2018-09-25
La Francia chiede all'Onu di sanzionare i libici allineati a Roma
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All'Assemblea generale delle Nazioni unite il ministro degli Esteri transalpino Jean-Yves Le Drian parla di multe verso chi ostacola le elezioni in Libia che oggi vedrebbero favorito il generale Khalifa Haftar. Il comandante delle forze armate della Cirenaica che negli anni Novanta fu salvato dalla Cia e ha tuttora passaporto Usa.Francia e Italia continuano a litigare per la Libia, nonostante il governo di Fayez Al Serraj, sostenuto ormai soltanto più dall'Onu, sia per tutti destinato a una triste fine. Secondo il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, servono sanzioni internazionali contro chi blocca il processo politico in Libia. Lo ha detto a margine dell'Assemblea generale Onu in corso a New York, poche ore prima che il governo di accordo nazionale libico di Al Serraj raggiungesse il cessate il fuoco nella capitale Tripoli. La situazione attuale «impone di mostrarsi più duri contro chi desidera imporre lo status quo a esclusivo proprio beneficio», ha affermato il capo della diplomazia francese.L'attenzione è rivolta ai combattimenti nella capitale, dove oltre 100 uomini hanno perso la vita negli scontri dell'ultimo mese. In particolare, il ministro francese puntava il dito contro le milizie di Tripoli, accusandole di minare il processo di pace. L'obiettivo di Parigi erano le elezioni entro la fine dell'anno ma la comunità internazionale, dopo l'escalation di violenza, ha bocciato i progetti del presidente francese Emmanuel Macron e del colosso petrolifero transalpino Total, compatti a sostegno dell'uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar. Ormai Al Serraj, che ha dovuto rinunciare al viaggio a New York dopo le nuove violenze nella capitale, non ha al suo fianco neppure l'Italia, che pare averlo scaricato: Roma ha, infatti, riaperto il dialogo con Haftar: basti pensare che l'ambasciatore Giuseppe Perrone, che, dopo essere stato dichiarato a metà agosto «persona non gradita» dal parlamento di Tobruk (i cui militari sono guidati proprio da Haftar), non ha fatto più rientro a Tripoli. Ma se Macron è sostenuto da Total, anche per l'Italia pesa il fattore oro nero: le attività dell'Eni, infatti, sono concentrate in Tripolitania, terra di Al Serraj. Visti i recenti sviluppi, il ministro degli Esteri italiano, Enzo Moavero Milanesi, ha deciso di internazionalizzare il dossier, definendo quella della Libia «non una questione franco-italiana, ma dell'Europa intera». Francia e Italia avranno occasione per affrontare il dossier domani, quando Moavero Milanesi avrà un faccia a faccia con il collega francese Jean-Yves Le Drian. «Dobbiamo fare di tutto per coordinare al meglio gli sforzi», ha affermato il titolare della Farnesina, che ha poi sottolineato come sia necessaria «un'attenzione dell'Europa, il cui interesse è quello di avere un Paese stabile di fronte alle sue coste meridionali». Roma intende organizzare già a metà novembre in Sicilia, a Sciacca, una conferenza internazionale sulla Libia. E questi giorni a New York serviranno al ministro Moavero Milanesi e al premier Giuseppe Conte, che all'Onu siede al fianco di un Trump con il quale nei pochi mesi al governo ha già costruito un buon rapporto, per dare maggiore visibilità all'evento. Tanto che la Farnesina spera di riuscire a ottenere la partecipazione del presidente statunitense; altrimenti, il piano B prevede il coinvolgimento del numero uno della diplomazia di Washington, il segretario di Stato Mike Pompeo.Ma chi è Pompeo? Avvocato californiano, a fine anni Novanta si è trasferito a Wichita, nel Kansas, nota come la capitale mondiale dell'industria aerospaziale. Qui ha tessuto i suoi rapporti con i grandi gruppi della difesa statunitensi, ma anche europei, una rete che si è rivelata assai utile nel 2010, quando Pompeo conquistò un seggio alla Camera di Washington. Al Congresso si è sempre occupato di intelligence, difesa ed energia, diventando anche membro della commissione sull'attentato terroristico di Bengasi, in Cirenaica, del 2012, in cui perse la vita l'ambasciatore statunitense Christopher Stevens. Con l'avvento di Trump alla Casa Bianca, Pompeo è diventato capo della Cia, prima di passare al dipartimento di Stato ad aprile. Ed è proprio la Cia ad aver salvato nel 1990 Haftar, condannato a morte in patria dal regime di Muammar Gheddafi, del quale fino alla guerra con il Ciad era amico. Fu portato nel Nord della Virginia, non lontano da Langley, dove ha sede la Cia, agenzia con la quale negli anni ha collaborato riuscendo anche a ottenere la cittadinanza statunitense. Nel 2011 Haftar è tornato in patria per combattere l'ex amico Gheddafi. Una parentesi di nuovo in Virginia «a godersi i nipotini», ma nel 2014 è già di nuovo in Libia. C'è bisogno di «un salvatore» gli avevano detto gli amici, ha raccontato lui. Ed è per questo che nei giorni di assemblea Onu l'Italia sta lavorando anche attraverso la sua intelligence con l'obiettivo di trovare in Trump una sponda utile a spingere la sua agenda: a novembre la conferenza e le elezioni libiche in primavera. Più tempo, cioè, per aiutare l'Eni nel certo quanto complesso cambio di regime sulla Tripolitania.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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