2022-03-08
La Germania frena su Kiev in Europa e blocco all’import di petrolio russo
Mario Draghi escluso dal colloquio tra Joe Biden, Olaf Scholz, Emmanuel Macron e BoJo. Giovedì vertice in Turchia tra i ministri dei Paesi belligeranti.È stata un’ennesima giornata di incertezza per la diplomazia internazionale, tuttora complessivamente incapace di opporre un’iniziativa consistente ai fatti compiuti che l’esercito russo realizza sul campo. A ben vedere, la carta più credibile, perché dotata di autorevolezza politica e forza morale, sarebbe la mediazione offerta dal primo ministro israeliano Naftali Bennett: anche il suo tentativo, culminato sabato in una missione a Mosca per incontrare Vladimir Putin, sembrerebbe gravemente indebolito. Ma forse non è del tutto naufragato: ancora ieri l’ambasciatore ucraino in Israele (lo testimonia un osservatore attento come Barak Ravid) ha evocato Gerusalemme come una possibile sede per colloqui con la Russia. Peccato che sempre ieri, però, il ministro degli Esteri ucraino abbia duramente attaccato Israele affermando che le linee aeree El-Al stiano aggirando le sanzioni contro la Russia accettando pagamenti attraverso il sistema russo Mir. E con inevitabile scetticismo, su tutt’altro fronte, va considerata l’iniziativa turca patrocinata da Recep Erdogan: fra due giorni, il 10, ad Adalia, in Turchia, alla presenza del capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu, dovrebbero incontrarsi i ministri degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov e Kiev Dmytro Kuleba. A essere pessimisti, c’è da temere le ambiguità e soprattutto le ambizioni di Erdogan, già sperimentate nel teatro libico. A essere ottimisti, c’è da considerare la possibilità che Putin, prima o poi, possa decidere di «premiare» una mediazione, scegliendo magari proprio quella turca. Ovvio che però, a quel punto, si tratterebbe di un altro segnale esplicito: nessuna potenza occidentale sarebbe considerata da Mosca un credibile power broker.Altro nodo intricatissimo è ovviamente quello dell’energia, in questo caso intesa come petrolio. Negli Usa cresce la spinta trasversale per estendere le sanzioni contro il petrolio di Mosca: l’amministrazione di Joe Biden sembra orientata in questo senso, e anche un quotidiano sempre molto critico verso i dem come il Wall Street Journal spinge in questa direzione (ieri c’era un editoriale dall’inequivocabile titolo: «Colpire Putin dove fa male, sanzionando l’export di petrolio russo»). E proprio ieri il segretario di Stato Antony Blinken ha evocato l’eventualità come un tema di discussione «con i nostri partner e alleati europei per esaminare in modo coordinato la prospettiva di vietare l’importazione di petrolio russo assicurandoci che ci sia ancora una fornitura adeguata di petrolio sui mercati mondiali». A stretto giro di posta, òa Germania - con Olanda, Canada e Regno Unito - ha detto no. Ecco il cancelliere Olaf Scholz: «In questo momento, l’approvvigionamento energetico dell’Europa non può essere garantito in nessun altro modo, ed è per questo che l’Ue ha escluso un embargo energetico dalle sanzioni imposte a Mosca». È da ritenere che Scholz debba fare i conti con considerazioni legate alla sua opinione pubblica: restrizioni energetiche sarebbero politicamente insostenibili. Peraltro, mentre il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, garantisce che «discuteremo della richiesta di adesione all’Ue dell’Ucraina nei prossimi giorni» e i vertici comunitari fanno sapere di aver già preso in considerazione la procedura d’esame delle domande di adesione di Kiev, Georgia e Moldavia, proprio Berlino (insieme ai Paesi Bassi), secondo Bloomberg, sarebbe per ora contraria alla valutazione della candidatura. Intanto, il greggio è schizzato a 140 dollari al barile, ai massimi dal 2008. E questo innesca un’altra partita complessa su cui i lettori della Verità arrivano già preparati (questo giornale ne ha scritto l’altro ieri): gli Usa, mentre vorrebbero chiudere al petrolio russo, cercano un’intesa sul nucleare iraniano, pensando inevitabilmente anche a forniture petrolifere da Teheran. E qui le versioni e le interpretazioni divergono. Prima ipotesi (ieri esposta in un altro durissimo editoriale del Wsj): è paradossale che Washington e Bruxelles chiedano aiuto proprio alla Russia per mediare con l’Iran. A quel punto - si potrebbe aggiungere completando il ragionamento del Wsj - gas e petrolio iraniano verrebbero venduti a prezzi altissimi, e Teheran avrebbe l’obbligo morale di supportare l’economia russa, provata dalle sanzioni. Seconda ipotesi, di segno opposto, e a sua volta non priva di verosimiglianza: potrebbe esserci una faglia tra Mosca e Teheran, nel senso che i russi potrebbero non essere contenti del fatto che gli iraniani si impossessino di una fetta più ampia di mercato energetico. Vanno intese in questo senso le proteste della diplomazia russa sul fatto che agli iraniani, in quei negoziati, gli occidentali avrebbero concesso troppo. Tensione vera o gioco delle parti? A ben vedere, siamo davanti al solito bivio, che si ripropone anche rispetto a eventuali interlocuzioni con la Cina. Alcuni, in genere nel campo dem internazionale, sono convinti di poter fare di volta in volta sponda con paesi strategicamente ostili. Altri richiamano invece il rischio che alla fine gli avversari geopolitici dell’Occidente si coordinino fra loro contro di noi. È questo il senso dell’intervista a Meet the press, storico programma tv di Nbc, di una potenziale candidata alle primarie dei repubblicani Usa, Nikki Haley, già ambasciatore all’Onu per due anni della presidenza di Donald Trump (2017-2019), e durissima contro Biden: «Non puoi chiedere alla Cina di aiutarti contro la Russia. (…) Loro si coordinano (…). Io non direi mai alla Cina qualcosa che non vorrei far sapere alla Russia».Intanto, a testimonianza della marginalità dell’Italia e di Mario Draghi, si è svolta ieri sera una videochiamata tra Biden, Scholz, Emmanuel Macron e Boris Johnson. Si è parlato di «assistenza umanitaria nell’area di crisi» e di «preoccupazione per un’ulteriore escalation russa». Roma, ancora una volta, resta fuori.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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