2021-01-05
La ministra che spreme le aziende e promette più social card per tutti
Nunzia Catalfo (S.Granati/Corbis/Getty Images)
Nell'ora più buia della pandemia, la donna che dovrebbe rischiarare la via d'uscita dalla peggior crisi economica degli ultimi vent'anni risponde al nome di Nunzia Catalfo. Sconosciuta ai più, la signora da 16 mesi ricopre l'incarico che fu di Luigi Di Maio, ovvero ministro del Lavoro. Negli ultimi cinquant'anni, prima di lei e di Giggino su quella poltrona si sono seduti fior di esperti, a cominciare da Giacomo Brodolini, passando a Carlo Donat Cattin per finire a Gino Giugni.Nonostante siano rimasti al loro posto per pochi mesi, quasi sempre meno di un anno, i tre che ho citato (ma potrei aggiungerne molti altri, tra i quali Amintore Fanfani e Tina Anselmi, Rino Formica e Gianni De Michelis) nel dicastero loro affidato hanno lasciato traccia. Nunzia Catalfo, parlamentare grillina e levatrice del Reddito di cittadinanza, da quando ha fatto il suo ingresso nel Palazzo di via Veneto pare invece riuscita a far perdere le proprie tracce, inabissandosi come un sottomarino nei meandri ministeriali. C'è la crisi Alitalia? Al dicastero non risulta essersi alzato in volo nessun piano di salvataggio, ma tutto è stato demandato al ramo Trasporti del governo, quello, per intenderci, che doveva risolvere la questione Autostrade. E mentre l'Ilva sta bruciando negli altiforni le ultime speranze di salvarsi? In Via Veneto si augurano che la temperatura scenda. La Whirlpool, ossia azienda americana di frigoriferi, minaccia di chiudere e levar le tende? Anche in questo caso la crisi viene messa nel freezer, in attesa di tempi migliori. Dal letargo in cui negli ultimi mesi pare sprofondata, Nunzia Catalfo si è però risvegliata ieri per concedere un'intervista a Repubblica, dalle cui pagine ha lanciato un messaggio tranquillizzante a migliaia di imprese che da un anno si dibattono fra le difficoltà. Il ministro ha infatti anticipato che lo stop ai licenziamenti non terminerà alla fine di marzo, come annunciato in precedenza da Roberto Gualtieri, ma proseguirà per le aziende in crisi. Che cosa voglia dire il blocco per chi annaspa non è chiaro. È evidente che nessuno licenzia volentieri. Se gli affari vanno a gonfie vele, di solito, invece di risolvere i rapporti di lavoro si assume e se qualcuno è rispedito a casa è solo per giusta causa, cioè perché se lo merita. Dunque, che cosa vuol dire stop ai licenziamenti per le aziende in difficoltà? Nessuno è riuscito a decifrare il messaggio in bottiglia della ministra, forse neppure lei, perché quando all'intervistatore ha provato a spiegare il senso delle sue parole, si è capito ancora meno. «Faremo un ragionamento per le aziende in forte crisi: per loro si può pensare di allungare stop e Cig. L'obiettivo è evitare lo tsunami occupazionale, formare i lavoratori in transizione, ricollocarli altrove se l'impresa non riparte. Confidiamo poi nella campagna vaccinale e nei suoi effetti positivi sull'economia». Poche idee, ma confuse. Come si fa a stabilire quali aziende siano in forte crisi? Ma soprattutto come si formano i dipendenti se dopo due anni dalla tragica esperienza dei navigator non si è riusciti a formare neppure loro? E dove si possono ricollocare le persone se la lista dei disoccupati si allunga di giorno in giorno e non c'è verso di sistemarli? Non solo: ma se la campagna vaccinale si completerà fra due anni (come ha dimostrato Umberto Rapetto calcolando il tempo necessario sulla base del numero di vaccini giornalieri promessi da Domenico Arcuri), che facciamo nel frattempo? Confidiamo negli effetti positivi sull'economia del 2023? A leggere le risposte del ministro del Lavoro si capisce una sola cosa e cioè che in Via Veneto non hanno la benché minima idea sul da farsi. «Allungheremo la Naspi (cioè l'indennità di disoccupazione, ndr)», «Metteremo altre risorse sul reddito di cittadinanza». «Se occorre ripristineremo il Reddito di emergenza». La crisi morde ai polpacci, i lavoratori rischiano il posto, ma al governo declinano le soluzioni al futuro: allungheremo, metteremo, ripristineremo. Tradotto, al momento non abbiano idea sul da farsi e probabilmente non abbiamo nemmeno i soldi. Dunque, la sola brillante pensata della ministra è bloccare i licenziamenti. Le aziende non lavorano e dunque non fatturano, ma devono pagare i dipendenti. La crisi è messa nel freezer, sperando che la data di conservazione consenta di rinviare il problema. In poche parole, si mette la polvere sotto il tappeto, confidando che nessuno se ne accorga. La tecnica è più o meno la stessa adottata con gli sfratti. Che si fa se un inquilino non è in grado di pagare l'affitto al proprietario dell'appartamento a causa del Covid? Si blocca lo sfratto, scaricando il problema sul locatore. In pratica, se l'azienda è in crisi paga il titolare e se il conduttore non ha i soldi della pigione paga sempre il titolare. Che sia padrone di un'impresa o di una casa, metter mano al portafogli tocca sempre al privato. C'è un solo caso in cui non ci si può sottrarre agli obblighi di pagare ed è quando a battere cassa è il fisco: infatti sui contribuenti si sta per abbattere una valanga di cartelle esattoriali. Una montagna che neanche il coronavirus è riuscito a congelare.
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