2020-03-31
La Leonessa non riesce a ruggire
A Brescia situazione ancora grave. Nonostante i medici albanesi e polacchi, il nodo resta l'accesso agli ospedali. E qui manca ancora una soluzione per potenziarli.Non s'è guadagnata lo straziante onore di un reportage del New York Times, come Bergamo. Non sembra l'assillo di politici ed epidemiologi, come Milano. Eppure Brescia è ancora lì: sull'orlo del precipizio. Gli ultimi dati ratificano: la città, con 1.269 casi, è seconda per contagi solo al capoluogo della regione. Il rapporto tra positivi e abitanti resta spaventoso. E la provincia rimane la terza più colpita in Lombardia: 8.213 casi, altri 200 rispetto a domenica. Davanti c'è l'area del milanese e, appunto, il bergamasco. Tanto che il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, mite uomo di sicure sponde democratiche, ospite domenica sera di Che tempo che fa è stato inusitatamente risoluto: «Altro che barlume di uscita, qua siamo nel pieno della crisi. Non c'è nessuna parabola discendente, ma una crescita piatta. Non riusciamo ancora a confinare i contagi». E poi, ovviamente, c'è la morsa sanitaria: «Non ci sono nemmeno le bombole dell'ossigeno per aiutare le persone malate a casa», accusa Del Bono. Ma davvero hanno abbandonato la Leonessa d'Italia? Pure Matteo Salvini notifica: «Da Brescia, martoriata dal coronavirus quanto Bergamo, segnalano intoppi e difficoltà burocratiche che rallentano le forniture ossigeno, mascherine e guanti». Il leader leghista aggiunge: «In attesa che il governo fornisca il materiale richiesto da settimane, ho ringraziato il premier albanese, Edi Rama, per l'invio di medici e infermieri». Perché a Brescia, intanto, è arrivata la cavalleria da Tirana. Del resto agli Spedali civili della città, martoriati da oltre 300 contagi tra il personale sanitario, servono rinforzi. Bisogna gestire, innanzitutto, i 13 nuovi posti creati in terapia intensiva. Il direttore generale, Gianmarco Trivelli, ringrazia ma puntualizza: «Siamo grati per l'arrivo dei medici e degli infermieri albanesi, ma purtroppo rimane aperto un problema fondamentale: la presenza di specializzati in terapie intensive. Si sono presentati senza un documento che certifichi le loro competenze e ora saranno sottoposti a un esame per capire dove indirizzarli». Ieri sono sbarcati in città pure 15 dottori polacchi. Ma non bastano neanche loro. Servirebbero almeno altri 100 esperti di rianimazione. Il premier aveva assicurato che a Brescia sarebbe arrivata persino un'armata di militari russi, studiosi di disastri epidemiologici. Ma si sono fermati a Bergamo. I camici bianchi cinesi, invece, restano a Milano. E i cubani sembrano ormai dirottati a Crema.Ma a Brescia non mancano solo i medici e infermieri. Mancano soprattutto i posti letto. A Milano, in tempi rapidissimi, è stato inaugurato il nuovo reparto di terapia intensiva al San Raffaele. Anche il nuovo centro della Fiera, che potrà ospitare 400 pazienti, accoglierà i primi pazienti entro la settimana. E tra pochi giorni dovrebbe entrare in funzione pure l'ospedale da campo di Bergamo: 140 posti letto, di cui 72 di terapia intensiva. Invece a Brescia, nonostante contagi e decessi siano sovrapponibili a quelli delle due provincie lombarde, si continua a discutere. Meglio un ospedale da campo alla Fiera o in via Branze, vicino agli Spedali Civili? Nell'attesa, i pazienti con il Covid-19 finiscono addirittura in Germania. O in alcune regioni del Sud. E nel più vicino Veneto, tacciato però proprio dal sindaco di Brescia di scarsa attenzione. Ma è lo stesso governatore, Luca Zaia, a spiegare che non è aria: «Non abbiamo lasciato solo nessuno. A Verona ci sono pazienti bresciani arrivati perfino in macchina». Nessuno, adesso, dimentichi la Leonessa. Dall'inizio dell'epidemia, in tutta la provincia, sono morte 1.230 persone. Ultimo bollettino: altri 43 decessi. Il vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada, l'ha detto qualche giorno fa: «I suoni che ci accompagnano sono ormai le sirene delle ambulanze».