True
2023-07-29
La Meloni flirta con Biden ma tiene aperta la porta del Gop
Giorgia Meloni e Joe Biden (Ansa)
L’alleanza con gli Stati Uniti si spinge un po’ più in là, fino a lambire la Cina e tutta la zona attorno a Taiwan. Durante l’incontro di giovedì sera, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, hanno ribadito l’impegno dei rispettivi Paesi «a garantire la libertà, la prosperità e la sicurezza nella regione indopacifica». In una dichiarazione congiunta pubblicata al termine del bilaterale, Biden ha affermato che gli Stati Uniti «accolgono positivamente la rinnovata presenza italiana nella regione». Entrambe le parti hanno sottolineato l’importanza di garantire la pace nello stretto di Taiwan, che rappresenta una componente «cruciale» per la sicurezza regionale e globale. Infine, i due leader hanno ribadito la determinazione a rafforzare il coordinamento bilaterale per gestire al meglio le sfide relative alla competizione con la Cina. Il riferimento è duplice. Da un lato alla via della Seta, accordo con Pechino di cui è previsto il giro di boa a fine anno, e dall’altro alla nostra presenza militare nell’Indopacifico. Tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2024 avremo da quelle parti il pattugliatore d’Altura «Francesco Morosini», la celebre «Amerigo Vespucci», ma soprattutto la nostra ammiraglia, la portaerei «Cavour». Un impegno non da poco che trasforma l’Italia in una punta avanzata per l’Europa, visto che Bruxelles già dal 2021 ha aggiornato i propri quaderni strategici inserendo per la prima volta il quadrante del Sudest asiatico. E come ribadito da Biden, rende i nostri militari partner in una realtà proiettata militarmente al 2040. Lì si sperimenteranno le armi cyber del futuro e la quinta dimensione della sicurezza. Insomma, sembra una contropartita (al di là dell’impegno in Ucraina) al fatto di poter ottenere un riconoscimento diretto nel Mediterraneo e nel Sahel che a partire dal prossimo anno diventeranno il vero terreno di scontro con la Russia. Non a caso la Meloni, nel corso della bilaterale a Washington, ha incassato anche la benedizione della Casa Bianca e soprattutto del Pentagono sul piano Mattei. Ottenedno anche un incontro riservato con Henry Kissinger , «una delle menti più lucide, punto di riferimento della politica strategica e della diplomazia», ha detto dopo averlo ringraziato per l’incontro e «l’onore di di aver dialogato sui temi della contemporaneità». Questo dopo aver ottenuto il visto d’ingresso a Tunisi.
«Italia e Stati Uniti sostengono il popolo tunisino, alla luce delle sfide economiche e politiche che il Paese sta affrontando», si legge in una nota con la quale i due leader hanno ribadito la loro determinazione a «garantire la prosperità, la sicurezza e la democrazia in Tunisia». Biden ha anche valutato positivamente la Conferenza internazionale sullo sviluppo e sulle migrazioni, così come «il processo avviato da Roma per promuovere la collaborazione tra Paesi di origine, di transito e di arrivo dei migranti nel Mediterraneo». Su questo fronte, gli Stati Uniti hanno «preso atto del piano Mattei» del governo italiano sull’Africa. ovviamente, al di là delle parole retoriche e un po’ ampollose si legge il chiaro messaggio di affidamento. Affidamento nel senso che gli Usa sembrano darci onori e oneri. Basti vedere quanto sta accadendo in queste ore con il colpo di Stato in Niger. La Francia è ormai fuori da tutto il Sahel e qualcuno dovrà prendere il suo posto. Altrimenti i buchi saranno riempiti da russi, cinesi o se va meglio dai sauditi. Nel corso del punto stampa in ambasciata che ha fatto seguito al colloquio con il presidente Usa, la Meloni ha spiegato che è stato «un lungo incontro», «un