2018-10-27
«La manovra non è così folle». L’Ue affonda sotto le critiche
Si allarga il coro di economisti che smontano i dogmi di Jean-Claude Juncker. Su Bloomberg, Ashoka Mody giudica «irragionevole» la fissa di Bruxelles sul deficit. E anche i neocon Usa tifano gialloblù.Dopo il Wall Street Journal, e dopo l'economista Paul De Grauwe, intervistato ieri sulla Verità, altre due voci internazionali - diversissime tra loro ma di assoluta autorevolezza - si schierano contro la Commissione Ue e i suoi diktat ai danni dell'Italia. Il primo è Ashoka Mody. Economista nato in India, già vicedirettore dei dipartimenti del Fondo monetario internazionale dedicati a Europa e ricerca, oggi è visiting professor a Princeton, e soprattutto autore di un libro (il cui titolo dice molto: Eurotragedy) nel quale ripercorre le tappe della costruzione europea dalle origini a oggi, spiegando come questa architettura sia rimasta di fatto estranea alla democrazia, per consolidarsi come progetto tecnocratico e di establishment a guida francotedesca. Insomma: un grande scambio tra Berlino e Parigi, una prigione di rigidità, una minore capacità rispetto agli Usa di reagire alle crisi (si pensi al post 2008), e in ultima analisi un ritratto feroce (perché lucido, sereno, non acrimonioso: dunque ancora più impietoso) delle élite europee e dei loro fallimenti a catena.Intervenendo con un editoriale su Bloomberg, Mody mette subito i piedi nel piatto: «La manovra italiana non è folle come sembra, e i burocrati europei dovrebbero capire che l'Italia ha bisogno di uno stimolo». Mody fa due osservazioni. Primo, «le previsioni sull'economia globale vanno deteriorandosi rapidamente: rallentamento in Cina, frenata dell'export europeo, umori dell'area euro che volgono al negativo»: tutto ciò non può che colpire l'Italia, dove «una recessione può essere imminente». Secondo (ed era anche l'argomento usato da De Grauwe nella conversazione con il nostro giornale), è «completamente irragionevole l'insistenza della Commissione Ue affinché il nuovo governo rispetti gli impegni sul deficit assunti dai predecessori». «L'austerità», aggiunge, «potrebbe solo peggiorare la congiuntura negativa e aumentare il debito italiano, il che aggraverebbe le tensioni sui mercati». Mody non risparmia critiche anche al governo gialloblù (le cui politiche «vaghe ed eccentriche» - scrive - hanno contribuito a creare costernazione sui mercati), che dovrebbe «rivedere previsioni di crescita troppo ottimistiche» e «ritirare parte della spesa» prevista, ma non contesta il «sostegno finanziario alle famiglie a basso reddito», che «potrebbe essere particolarmente efficace, perché è probabile che le persone spenderebbero quel denaro». Conclusione, è l'Ue che deve «riconsiderare la sua posizione»: «cambiare narrazione per dare legittimità a uno stimolo in Italia rassicurerà gli investitori e i mercati». Ma, pugilisticamente parlando, è solo il primo dei due diretti arrivati ieri alla mascella del team Juncker-Moscovici. L'altro è giunto dal Weekly Standard, rivista neocon Usa guidata e animata dal grande Bill Kristol. Attenzione: non sono amici di Donald Trump, anzi. Si tratta di un'ala repubblicana fortemente critica rispetto all'amministrazione statunitense: e quindi non si può certo dire che abbiano voluto compiacere The Donald e la sua simpatia verso Roma. Una delle prime firme della rivista, Cristopher Caldwell, spiega come in gioco tra l'Italia e Bruxelles ci sia «molto più di una manovra». La coalizione vincitrice in Italia «è giunta al potere usando un argomento vincente: le politiche di austerità promosse dall'Europa sono un “gioco da stupidi"», esordisce Caldwell, che aggiunge: «Lega e 5 stelle sono un “anatema" per i vecchi partiti, ma circa il 60% degli elettori ama la nuova manovra». Il Weekly Standard ricorda che molti Paesi europei non hanno le carte in regola per fare contestazioni sul deficit, con la Francia che si spinse nel 2012 fino al 4% o la Spagna fino al 9%. Di più: dal punto di vista italiano, «gli snob di Bruxelles sono meno interessati alla disciplina fiscale di quanto non lo siano a punire una democrazia quando “sceglie male"». E qui Caldwell evoca quanto accadde nel 2011, quando Silvio Berlusconi fu sostituito da Mario Monti perché il primo «rinnegò le riforme desiderate da esperti fuori dall'Italia» in un processo che vide «la collusione del presidente ex comunista Giorgio Napolitano e della cancelliera tedesca Angela Merkel», procedura analoga rispetto a quella praticata da francesi e tedeschi contro il premier greco George Papandreou, annota la rivista neocon. Ma - affonda il bisturi Caldwell - «il salvataggio greco in realtà distrusse l'economia del Paese e molte delle sue istituzioni sociali». E ora è probabile che gli elettori italiani vedano le mosse della Commissione come un modo per scatenare i mercati e le agenzie di rating con l'obiettivo di «bullizzare l'Italia verso la sottomissione». Di qui, la bocciatura totale della linea di Bruxelles: «Se porti via a un governo l'autorità sul budget, gli hai sottratto gran parte delle ragioni per cui un governo esiste». Chi invece si esprime a favore della Commissione è un complicato (e - ci sia consentito - attorcigliato) studio del Peterson Institute firmato da Olivier Blanchard (già capo economista del Fmi all'epoca di Carlo Cottarelli e dei moltiplicatori sbagliati che hanno distrutto la Grecia) e Jeromin Zettelmeyer, tutto giocato su ossimori e contraddizioni. Per i due studiosi, può esistere un'«austerità espansiva» ma anche (e sarebbe questo il caso italiano attuale) un'«espansività recessiva». Non sappiamo se ciò renderà più dolce il caffè di Moscovici e Dombrovskis, ma secondo questo centro studi a minacciare l'Italia non sarebbe lo scontro con la Commissione, bensì proprio quella che loro definiscono una «contractionary fiscal expansion». Ma, con rispetto parlando, la cosa rischia di assomigliare alla leggendaria «supercazzola» di Amici miei.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)