2018-08-22
La Francia molla l’Iran e «occupa» il Mali
Total è l'ultimo dei gruppi transalpini a lasciare Teheran. Un favore a Donald Trump in cambio dell'appoggio militare alle missioni in Sahel. Anche Theresa May manda uomini e mezzi. Il Paese è il tappo che frena le migrazioni verso la Libia: se saltasse, sarebbero guai per l'Italia.Addio Iran, la Parigi «scopre» il Mali, viste anche le sue importanti riserve di uranio, ma anche di petrolio e gas. Dopo aver ritirato le aziende dal regime degli ayatollah, la Francia del presidente Emmanuel Macron chiede in cambio agli Usa sostegno per le sue missioni in Africa. Più precisamente nel Sahel, dove le forze armate francesi guidano l'operazione Barkhane, una missione partita nell'agosto del 2014 con l'intento di fermare le milizie jihadiste che gestiscono il traffico di esseri umani e le loro sanguinose scorribande per il Sahel. Il Mali del presidente Ibrahim Boubacar Keïta è infatti il tappo che sta contenendo - non senza fatica - le migrazioni dall'Africa occidentale verso la Libia, che in buona parte dei casi hanno le coste italiane come destinazione finale. Macron ha espresso il suo sostegno a Keïta durante una telefonata intercorsa pochi giorni fa, in occasione della rielezione del leader maliano. In una nota l'Eliseo ha ribadito «l'impegno della Francia a restare al fianco delle autorità e del popolo del Mali per superare la sfida della lotta contro il terrorismo e favorire l'investimento e lo sviluppo economico». Per comprendere la situazione in Mali occorre partire da quella in Iran, dove Federica Mogherini appare sempre più isolata. L'Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri sembra infatti essere tra i pochissimi a credere ancora che il patto con l'Iran possa reggere davanti alla decisione statunitense di chiamarsi fuori. In un primo momento, all'annuncio del presidente statunitense Donald Trump, le cancellerie europee si erano compattate a difesa dell'accordo sul nucleare con Teheran, tanto voluto dalla Mogherini stessa, dal suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif e dall'amministrazione Usa guidata allora dal presidente democratico Barack Obama. Ma perfino l'asse francotedesco scricchiola davanti alla decisione di Trump e alle nuove sanzioni imposte dagli Usa, seguite dall'avvertimento della Casa Bianca: «Chiunque faccia affari con l'Iran non farà affari con gli Stati Uniti». Il primo a mostrare un riposizionamento filo Usa è stato il presidente francese Emmanuel Macron. Poi è toccato alla cancelliera tedesca Angela Merkel, che, pur ribadendo la volontà di preservare l'intesa sul nucleare, ha recentemente espresso preoccupazione per il programma missilistico di Teheran.Diversi gruppi hanno mollato l'Iran, dai francesi Psa (a cui appartengono i marchi automobilistici Peugeot, Citroën, Ds, Opel e Vauxhall motors) e Renault ai tedeschi Deutsche bahn (ferrovie), Deutsche telekom (telecomunicazioni) e la conglomerata Siemens, ma anche i big statunitensi degli aeromobili Boeing e la danese Maersk, la più grande compagnia di portacontainer del mondo. L'ultimo è stato Total, gruppo petrolifero con sede a Parigi, che ha deciso di ritirarsi da un progetto per lo sviluppo del South Pars, un grande giacimento di gas nel Golfo. Il contratto, del valore di circa 4 miliardi di dollari, era stato assegnato nel luglio del 2017 a un consorzio di cui facevano parte con la Total al 50,1%, la cinese Cnpc con il 30% e l'iraniana Petropars con il 19,9%. E in prima fila per mettere le mani sulla quota che era di Total c'è proprio la Cina. Basti pensare che il Dragone è il solo Paese al mondo a non aver ridotto le importazioni di petrolio iraniano. Anzi, le ha incrementate.Veniamo quindi al Mali. È qui che gli Usa hanno «ringraziato» la Francia per la sua fedeltà. Su pressione di Washington, sono accorse in aiuto di Parigi non soltanto 50 unità di fanteria dall'Estonia (Paese che aveva annunciato il sostegno all'operazione già a marzo), ma anche unità britanniche. Il governo di Londra guidato da Theresa May ha infatti inviato tre elicotteri da trasporto Chinook e un centinaio di militari a supporto dei 4.500 soldati francesi coinvolti. Ma si è sfiorato l'incidente diplomatico sull'asse anglofrancese, come rivelato dal Sun. La Francia, dopo aver implorato l'intervento del Regno Unito, avrebbe provato ad addebitare al ministero della Difesa britannico i costi dei ricambi degli elicotteri messi a disposizione delle forze francesi. Il tabloid racconta di un Gavin Williamson, il segretario alla Difesa di Londra, «furibondo» per i 2 milioni di sterline chiesti dall'alleato, che già aveva provato una mossa simile con l'Estonia. A Londra si dice che, con alleati come i francesi, non è necessario sforzarsi a trovare dei nemici. Ma Roma guarda con sospetto le attività anglofrancesi, pensando alle operazioni militari in Libia dei predecessori di Macron e May, cioè Nicholas Sarkozy e David Cameron. Allora, sotto guida Nato e su impulso dell'amministrazione Obama e dell'allora segretario di Stato americano Hillary Clinton, l'asse Parigi-Londra puntava a sconfiggere il dittatore libico Muammar Gheddafi. Non è necessario soffermarsi sulle conseguenze di quell'intervento per il nostro Paese. E i rischi legati alla situazione nel Sahel non sembrano da meno, visto il ruolo di tappo svolto dal Mali, ponte tra il deserto che conduce alla Libia e l'Africa occidentale. Se dovesse saltare il Mali, le coste libiche rischierebbero di riempirsi in breve tempo di migranti desiderosi di sbarcare in Italia. E non si può certo dire che la situazione da quelle parti sia in totale controllo: in un Paese grande due volte e mezzo la Francia, l'Eliseo ha invitato 4.500 soldati, quattro droni, otto caccia, 19 elicotteri, una decina di aerei da trasporto, 260 veicoli corazzati pesanti, 360 mezzi logistici e 210 blindati leggeri. Un contingente troppo piccolo, che preoccupa l'Italia. Che tuttavia ha una carta da giocarsi: grazie al ritrovato slancio atlantista favorito da un nuovo asse con Londra e Washington sulla Difesa, Roma, i cui interessi in Iran continuano a essere rilevanti, potrebbe rimanere in Iran come avamposto silenzioso degli Usa, chiedendo in cambio agli alleati sforzi maggiori nella gestione della situazione nel Sahel.
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