appuntamento nel quale abbiamo ribadito la nostra solida alleanza, il partenariato strategico e la profonda amicizia che uniscono Usa e Italia». «Con Biden abbiamo discusso della prossima presidenza italiana del G7», ha aggiunto la Meloni. Da parte degli Usa c’è grande aspettativa e grande sostegno. La ricostruzione dell’Ucraina e il rapporto con l’Africa saranno al centro della presidenza del G7. All’Africa in passato l’Europa e l’Occidente non hanno dato abbastanza peso. L’Africa non è un continente povero ma ricco». Per il premier è un «errore fatale», in politica estera, «non vedere tutta la scacchiera», aggiungendo di aver «trovato condivisione e voglia di collaborare al nostro piano Mattei per l’Africa». A questo punto e con il termine della pausa di Ferragosto sarà importante entrare nella scacchiera con tutti e due i piedi. Un modo per essere più efficaci potrebbe essere quello di rivedere il sistema della cooperazione e dello sviluppo. Invertire la percentuale destinata ai progetti multilaterali (circa il 70% su quasi 4 miliardi stanziati) con la quota destinata ai progetti bilaterali. Destinare circa 3 miliardi alle relazioni dirette con Stati o tribù è il modo migliore per controllare non solo i progetti, ma per accertarsi che i nostri soldi vadano a nostri amici e non a sostenitori di altri Paesi. È un tema di buon senso che riesce anche a coniugare la ragion di Stato.
Il premier ottiene la fiducia di Biden ma si accredita con i repubblicani
C’è un aspetto del viaggio a Washington di Giorgia Meloni a cui si è prestata minore attenzione: il fatto che il presidente del Consiglio, oltre a rafforzare i legami con la Casa Bianca attualmente a guida dem, ha consolidato la sponda con il Partito repubblicano. Si tratta di un fattore non esattamente di poco conto. La Meloni ha infatti avuto modo di incontrare sia lo Speaker della Camera, Kevin McCarthy, sia il capogruppo al Senato, Mitch McConnell. Da entrambi ha riscosso delle notevoli aperture di credito.
«La visita del primo ministro, Giorgia Meloni, è molto importante. Sostengo le azioni dell’Italia per ridurre la dipendenza dal gas naturale russo e per affrontare la crisi dei migranti nell’Europa meridionale. E lodo i suoi sforzi per affrontare la crescente aggressione dalla Cina comunista», ha twittato McCarthy, che era stato ricevuto a Palazzo Chigi a maggio. Inoltre, già mercoledì McConnell aveva pronunciato delle parole piuttosto positive nei confronti della Meloni. «Il premier Meloni è entrato in carica mentre l’Europa affrontava la sua prima guerra terrestre su larga scala da decenni e l’Italia affrontava le crescenti vulnerabilità economiche dovute alla dipendenza dalla Cina. E, a detta di tutti, ha affrontato queste sfide frontalmente», aveva affermato in una nota. «Il presidente del Consiglio ha ribadito più volte l’impegno dell’Italia ad aiutare l’Ucraina a sconfiggere l’aggressione russa e a ricostruire la sua economia. E, cosa importante, a differenza di alcuni leader, lo ha fatto con fresca chiarezza al popolo italiano sugli interessi concreti del proprio Paese nell’aiutare l’Ucraina a difendersi», aveva aggiunto.
Va da sé che gli incontri con McCarthy e McConnell hanno avuto una natura principalmente istituzionale (d’altronde la Meloni ha visto anche vari parlamentari dem, oltre a ribadire che i rapporti tra Italia e Usa vanno al di là del colore dei rispettivi governi). Il risvolto politico tuttavia è (almeno indirettamente) ineludibile, anche perché con lo Speaker della Camera la Meloni ha avuto un vero e proprio colloquio in cui sono stati discussi vari temi: la guerra in Ucraina, la stabilità del Mediterraneo, la situazione dell’Indo-Pacifico e la prossima presidenza italiana del G7.
