
Scontro sul no italiano alle richieste del Louvre di avere le opere vinciane per la grande mostra del 2019. Ma è un vizio dei cugini d'Oltralpe quello di prendere le nostre cose e spacciarle per proprie. Vedi Monna Lisa.Tempi grami per i cugini d'Oltralpe, costretti non solo a patire con Bruxelles per non finire a ferro e fuoco, ma pure a mendicare opere d'arte all'odiosa-amata Italia. Il museo del Louvre, con la tipica megalomania francese, ha in programma per l'anno prossimo una mostra «totale» su Leonardo da Vinci, del quale ricorre il cinquecentenario della morte. Il Louvre aveva già ottenuto dal precedente governo delle vantaggiose, anzi supine condizioni: la traslazione in Francia di tutte le opere vinciane possedute dallo Stato italiano (ché alcune appartengono al Vaticano).Ora però con il cambio di governo e soprattutto di interlocutori ai Beni culturali, da Dario Franceschini - ministro innamorato della propria voce - a Lucia Borgonzoni - sottosegretario innamorato dell'arte - l'andazzo è notevolmente cambiato.La Borgonzoni infatti (per una volta un sottosegretario che l'arte la conosce davvero) ha subito silenziato le pretese francesi, tra l'altro fatte pervenire all'Italia con una sorta d'intimazione, ossia una lista di opere vinciane improcrastinabili inviata via mail quasi si trattasse della nota della spesa buttata lì alla serva. Dopo il patriottico adagio Biagio proferito dalla Borgonzoni, adesso anche il direttore degli Uffizi - Eike Schmidt - nega al Louvre il prestito di «qualsivoglia opera vinciana» per quei motivi di sicurezza e conservazione che lo stesso Louvre, d'altronde, adduce infastidito quando qualche museo italiano implora il prestito della Gioconda.Sicché quella che doveva essere la mostra definitiva sul genio italiano di Leonardo - messa però in piedi dai francesi - rischia di trasformarsi in un solenne flop, con i curatori che sono costretti a ripiegare sull'orrido multimediale in mancanza dei sublimi originali. Ben gli sta, vien da dire. I francesi godono a tormentarci con il sorriso malizioso della Monna Lisa (come quando dopo i Mondiali la travestirono con la maglia dei Blues) sempre sottolineando inoltre, e con perfidia, che essi la detengono legalmente. Se è vero che il fatidico quadretto fu acquistato dalla Francia nella persona di Francesco I in modo legale, è altresì vero che quello è uno dei loro pochi capolavori stranieri «regolari». Basta leggere il classico libro dello storico Paul Wescher, I furti d'arte. Napoleone e la nascita del Louvre, per esserne perfettamente edotti.Delle oltre 500 opere razziate da Napoleone durante la campagna d'Italia (per tacere delle sue guerre nelle altre nazioni con annesso bottino) appena la metà è ritornata qui con la Restaurazione. E non si tratta di vasellame o cassapanche, ma di capolavori inarrivabili di Cimabue, Giotto, Angelico, Mantegna, Perugino, Pontormo, Veronese, Reni; opere che ancora adesso stanno in bella mostra al Louvre con la dicitura - colmo della beffa - Campagne d'Italie. Sommando tutti i furti e le spoliazioni napoleoniche che ci sono state in giro per l'Europa e l'Oriente, Wescher può concludere senza troppo esagerare che il Louvre, più che un museo, assomiglia al magazzino di un ricettatore. Che poi le opere italiane abbiano in Francia maggior visibilità, come i francesi sostengono, è una dichiarazione che fa il paio per spregio e sfottò con la risposta che il British museum diede al governo greco, quando questi reclamò la restituzione dei frontoni del Partenone: «Da noi si vedono meglio».La storia lo insegna: è un malvezzo peculiare dei francesi quello di prendere idee italiane e spacciarle per roba propria. Si studi la storia dell'arte o del costume, dalla cucina alle buone maniere: tutte le strombazzate invenzioni francesi hanno un'origine italiana. Tanto che se non fosse stato per Caterina de' Medici, probabilmente i francesi mangerebbero ancora senza la forchetta, così come riescono a fare a meno del bidet.Al più si può dire che l'autentico genio transalpino è quello dell'imitazione, dello scimmiottare deridendo; non a caso uno spirito super partes come Arthur Schopenhauer li definiva «le scimmie d'Europa», assegnando all'Italia - erede ben più diretta dei Romani - lo scettro di maestra delle genti. I francesi (questo bisogna almeno riconoscerglielo dopo tante legnate) sono abilissimi nell'illuminare loro stessi e le loro cose, lasciando gli altri, magari ben più meritevoli, in ombra e disgrazia; sono dei bravi illuminotecnici o se si preferisce dei mirabolanti prestigiatori. In quest'arte, per esempio, Emmanuel Macron riesce a essere migliore persino del nostro Silvan. Solo un grande mago può farsi populista da tecnocrate, sforare il 3 per cento senza incorrere nella procedura d'infrazione dell'Unione europea, continuando a guardarci dall'alto in basso e impartendo lezioni: Sim Salabim.
        Javier Milei (Ansa)
    
Pubblicata anche in Italia l’autobiografia di Javier Milei, il presidente argentino che ha stravinto le elezioni di metà mandato. La sua missione è riabilitare il capitalismo come principale leva di sviluppo: «Punire chi guadagna non porta giustizia sociale».
        Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
    
Riunione in Egitto tra le principali fazioni. Il portavoce dell’Anp: «Poste le basi per un governo unitario, stop ai gruppi armati». Ma c’è già divisione sul possibile successore di Abu Mazen, Hussein al-Sheikh, inviso alla popolazione per l’elevato tenore di vita.
        (Guardia di Finanza)
    
La Guardia di Finanza ha scoperto una rete di aziende gestite da imprenditori spagnoli che hanno ottenuto indebitamente incentivi per la produzione di energia solare. Sequestrati conti correnti, immobili e impianti fotovoltaici.
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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