso i politici dell’opposizione sembrano più degli opinionisti che dei rappresentanti del popolo. Espongono infatti tesi contro chi governa contraddicendo totalmente, o anche parzialmente, quello che hanno fatto quando governavano loro. Quest’ultimo caso è particolarmente eclatante, perché si tratta di una linea, quella di non mettere mai in discussione la politica economica, finanziaria e monetaria dell’Europa, che è stata sostenuta non solo come giusta, ma come opposta a quella del centrodestra. Ora che, per ragioni di tenuta finanziaria del Paese, e per evitare attacchi speculativi, il ministro Giorgetti scrive una manovra che rispetta tali parametri e che scongiura la salita dello spread, ebbene, ora tutto ciò non va bene.
Non è intento di questo articolo entrare nel merito della manovra. Questo giornale l’ha già fatto e continuerà a farlo. Intento di questo articolo è solo mostrare quanto ridicola, incoerente, sfacciata e al limite della vergogna, sia la tesi portata avanti dall’opposizione per chiedere le dimissioni di Giorgetti. Ma con quale faccia si può chiedere a qualcuno di dimettersi nel momento in cui fa ciò che si è sempre sostenuto che si debba fare, e cioè puntare un occhio verso il pesce, l’economia del nostro Paese e le relative manovre finanziarie, e puntare l’altro verso il gatto, cioè le stravaganze europee che, se seguite alla lettera come nel caso del green, fanno sparire non solo il pesce ma l’intera specie ittica.
È il Pd che dovrebbe dimettersi, mica Giorgetti. Il partito che ha sempre invocato il rispetto dei conti pubblici e paventato lo spettro dello spread chiede le dimissioni del ministro che ha riportato lo spread ai minimi dal 2009 e il deficit/Pil al 3%. Guardassero quello che succede in Francia, esercizio provvisorio, Germania, economia a picco, Spagna dove dilagano gli scandali, e Regno Unito anch’esso in gravissime difficoltà economiche. La Germania che ha da sempre dettato la linea dell’austerity, violando poi tutte le regole sul debito pubblico nonché sugli interscambi commerciali, ora si trova a dover proporre investimenti monstre, di decine e decine di miliardi, totalmente al di fuori delle regole europee, e destinati in gran parte a ridare il fiato alla produzione industriale tedesca, da sempre basata su quella automobilistica, attraverso una vera e propria economia di guerra. Ma alla Germania tutto è concesso, anche perché essa ha la golden share del pensiero, diciamo così, e delle azioni della presidente della Commissione Ue, la tristemente nota Von der Leyen che, insieme alla Lagarde, ha fatto più danni di quelli che anche nella peggiore delle ipotesi qualcuno poteva immaginarsi. Ma questo è un altro discorso che riguarda il rispetto delle regole europee che per alcuni è rigido, per altri meno rigido, per altri è elastico, per altri ancora, tra i quali l’Italia, rigidissimo. E meno male che il governo è riuscito a rivedere il Patto di stabilità inserendo in esso ampie dosi di ragionevolezza, altrimenti sarebbero stati guai ancora maggiori. Ma tutto questo, onestamente, al Pd, non dice proprio nulla? Come si fa a superare tenacemente, ampiamente e con perseveranza il limite del ridicolo con così tanta nonchalance? Guardate che bisogna essere particolarmente bravi, non è da tutti. Si deve tornare indietro con la memoria ai giocolieri dei grandi circhi che ormai non esistono più e aspettare quello annuale che si svolge a Montecarlo.
Personalmente capirei una discussione sul modello economico sottostante alla manovra del governo. Capirei un dibattito di politica economica e finanziaria basato su modelli alternativi, su scuole economiche diverse, su politiche che si differenziano per diversi modi di concepire il rapporto tra Stato e mercato. Concepirei la legittimità di un dibattito di questo tipo, così come il dibattito tra liberisti e keynesiani hanno animato il secolo XX. Mi rendo conto, mentre lo scrivo, che sto volando a un’altitudine alla quale, probabilmente, chi dibatte di questi temi oggi rischia di avere le vertigini. Oggi al posto dei dibattiti di politica economica ci sono i dibattiti dettati dalla concezione economica dell’Ue che ha la consistenza della gelatina. Discutibile che fosse quando Draghi ha presentato un piano per la riforma dell’Europa, lo hanno messo da parte perché cominciando a leggerlo si sono resi conto che non ci stavano capendo niente. Non sono abituati a Bruxelles ad andare oltre il seminato delle loro quattro regolette in croce alle quali si attengono e obbligano gli altri ad attenersi senza l’uso del neurone, ma solo della favella che assume la forma di provvedimenti, dichiarazioni, richiami, sanzioni, direttive. Di fronte al ragionamento economico basato su riflessioni profonde e anche accurate posizioni ideali il loro encefalogramma diventa immediatamente piatto.
Che ci volete fare? In tutto questo, il Pd, che cerca di recuperare consensi carica contro Giorgetti dicendo di non fare quello che fino a ieri loro hanno fatto e anche difeso e predicato come l’unica strada possibile. La coerenza ormai appartiene a un altro mondo che non c’è dato di conoscere, almeno in questo dibattito politico.
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