Negli anni, Fdi ha stretto vari legami con il Partito repubblicano americano e, prima di arrivare a Palazzo Chigi, la Meloni ha più volte preso parte alla Conservative political action conference: rapporti, quelli con i conservatori d’Oltreatlantico, storicamente curati dal capodelegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, che proprio ieri ha detto: «Con Giorgia Meloni a Washington ha vinto l’Italia che esce ancora più forte nel suo posizionamento internazionale». Vale poi la pena sottolineare che, al di là dei rispettivi incarichi istituzionali, McConnell e McCarthy rappresentano due differenti aree del mondo repubblicano. Il primo è più vicino all’establishment storico e sull’Ucraina sposa una posizione particolarmente proattiva e interventista. Il secondo è più vicino all’area trumpista (nonostante abbia avuto qualche tensione con alcuni settori di quest’ultima negli scorsi mesi). Inoltre, venendo al dossier ucraino, è favorevole a mantenere il sostegno militare a Kiev, ma a determinate condizioni e a fronte di una strategia americana più chiara di quella attuale.
Continuare a coltivare il canale con il variegato mondo dei repubblicani è utilissimo alla Meloni. E non è soltanto una questione di affinità ideologica. Si tratta di un tema molto più pragmatico. L’anno prossimo negli Usa si terranno le elezioni presidenziali. E, al momento, Biden è politicamente assai debole: molte sue misure sono impopolari, è sotto inchiesta da parte di un procuratore speciale e i guai giudiziari del figlio rischiano di azzopparlo ulteriormente. Senza contare che profonde spaccature dividono il Partito democratico americano. Insomma, sembra proprio che Palazzo Chigi voglia tenersi (comprensibilmente) pronto nel caso, non certo improbabile, di un cambio di guardia alla Casa Bianca.
Continua a leggereRiduci
Palazzo Chigi e Casa Bianca rilanciano la collaborazione per garantire la pace nello stretto di Taiwan. Con l’impegno militare di Roma, come punta avanzata dell’Europa. Il nostro Paese tornerà a contare nel Mediterraneo e avrà l’appoggio americano nel G7Colloqui positivi con lo Speaker Kevin McCarthy e il capogruppo al Senato Mitch McConnellLo speciale contiene due articoliL’alleanza con gli Stati Uniti si spinge un po’ più in là, fino a lambire la Cina e tutta la zona attorno a Taiwan. Durante l’incontro di giovedì sera, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, hanno ribadito l’impegno dei rispettivi Paesi «a garantire la libertà, la prosperità e la sicurezza nella regione indopacifica». In una dichiarazione congiunta pubblicata al termine del bilaterale, Biden ha affermato che gli Stati Uniti «accolgono positivamente la rinnovata presenza italiana nella regione». Entrambe le parti hanno sottolineato l’importanza di garantire la pace nello stretto di Taiwan, che rappresenta una componente «cruciale» per la sicurezza regionale e globale. Infine, i due leader hanno ribadito la determinazione a rafforzare il coordinamento bilaterale per gestire al meglio le sfide relative alla competizione con la Cina. Il riferimento è duplice. Da un lato alla via della Seta, accordo con Pechino di cui è previsto il giro di boa a fine anno, e dall’altro alla nostra presenza militare nell’Indopacifico. Tra la fine di quest’anno e l’inizio del 2024 avremo da quelle parti il pattugliatore d’Altura «Francesco Morosini», la celebre «Amerigo Vespucci», ma soprattutto la nostra ammiraglia, la portaerei «Cavour». Un impegno non da poco che trasforma l’Italia in una punta avanzata per l’Europa, visto che Bruxelles già dal 2021 ha aggiornato i propri quaderni strategici inserendo per la prima volta il quadrante del Sudest asiatico. E come ribadito da Biden, rende i nostri militari partner in una realtà proiettata militarmente al 2040. Lì si sperimenteranno le armi cyber del futuro e la quinta dimensione della sicurezza. Insomma, sembra una contropartita (al di là