«La Martina si rinnova con una capsule collection firmata Pompilio»
- L'ad del marchio, Enrico Roselli, nato sui campi di polo: «Proponiamo 15 look ispirati ai valori del gruppo: nobiltà, coraggio, rispetto e lealtà. Al via l'avventura in Asia».
- L'ex presidente dell'associazione di categoria Annarita Pilotti: «Gli imprenditori che restano in Italia sono eroi. Bisogna abbassare le tasse».
- Agostino Poletto, direttore generale Pitti Filati: «Fa impressione scorrere l'elenco dei compratori in rappresentanza: è come leggere il calendario delle sfilate di Londra, Milano, Parigi e New York»
Sembrano due ma è uno solo. Un giocatore di polo, in sella al suo cavallo, mentre brandisce la stecca di bambù, pronto a colpire. «È un cavaliere specchiato, un'illusione ottica», spiega Enrico Roselli, ad di La Martina, «perché il polo si può giocare solo tenendo la stecca nella mano destra, regola inderogabile anche per una persona mancina».
Ed è proprio a partire dal gioco del polo che a metà degli anni Ottanta Lando Simonetti, italoargentino con una lunga esperienza professionale negli Stati Uniti nel settore della moda e degli accessori, ha dato vita a un marchio dedicato alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione dell'equipaggiamento tecnico per i giocatori di questo sport.
Cominciò a realizzare stivali, selle da polo e borse. Ma non gli bastò più.
«Decise di costituire una squadra professionistica di polo che potesse testare i prodotti e capire le necessità in campo. Il team vinse tornei importantissimi. Per questo le maglie, che avevano una grande visibilità, dovevano essere di ottima qualità. Tanto che Simonetti iniziò a produrle in un laboratorio interno. Anche le altre squadre riconobbero la qualità estetica e dei materiali, ma iniziarono a chiedersi se avesse senso comprare prodotti da un rivale in campo».
Che accadde, quindi?
«A un certo punto Simonetti ha venduto la squadra per proseguire con l'abbigliamento tecnico e con la sperimentazione. Da lì si sviluppò la parte abbigliamento, che divenne iconico ed entrò subito in diversi mercati con un posizionamento alto, dato che le maglie venivano identificate con quelle delle squadre più importanti che partecipavano ai mondiali. Sono poi diventate un must anche per consumatori più trasversali. Il marchio divenne così famoso che chi voleva portarsi via un pezzo di Argentina acquistava una maglia di La Martina. Resta comunque vivissimo l'impegno per l'abbigliamento per il polo e tutta la tecnologia che ci gira intorno».
Capo clou, la polo.
«Che si chiama così proprio perché è stata inventata per lo sport del polo, gioco diffuso in Asia, India, Pakistan e nei Paesi in cui le truppe inglesi di ufficiali di cavalleria lo praticavano per tenersi in forma. Vennero codificate delle regole per renderlo un'attività sportiva: quattro contro quattro, due porte, in sella personale militare con tanto di divisa, giacca e camicia. Al collo vennero applicati due bottoni - nacque così il button down - per evitare che il colletto sbattesse sul viso visto che si sollevava per la velocità del cavallo. Il button down fu poi adottato da Brooks Brothers come elemento distintivo dell'alta società. Ma piano piano si resero necessarie nuove performance nell'abbigliamento. Durante gli allenamenti si portavano maglie senza collo, “scandalosa" biancheria intima dell'epoca non indossabile davanti a un pubblico. Dovendo mixare comodità ed eleganza saltò fuori la T-shirt con il colletto».
Da quando lei si occupa di La Martina?
«Nel 1999 conobbi il titolare a Milano, dove esercitavo come avvocato, che mi diede il compito di seguire alcune vicende dal punto di vista contrattuale: rapporti di licenza, sviluppo di nuovi partner e collaborazioni. Dopo un paio d'anni cominciai a collaborare per lo sviluppo in prima persona, lasciai la professione e negli anni arrivai a strutturare l'azienda vera e propria. Si è passati da un modello di business solo di licenze a una vera struttura di La Martina. All'epoca, per me, fu un salto nel buio ma anche la cosa più bella in assoluto. Quando sei avvocato pensi a tutto quello che può andare male e a prevenirlo, poi ho iniziato a pensare a tutto quello che si poteva fare per andare bene».
Ora la novità, la collaborazione con uno stilista come Andrea Pompilio.
«È un bellissimo progetto che riprende elementi storici e stilemi riconducibili a La Martina ma in chiave creativa e nuova. Una scelta che ha motivi di carattere strategico e emozionale. Nella moda è sempre più frequente la commistione tra il mondo puramente stilistico creativo e quello del prodotto, è un passaggio che è anche una necessità di mercato. Tenendo anche conto al pubblico a cui ci rivolgiamo, i trentenni sempre più esigenti e interessati da queste uscite prettamente creative che possono arricchire il brand e generare curiosità. Era molto importante trovare uno stilista con un'esperienza solida che avesse la capacità di capire la nostra storia e la nostra sensibilità acquisita negli anni, ma che avesse anche le doti interpretative per rielaborare elementi della nostra tradizione in chiave contemporanea».
