2019-09-21
La Luiss butta fuori Gervasoni, il prof che non canta nel coro dei fan dell’invasione
Epurazioni in corso nell'ateneo degli industriali: basta un tweet per perdere la cattedra. Alla faccia della libertà di espressione.In curiosa consonanza con il cambio di clima politico, inizia la stagione delle epurazioni: liberal, europeiste, democratiche e progressiste, si capisce.Personaggi e interpreti di questa storia: nei panni dell'epurato, il professor Marco Gervasoni, storico, saggista, e titolare alla Luiss del corso di storia comparata dei sistemi politici (Gervasoni insegna anche in un ateneo pubblico, l'università del Molise); nei panni del «censore» politicamente corretto, il direttore del dipartimento di scienze politiche e fondatore della Luiss school of government, Sergio Fabbrini, definito da Matteo Renzi nientemeno che «uno dei pensatori più importanti del panorama europeo». Roba forte, ci spiegò Il Foglio alcuni mesi fa: Fabbrini «è in cima alla lista delle firme che Renzi considera letture imprescindibili». Ambientazione: la Luiss, università che fa riferimento alla Confindustria, e che ha proprio nel dipartimento di scienze politiche il suo autentico fiore all'occhiello, un'eccellenza vera, va detto. Che è successo? Che il professor Gervasoni, l'estate scorsa, non avendo (ancora) perso i diritti politici, la libertà d'espressione e l'uso dei social network, si è espresso in modo ruvido sul tema dell'immigrazione illegale e del traffico di esseri umani, rilanciando una proposta di Giorgia Meloni e twittando in modo chiaramente provocatorio: «Ha ragione Giorgia Meloni, la nave va affondata. Quindi Sea Watch bum bum, a meno che non si trovi un mezzo meno rumoroso». Uno potrà dire: si può essere d'accordo o meno sulla sostanza, magari dissentire sulla forma, ma non si vede in cosa possa essere sacrificata la libertà d'espressione di un docente che - nelle ore di lezione - non si è mai sognato di ammorbare gli studenti con comizi politici.In ogni caso, i primi a indignarsi furono quelli dell'Anpi Molise (se non lo sapevate, esiste): tale Loreto Tizzani, rappresentante dell'organizzazione, si augurò che «comportamenti così gravi […] fossero adeguatamente valutati dall'università del Molise». E infatti Gervasoni ebbe buon gioco a chiudere la polemica rivendicando tutta intera la sua libertà d'espressione: «Non si capisce cosa c'entri la mia attività di docente con le mie opinioni politiche espresse liberamente al di fuori, a meno di non avere come modello di libertà l'Urss, a cui l'Anpi sembra rimasta legata». Tra l'altro, non si vede come un tweet - di tutta evidenza scritto a titolo personale - potesse o possa «impegnare» un ateneo. Incredibilmente, però, a raccogliere la richiesta censoria dell'Anpi Molise è stata la Luiss, che si tenderebbe a immaginare come una fucina di pensiero liberale. Dapprima Fabbrini ha chiesto spiegazioni per iscritto a Gervasoni. Il quale ha provveduto a rispondere, non solo rivendicando il proprio diritto al free speech, ma sottolineando di non aver mai fatto politica in aula. Ma la risposta non è servita a nulla. Infatti, è stato convocato in fretta e furia il consiglio di dipartimento che, a maggioranza fabbrinesca, ha defenestrato Gervasoni, sollevandolo dal corso. Intendiamoci bene: un ateneo privato ha certamente diritto ad allontanare chi crede. Tutto legittimo. Ma altrettanto legittimo è discutere il carattere discrezionale della scelta, dal quale è difficile distinguere una sgradevole sfumatura di attacco al free speech e una preoccupante commistione tra la valutazione dell'attività didattica di un docente e l'analisi delle sue dichiarazioni pubbliche ed extra universitarie. Direte voi: forse in quel consiglio di dipartimento si vuole che la politica stia assolutamente fuori. Peccato che ne siano membri autorevoli il professor Roberto D'Alimonte, considerato tra gli ispiratori dell'Italicum e della riforma costituzionale renziana, e il professor Michele Sorice, il cui nome si è letto sui giornali come possibile consulente nell'ambito della neo istituita commissione statuto del Pd. E c'è chi ricorda come - per eventi, conferenze, dibattiti - non siano mancati, alla Luiss, inviti a Renzi, a Maria Elena Boschi, a Paolo Gentiloni. Tutto bene, dunque, par di capire. Tutto ammesso: tranne i tweet e la libertà d'opinione del dissenziente Gervasoni. Va anche ricordato che proprio il dipartimento di scienze politiche della Luiss ha tuttora in forza una figura controversa, l'ex direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, coinvolto nella nota inchiesta (con le accuse di false comunicazioni sociali e aggiotaggio informativo), e protagonista - come La Verità ha raccontato - di sontuose note spese. In quello stesso dipartimento, Napoletano insegnerà nientemeno che giornalismo politico economico. Gervasoni no, Napoletano sì. L'imbarazzo di fronte a una decisione oggettivamente censoria appare palpabile: la comunicazione sulla sua defenestrazione non è arrivata a Gervasoni per iscritto, ma solo con una telefonata (non sarebbe stato facile, forse, lasciare nero su bianco le motivazioni di una simile decisione), e casualmente la notizia gli è giunta dopo il voto di fiducia ricevuto dal Conte bis. Sicuramente una coincidenza. Tanto per capire come ci si regola altrove nel mondo, tempo fa un columnist del New York Times, Bret Stephens, aveva chiesto provvedimenti dopo un tweet di un docente della George Washington university. Il rettore, lungi dall'accettare logiche di epurazione, ha risposto con garbo sottolineando che le opinioni del docente «sono le sue personali», e che esiste un impegno dell'università a favore della libertà accademica e del free speech. Morale: l'editorialista è stato ufficialmente invitato al campus per un dibattito sulla discussione pubblica nell'era digitale. Aprire porte e finestre, moltiplicare le voci: e non censurare nessuno. Si sa, l'America è lontana. E ieri sera ad Atreju, dove Gervasoni ha presentato il suo libro, La rivoluzione sovranista, in compagnia di Maria Giovanna Maglie e Paolo Del Debbio, è stata proprio Giorgia Meloni a risollevare il caso. Interpellata dalla Verità, la leader di Fdi ha dichiarato: «Per la democratica sinistra sei libero di dire e fare quello che vuoi purché tu dica e faccia quello che vogliono loro. È successo anche nei confronti del professor Gervasoni, attaccato violentemente dall'Anpi per aver condiviso le mie posizioni sul caso Sea Watch. Fratelli d'Italia ha difeso pubblicamente, anche in Parlamento, il professor Gervasoni perché la libertà di pensiero è un diritto sancito dalla Costituzione e nessuno, tanto meno l'Anpi, può arrogarsi il diritto di censurare qualcuno. Gervasoni è un intellettuale libero e coraggioso ed è stato per noi un piacere ospitarlo ad Atreju».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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