dell’impegno in Ucraina) al fatto di poter ottenere un riconoscimento diretto nel Mediterraneo e nel Sahel che a partire dal prossimo anno diventeranno il vero terreno di scontro con la Russia. Non a caso la Meloni, nel corso della bilaterale a Washington, ha incassato anche la benedizione della Casa Bianca e soprattutto del Pentagono sul piano Mattei. Ottenedno anche un incontro riservato con Henry Kissinger , «una delle menti più lucide, punto di riferimento della politica strategica e della diplomazia», ha detto dopo averlo ringraziato per l’incontro e «l’onore di di aver dialogato sui temi della contemporaneità». Questo dopo aver ottenuto il visto d’ingresso a Tunisi. «Italia e Stati Uniti sostengono il popolo tunisino, alla luce delle sfide economiche e politiche che il Paese sta affrontando», si legge in una nota con la quale i due leader hanno ribadito la loro determinazione a «garantire la prosperità, la sicurezza e la democrazia in Tunisia». Biden ha anche valutato positivamente la Conferenza internazionale sullo sviluppo e sulle migrazioni, così come «il processo avviato da Roma per promuovere la collaborazione tra Paesi di origine, di transito e di arrivo dei migranti nel Mediterraneo». Su questo fronte, gli Stati Uniti hanno «preso atto del piano Mattei» del governo italiano sull’Africa. ovviamente, al di là delle parole retoriche e un po’ ampollose si legge il chiaro messaggio di affidamento. Affidamento nel senso che gli Usa sembrano darci onori e oneri. Basti vedere quanto sta accadendo in queste ore con il colpo di Stato in Niger. La Francia è ormai fuori da tutto il Sahel e qualcuno dovrà prendere il suo posto. Altrimenti i buchi saranno riempiti da russi, cinesi o se va meglio dai sauditi. Nel corso del punto stampa in ambasciata che ha fatto seguito al colloquio con il presidente Usa, la Meloni ha spiegato che è stato «un lungo incontro», «un appuntamento nel quale abbiamo ribadito la nostra solida alleanza, il partenariato strategico e la profonda amicizia che uniscono Usa e Italia». «Con Biden abbiamo discusso della prossima presidenza italiana del G7», ha aggiunto la Meloni. Da parte degli Usa c’è grande aspettativa e grande sostegno. La ricostruzione dell’Ucraina e il rapporto con l’Africa saranno al centro della presidenza del G7. All’Africa in passato l’Europa e l’Occidente non hanno dato abbastanza peso. L’Africa non è un continente povero ma ricco». Per il premier è un «errore fatale», in politica estera, «non vedere tutta la scacchiera», aggiungendo di aver «trovato condivisione e voglia di collaborare al nostro piano Mattei per l’Africa». A questo punto e con il termine della pausa di Ferragosto sarà importante entrare nella scacchiera con tutti e due i piedi. Un modo per essere più efficaci potrebbe essere quello di rivedere il sistema della cooperazione e dello sviluppo. Invertire la percentuale destinata ai progetti multilaterali (circa il 70% su quasi 4 miliardi stanziati) con la quota destinata ai progetti bilaterali. Destinare circa 3 miliardi alle relazioni dirette con Stati o tribù è il modo migliore per controllare non solo i progetti, ma per accertarsi che i nostri soldi vadano a nostri amici e non a sostenitori di altri Paesi. È un tema di buon senso che riesce anche a coniugare la ragion di Stato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-meloni-flirta-con-biden-ma-tiene-aperta-la-porta-del-gop-2662545404.