2019-12-30
La pace tra Washington e Pyongyang rischia di nuovo di saltare
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Rischia di tornare alta la tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord. Kim Jong-un ha ordinato alle proprie forze armate di predisporre non meglio precisate «misure offensive per garantire pienamente la sovranità e la sicurezza del Paese».Secondo la Korea Central News Agency, nel corso della riunione plenaria del Comitato centrale del Partito dei Lavoratori di Corea, il leader nordcoreano ha inoltre affermato che il regime potrebbe avviare «un nuovo percorso», qualora gli Usa continuassero a mantenere in vigore le sanzioni: è stato lo stesso Kim ad ammettere del resto la presenza di una «grave situazione economica».Insomma, parole abbastanza inquietanti, che non è al momento chiaro se nascondano minacce reali o semplici esigenze propagandistiche. Resta comunque il fatto che, nel corso dell'ultimo mese, le fibrillazioni tra Pyongyang e Washington siano riprese. Il regime ha infatti condotto due test missilistici, mentre – all'inizio di dicembre – aveva annunciato che avrebbe inviato un "dono di Natale" agli Stati Uniti. Un'affermazione suonata come una minaccia, visto che – nel 2017 – Pyongyang aveva definito un "dono" per l'America il lancio di un missile balistico intercontinentale. Kim Jong-un ha d'altronde posto la fine del 2019 come scadenza per riprendere l'iniziativa diplomatica con gli americani. Che si tratti o meno di pericoli concreti, è chiaro che la Corea del Nord stia cercando di aumentare la pressione su Washington. E, sotto questo aspetto, Pyongyang è spalleggiata – sul fronte internazionale – dai suoi principali alleati: due settimane fa, Cina e Russia hanno infatti proposto una risoluzione alle Nazioni Unite, volta ad alleggerire le sanzioni contro il Paese. Del resto, il processo di distensione tra Stati Uniti e Corea del Nord è piombato in una fase di stallo. Dopo un inizio promettente con il summit di Singapore nel giugno del 2018, il vertice di Hanoi dello scorso febbraio si era concluso con un sostanziale fallimento.La situazione è rimasta precaria fino a giugno, quando Donald Trump si è incontrato con Kim Jong-un nella zona demilitarizzata coreana, compiendo inoltre qualche passo in territorio nordcoreano: la prima volta per un presidente statunitense in carica. L'evento, denso di significato simbolico, avrebbe dovuto rilanciare il processo di disgelo tra i due vecchi nemici. Eppure le trattative sono proseguite a rilento, non riuscendo a produrre progressi sostanziali. Il punto maggiormente controverso continua del resto a riguardare la spinosa questione della denuclearizzazione della penisola coreana: se gli Stati Uniti chiedono una denuclearizzazione "completa, verificabile e irreversibile", Kim Jong-un non ha alcuna intenzione di privarsi tout court del proprio deterrente nucleare: un deterrente che il leader nordcoreano considera una garanzia di sicurezza per la sovranità del suo Paese e – in ultima analisi – per la sua stessa vita. Non è del resto un mistero che Kim sia ossessionato dalla possibilità di incorrere nella stessa fine che fu di Gheddafi e Saddam Hussein.La posizione nordcoreana resta al momento indigeribile per Washington, che – dal canto suo – ha intenzione di mantenere le sanzioni fino a che non si verifichino passi concreti da parte di Pyongyang. Si tratta di un problema complesso per Trump. Il presidente americano vorrebbe arrivare infatti presto ad un'intesa con Kim Jong-un, conseguendo così un risultato da rivendersi anche nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 2020. Dall'altra parte, Trump sa bene di non potersi permettere un accordo a tutti i costi, vista la scarsa affidabilità dei nordcoreani, oltre all'opposizione interna dei falchi dell'establishment statunitense: opposizione interna di cui fa storicamente parte anche l'ex consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton. Quello stesso Bolton che, pochi giorni fa, ha duramente criticato la strategia della Casa Bianca in Corea del Nord. In tal senso, non è nemmeno del tutto escludibile che Kim stia esercitando le sue pressioni, cercando di approfittare della campagna elettorale americana: eventuali test missilistici o atti apertamente ostili nelle prossime settimane potrebbero infatti esporre Trump alle critiche dei suoi rivali democratici, indebolendolo politicamente.A tutto questo, si aggiunge poi il ruolo di Russia e Cina nel processo di denuclearizzazione. Nonostante un'apparente convergenza, non è detto che Mosca e Pechino stiano giocando esattamente la stessa partita. Da una parte, Vladimir Putin è interessato a farsi perno di un'azione diplomatica articolata, sul modello dei "colloqui a sei" dei primi anni 2000: un'eventualità che, pur coinvolgendo Washington, sottrarrebbe tuttavia agli Stati Uniti quella centralità che Trump da sempre auspica nelle trattative con Kim Jong-un. Pechino, dall'altra parte, potrebbe invece continuare a far sì che la questione nordcoreana si intersechi con quella dei negoziati sulla guerra tariffaria tra America e Cina. Negoziati sfociati in un accordo commerciale parziale un paio di settimane fa. Se Pyongyang approfitta ormai da mesi di questa triangolazione, l'inquilino della Casa Bianca deve al più presto trovare il modo per uscire dallo stallo, scegliendo tra un rilancio in grande stile dell'azione diplomatica e il ritorno all'aggressività di un tempo.
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