Nasce così la capsule La Martina Resized by AP.
«La collezione, rigorosamente genderless e in edizione limitata, reinterpreta in chiave innovativa l'iconica polo, traendo ispirazione dall'archivio storico e dai valori del brand: rispetto, lealtà, integrità, nobiltà e coraggio. Si compone di 15 look multicolor e monocromatici nelle varianti antracite e arancio. La collaborazione con Andrea Pompilio si inserisce in un progetto di comunicazione rivoluzionario che La Martina ha intrapreso, anche con il coinvolgimento di Condé Nast Italia e Samsung».
Produzione?
«In tutto il mondo. In Argentina, Perù, Italia, Romania, Inghilterra, Portogallo, una minima parte in Cina e in India. Stivali e selle in Argentina e in Inghilterra per avere confronti tecnici con i nostri giocatori ambassador. Prodotti speciali di abbigliamento in Italia con tessuti sofisticati. I ricami vengono fatti a mano in India».
Quanti negozi avete?
«Un centinaio i monomarca, il 15/20 % gestito direttamente da noi e il resto con partner locali. Quartier generale a Chiasso, in Svizzera, per l'Europa, l'Africa e l'avvio del progetto Asia. Per quanto riguarda le due Americhe, a Buenos Aires c'è il quartiere generale storico».
«Il settore calzaturiero muore. La politica ci ascolti»
Pitti Filati fa record di buyer

134 marchi di cui 30 provenienti dall'estero (Regno Unito, Giappone, Perù, Cina, Germania, Turchia, Australia, Romania, Mauritius, India, Rep. Sudafricana, Portogallo). Pitti Filati si conferma l'appuntamento irrinunciabile per i grandi della moda e i migliori maglifici internazionali. Dopo alcuni anni sottotono, il bilancio del settore della filatura italiana (che comprende filati lanieri, cotonieri e linieri) risulta soddisfacente. Il fatturato archivia il 2018 con un'evoluzione positiva, nella misura del +3,2% riportandosi sugli oltre 2,9 miliardi di euro. È stato in particolare il mercato estero a premiare i produttori italiani, quelli del comparto laniero e liniero in particolare, consentendo di contabilizzare una discreta crescita delle esportazioni.
«A giudizio degli espositori, sia pure interpellati a campione, è stata un'edizione superiore alle aspettative caratterizzata dall'importanza dei visitatori italiani ed esteri e da un altissimo livello di ricerca contenuto delle collezioni presentate, uno stimolo e una fonte di ispirazione per tutti.» dice Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine. «In tempi di crescita o in periodi di riassestamento del mercato e dei consumi, come questo, Pitti Filati è davvero l'unico appuntamento che i grandi della moda e i migliori maglifici non possono mancare. E non lo diciamo noi organizzatori, lo dicono gli operatori presenti. Da qui parte l'intera catena della moda, il suo zeitgeist: i materiali, le innovazioni tecnologiche, i colori, la mano, le combinazioni, il dialogo disciplinato tra libera creatività e frontiere produttive. Tutto ciò scaturisce dall'impegno e dagli investimenti delle filature che espongono in Fortezza da Basso". Tra i temi forti di questa stagione, il focus sulla sostenibilità, oggetto di una ricerca in continuo sviluppo nel mondo della produzione e di una coscienza etica sempre più importante e diffusa oggi».
«Fa impressione scorrere l'elenco dei compratori - riprende Agostino Poletto, direttore generale – in rappresentanza dei maglifici e soprattutto degli studi stilistici: è come leggere il calendario delle sfilate di Londra, Milano, Parigi e New York, tutte insieme… Per questo, in un 2019 così faticoso per l'economia e gli scambi commerciali a livello internazionale e, purtroppo, a maggior ragione nel nostro paese, siamo decisamente soddisfatti anche dei risultati numerici, con la conferma del dato estero sui risultati del 2018 (che completò un triennio di costante crescita delle affluenze) e una contenuta diminuzione degli italiani. Da parte nostra cerchiamo di fare del salone anche un'occasione di riflessione sui protagonisti della storia recente della maglieria di moda – la mostra dedicata a Pour Toi insieme a Modateca Deanna ha avuto grande successo – e una piattaforma di promozione dei nuovi talenti, per esempio con il concorso Feel the Yarn, giunto alla sua decima edizione grazie alla collaborazione con il Consorzio Promozione Filati e le migliori scuole di moda nel mondo. Senza dimenticare le operazioni dedicate al tema della sostenibilità – come la nuova area Sustainable – la novità che quest'anno ha visto anche il coinvolgimento di un gigante del lusso come Salvatore Ferragamo con il suo progetto Young Talents for Sustainable Thinking, e il sempre approfondito lavoro di Angelo Figus e Nicola Miller sullo Spazio Ricerca».
Guardando il trend dell'affluenza finale, il totale compratori raggiunge le 5.350 presenze complessive, con i compratori esteri a confermare i loro numeri (2.900 circa i buyer internazionali) e una leggera flessione per gli italiani, nell'ordine del 5-6% (circa 150-160 persone in meno).