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-premier-ottiene-la-fiducia-di-biden-ma-si-accredita-con-i-repubblicani" data-post-id="2662545404" data-published-at="1690620275" data-use-pagination="False"> Il premier ottiene la fiducia di Biden ma si accredita con i repubblicani C’è un aspetto del viaggio a Washington di Giorgia Meloni a cui si è prestata minore attenzione: il fatto che il presidente del Consiglio, oltre a rafforzare i legami con la Casa Bianca attualmente a guida dem, ha consolidato la sponda con il Partito repubblicano. Si tratta di un fattore non esattamente di poco conto. La Meloni ha infatti avuto modo di incontrare sia lo Speaker della Camera, Kevin McCarthy, sia il capogruppo al Senato, Mitch McConnell. Da entrambi ha riscosso delle notevoli aperture di credito. «La visita del primo ministro, Giorgia Meloni, è molto importante. Sostengo le azioni dell’Italia per ridurre la dipendenza dal gas naturale russo e per affrontare la crisi dei migranti nell’Europa meridionale. E lodo i suoi sforzi per affrontare la crescente aggressione dalla Cina comunista», ha twittato McCarthy, che era stato ricevuto a Palazzo Chigi a maggio. Inoltre, già mercoledì McConnell aveva pronunciato delle parole piuttosto positive nei confronti della Meloni. «Il premier Meloni è entrato in carica mentre l’Europa affrontava la sua prima guerra terrestre su larga scala da decenni e l’Italia affrontava le crescenti vulnerabilità economiche dovute alla dipendenza dalla Cina. E, a detta di tutti, ha affrontato queste sfide frontalmente», aveva affermato in una nota. «Il presidente del Consiglio ha ribadito più volte l’impegno dell’Italia ad aiutare l’Ucraina a sconfiggere l’aggressione russa e a ricostruire la sua economia. E, cosa importante, a differenza di alcuni leader, lo ha fatto con fresca chiarezza al popolo italiano sugli interessi concreti del proprio Paese nell’aiutare l’Ucraina a difendersi», aveva aggiunto. Va da sé che gli incontri con McCarthy e McConnell hanno avuto una natura principalmente istituzionale (d’altronde la Meloni ha visto anche vari parlamentari dem, oltre a ribadire che i rapporti tra Italia e Usa vanno al di là del colore dei rispettivi governi). Il risvolto politico tuttavia è (almeno indirettamente) ineludibile, anche perché con lo Speaker della Camera la Meloni ha avuto un vero e proprio colloquio in cui sono stati discussi vari temi: la guerra in Ucraina, la stabilità del Mediterraneo, la situazione dell’Indo-Pacifico e la prossima presidenza italiana del G7. Negli anni, Fdi ha stretto vari legami con il Partito repubblicano americano e, prima di arrivare a Palazzo Chigi, la Meloni ha più volte preso parte alla Conservative political action conference: rapporti, quelli con i conservatori d’Oltreatlantico, storicamente curati dal capodelegazione di Fdi-Ecr al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, che proprio ieri ha detto: «Con Giorgia Meloni a Washington ha vinto l’Italia che esce ancora più forte nel suo posizionamento internazionale». Vale poi la pena sottolineare che, al di là dei rispettivi incarichi istituzionali, McConnell e McCarthy rappresentano due differenti aree del mondo repubblicano. Il primo è più vicino all’establishment storico e sull’Ucraina sposa una posizione particolarmente proattiva e interventista. Il secondo è più vicino all’area trumpista (nonostante abbia avuto qualche tensione con alcuni settori di quest’ultima negli scorsi mesi). Inoltre, venendo al dossier ucraino, è favorevole a mantenere il sostegno militare a Kiev, ma a determinate condizioni e a fronte di una strategia americana più chiara di quella attuale. Continuare a coltivare il canale con il variegato mondo dei repubblicani è utilissimo alla Meloni. E non è soltanto una questione di affinità ideologica. Si tratta di un tema molto più pragmatico. L’anno prossimo negli Usa si terranno le elezioni presidenziali. E, al momento, Biden è politicamente assai debole: molte sue misure sono impopolari, è sotto inchiesta da parte di un procuratore speciale e i guai giudiziari del figlio rischiano di azzopparlo ulteriormente. Senza contare che profonde spaccature dividono il Partito democratico americano. Insomma, sembra proprio che Palazzo Chigi voglia tenersi (comprensibilmente) pronto nel caso, non certo improbabile, di un cambio di guardia alla Casa Bianca.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci