
Approvando la legge a favore dell'eutanasia (che garantisce il suicidio assistito) la Spagna fa un tragico passo indietro. Non si è più umani se si facilita la disperazione.ha affermato. Il semplice buon senso ci fa capire quanto rozza possa essere una frase del genere. Un Paese che legalizza la morte su richiesta, che apre la strada a scorciatoie di morte di fronte a condizioni di sofferenza, è un Paese che ammette la sua totale incapacità di gestire il dolore del corpo e dello spirito, visto che invece di prendersi cura della disperazione che la malattia può portare con sé, decide di abbandonare il paziente alle sue scelte, con l'alibi - che gronda ipocrisia da ogni parte - di voler «rispettare la sua volontà». Chiunque ha patito dolore nella propria vita conosce molto bene che cosa vuol dire «non farcela più» e invocare, quindi, la morte come estremo rimedio, come soluzione finale. Chi non ha mai detto o pensato in cuor suo: «Basta. Non ne posso più. Meglio morire». È umano. Ma essere umani non può mai significare abbandonare e neppure facilitare scelte che hanno le tinte fosche della disperazione e dell'esasperazione. Essere umani significa caricarsi dell'altro, farsi coinvolgere dal suo stesso dolore e decidere di combattere insieme, senza nessun accanimento, ma con tanta, tanta determinazione, tanto coraggio, fino eventualmente al saluto ultimo, accompagnando alla tappa naturale della morte. Non provocare la morte. La morte provocata non è mai dignitosa. La morte accolta, perché conosciuta, aspettata e condivisa da un «buon samaritano» che non ha mai lasciato la mano del sofferente, questa è morte dignitosa. E non si dica che questo è un sentimento o un pensiero religioso. Questo è sentire umano, di vera nobiltà laica, che proprio i drammatici fatti di questi tempi pandemici ci hanno descritto in tutta la sua forza e chiarezza. Non arrendersi di fronte alla malattia, giocarsi a favore della salute e della vita, investire energie umane, sociali, economiche, spirituali per dare risposta al bisogno di chi è colpito e sta soffrendo. Una scelta chiara a favore della vita e della salute non può mai annoverare la soluzione di una morte provocata, anche se scelta. In aggiunta se guardiamo ai Paesi, in primis Olanda e Belgio, che hanno legalizzato da tempo l'eutanasia, ci accorgiamo come si è rapidamente scivolati dall'eutanasia richiesta e rivendicata come un diritto di libera scelta, solo per pazienti oncologici terminali, all'eutanasia «allargata» a pazienti depressi., fino ai minorenni per disagio psichico (protocollo di Groningen). Per approdare all'«eutanasia di Stato», di cui sono vittime disabili e clochard, vite giudicate indegne di essere vissute. È un pendio scivoloso, un meccanismo di morte che non si ferma, fino ad invocare la morte dei bimbi Down, «intercettati» per tempo, così da impedire loro di nascere, o di correre ai ripari con norme di «aborto post natale». Quando si approvano leggi a favore dell'eutanasia e si garantisce come diritto il suicidio assistito, la civiltà di un popolo fa un tragico passo indietro: il «diritto» è nato per tutelare e garantire un bene, e per sottrarre il più debole alla dittatura del più forte: da qui le norme in «negativo», che condannano l'omicidio, anche di consenziente, l'aiuto e l'istigazione al suicidio, e quelle in «positivo» che impongono il soccorso a chiunque ne abbia bisogno, anche se non lo richiede. Se si abbandona questa via maestra si ritorna di fatto nei meandri dell'inciviltà, anche se camuffata di «autodeterminazione». È la stagione dei «diritti farlocchi». Ma il riscatto è sempre possibile e in buona parte dipende da ciascuno di noi.
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