2020-01-02
La magia di Ibra strega subito i tifosi. Il Milan spera non sia un’illusione
Il ritorno di Zlatan fa sognare i fan. Lo svedese è un fenomeno, ma ha 38 anni e non milita in campionati top da due stagioni. Se l'operazione si rivelasse solo un costoso gioco di prestigio, per il club sarebbero guai seri.Riaccendere la Madonnina, rimettere la spina nella presa per vivere sei mesi a colori con i led. Zlatan Ibrahimovic è un trasformatore che rilascia energia, suggestioni, fremiti di grandezza in un mondo depresso come quello milanista, costretto a guardare le vette dai 21 punti (Inter e Juventus ne hanno il doppio) e con poche speranze di raggiungere il campo base dell'area Champions, presidiato dalla Roma 14 punti più sopra. Ecco perché arriva Ibra a tre milioni d'ingaggio fino a giugno più altri sei per il 2021, un colpo alla roulette per chi valuta l'operazione solo come investimento sportivo. Ma non lo è, considerarlo tale significa guardare il dito e non la luna. Il ritorno dello Jedi non è mai solo un appuntamento o l'ennesimo affare di Mino Raiola. È un'emozione, un meraviglioso azzardo che i tifosi rossoneri hanno immediatamente capito e sintetizzano così: «È l'ultimo sogno che ci resta, lasciateci sognare». Ibrahimovic ha 38 anni, è fermo da tre mesi, non gioca in un campionato top da due stagioni. Ma nell'immaginario è sempre lui, quello del sorriso da pirata, quello del colpo dello scorpione, quello dell'ultimo scudetto. Per ora conta ciò che rappresenta. Guarderà in faccia i compagni e dirà, cosa che peraltro ha già fatto: «Vi insegno io come si fa a cambiare il corso della stagione». Guarderà negli occhi gli avversari, sempre, e sibilerà andando con i tacchetti a filo di caviglia: «Io non vi conosco, sono stato via. Ma voi conoscete me». Guarderà con aria di degnazione i giornalisti e ripeterà la frase pronunciata dopo il secondo scudetto con l'Inter: «Voi parlate, io gioco». È quello lì, una sbruffonata e un dribbling da fantascienza. L'Ibra che arriva oggi a Milano è un azzardo, ma può funzionare. Di sicuro non ha niente a che vedere con il progetto del fondo Elliott portato avanti zoppicando dal trio Ivan Gazidis, Zvonimir Boban, Paolo Maldini. L'imperativo era: il Milan ai giovani, far crescere la nidiata, renderla un gruppo d'acciaio e valorizzare gli investimenti nel tempo. Qualcosa fra Borussia Dortmund, Salisburgo e Atalanta. Qualcosa che non ha funzionato. Prendete Lucas Paquetá, ingaggiato per 35 milioni e messo in vendita in questi giorni allo stesso prezzo. La programmazione ha altre regole. Ibra è il contrario, sei mesi di follie con Charlize Theron e poi si vedrà. Se Stefano Pioli avesse avuto l'ultima parola, avrebbe preferito Marione Mandzukic, cecchino vero, uomo da sportellate che la Juventus aveva messo ai margini, fino a tre mesi fa un centravanti di livello mondiale pronto subito e con cinque anni di meno. Ma la suggestione dello svedese è impareggiabile; il suo debutto potrebbe già esserci (per qualche minuto) contro la Sampdoria alla Befana o a Cagliari. E dal primo minuto a San Siro contro la Spal in Coppa Italia il 15 gennaio.Se c'è un elemento di corto circuito utile a svegliare uno spogliatoio, questo è Ibra. Lui può spiegare a Rafael Leão che non si va in discoteca a bere e fumare dopo un 5-0 a Bergamo; lui può far capire con un'alzata di sopracciglio a Davide Calabria che non si festeggia il compleanno su Instagram dopo il peggior ko degli ultimi 21 anni, mentre Tiziano Crudeli urla dal video «Vergogna, dovete chiedere scusa ai tifosi». Ecco, non dimentichiamoci che si riparte da lì, dal giorno zero. E Zlatan può perfino essere un sergente di ferro. Quando arrivò all'Inter, scoprì dopo tre allenamenti che c'era il clan dei brasiliani da una parte e quello degli argentini dall'altra. «Li odiavo, così andai da Massimo Moratti e dissi che se voleva vincere doveva abbattere quel muro».La curiosità di vederlo all'opera per capire quanto tempo è passato nei suoi piedi da Rudolf Nureyev, è enorme. E qui il Milan può avere visto giusto, perché se c'è qualcosa di perfino peggiore e disarmante della lotta per non retrocedere, è l'indifferenza. Quei colori non possono tollerare l'inutilità di una stagione anonima come quella che si prospetterebbe da gennaio. Ibra è un antidoto naturale all'indifferenza e la sua casa italiana è il Milan. Non è ancora arrivato e già i tifosi gli chiedono due gol decisivi, fossero anche solo quelli. Il primo alla Juventus che non lo sopporta per il tradimento con fuga perpetrato durante Calciopoli. E il secondo nel derby, per zittire chi in queste ore butta lì con ingratitudine: «Il momento più bello? Quando fu scambiato con Samuel Eto'o». Mille incognite e una certezza, il codino di Ibra. Un codino che può essere solo inutile e costoso. Ma anche decisivo nel far sbocciare Leão, nel portare via un centrale di difesa da Krzysztof Piatek per aiutarlo a tornare un bomber, nel dare a Suso un punto di riferimento per lo scambio nello stretto. In quel centrocampo timido, fra quei giocatori giovani e spaventati dal peso di San Siro un ego ipertrofico può sollevare gli altri dalle responsabilità, può illuminare la notte. Finora dov'è andato è sempre stato decisivo tranne che nella squadra più forte, il Barcellona di Pep Guardiola. Caratteri agli antipodi, due stagioni buttate via. Ultima parola di Ibra sulla faccenda: «Non sono violento, ma se fossi in Guardiola avrei paura. Lì una Ferrari fu guidata come una Fiat». Ibra al Milan può essere tutto e niente, di sicuro non passerà inosservato. Per capire se è ancora lui - quello «più grande dopo Cassius Clay», quello che «ha messo la Svezia sulle cartine mondiali» - basta avere dieci giorni di pazienza. Ed è meglio non azzardare previsioni, magari le stesse che tutti facevano nel 2012 quando imbarcò le valigie su un volo per Parigi. Allora rispose così: «Pensate che io sia finito? A tutti voi ho soltanto una cosa da dire: non sono come voi, perché non sono voi. Io sono Zlatan Ibrahimovic e mi sto appena riscaldando». Il prossimo anno ne fa 39. All'anagrafe sembra un vecchietto, lo sguardo è da Clint Eastwood.
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