2020-01-31
La fase 2 di Conte procede così spedita che non è ancora riuscita a partire
Iniziata la verifica tra i giallorossi. Nessuno vuole decidere, tutti prendono tempo in attesa di spartirsi le 300 nomine pubbliche.Il valzer (lento, anzi lentissimo) della verifica è iniziato ieri sera, con un vertice con Giuseppe Conte e i capidelegazione di Pd, M5S (con l'esordio di Alfonso Bonafede al posto di Luigi Di Maio come capofila dei pentastellati al governo), Leu e renziani di Iv. Seguiranno naturalmente altri incontri, dopo che il premier ha lungamente sottolineato la sua attenzione al «metodo». Al di là del modo in cui Conte cerca da giorni di infiocchettare le cose (di qui la sua insistenza contro le «bandierine» dei singoli partiti e il gioco delle differenziazioni), tutti i partecipanti al tavolo sono arrivati concordi su un punto indicibile e imbarazzante agli occhi degli elettori: durare, comprare tempo, buttare la palla avanti. Nessuno vuole elezioni che, per i giallorossi, sarebbero una punizione certa.Dunque, ecco quella che potremmo chiamare la strategia della moviola. Le regionali in Emilia Romagna hanno offerto una mini bombola di ossigeno; il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari consente di guadagnare altre settimane; le 300 nomine pubbliche in palio in primavera saranno una specie di viagra spartitorio in grado di rianimare gli appetiti del quadripartito. Su tutto il resto, meglio rallentare e risparmiarsi reciproci interventi a gamba tesa.È per questo che dalla riunione di ieri inizia un doppio film: il film che vedremo in tv (dove le forze politiche rivendicheranno in modo stentoreo i loro cavalli di battaglia), e il film assai più sonnacchioso che sarà proiettato in Parlamento, dove invece la maggioranza farà melina concentrandosi su provvedimenti indolori.Il tentativo, già ieri, è stato quello di dimenticare le bombe disseminate sul cammino. Enumeriamole: i 47 miliardi di clausole di salvaguardia (20+27) che già ipotecano le prossime due leggi di bilancio; il nodo delle concessioni autostradali; la giustizia e la prescrizione; Ilva; Alitalia.I partiti non solo vogliono schivare questi scogli, ma tengono ben chiuse nelle loro cartelline le loro proposte più incendiarie. O meglio: le declamano solo a uso di telecamera, senza andare troppo oltre. Esempi? Conte rilancerà il mantra della lotta all'evasione; i grillini - a parole - vorrebbero il salario minimo e una mega legge sul conflitto di interessi; i renziani - sempre a chiacchiere - vorrebbero smontare i progetti di Bonafede sulla giustizia; Leu vorrebbe archiviare il jobs act renziano; il Pd ha fatto conferenze per preannunciare lo ius soli. Ma, a meno di sorprese (sempre possibili), la sensazione è che la versione più estrema di queste proposte non sia destinata a vedere la luce. E allora ecco il secondo film, quello dei provvedimenti che effettivamente saranno varati, in cui le forze politiche porranno l'accento su temi per loro meno divisivi. I renziani insistono sul loro piano per lo sblocco delle opere infrastrutturali; mentre sui decreti sicurezza il tentativo sarà quello di coprirsi dietro le osservazioni del Capo dello Stato (che peraltro firmò i decreti voluti dall'allora ministro Matteo Salvini). La maggioranza sa che, in caso di interventi più provocatori (pure auspicati da diversi settori incendiari della coalizione giallorossa), le opposizioni avrebbero gioco facile a indire un referendum abrogativo su sicurezza e immigrazione. Le due partite più difficili da interpretare riguardano tasse e pensioni. Sul fisco, renziani e grillini vorrebbero rivedere le aliquote Irpef, mentre il Pd insiste sull'intervento sul cuneo. Quanto alle pensioni, la sensazione è che in diversi nella maggioranza stiano ragionando su cosa possa venire dopo la sperimentazione di quota 100. In entrambi i casi, il nodo è quello delle risorse, anche in considerazione della già citata spada di Damocle dei 47 miliardi di clausole. E allora? Ci sono tre aree da cui recuperare soldi: proprio quota 100, il reddito di cittadinanza, e alcuni aumenti Iva. Temi però elettoralmente radioattivi. Alla vigilia della riunione, c'erano quattro paginette di tabelle che giravano nelle stanze che contano del M5s: il titolo del file, che La Verità ha potuto esaminare, è «Cronoprogramma M5s - Priorità». E i contenuti rispecchiano la logica della melina e del piccolo cabotaggio. Attenzione, però: pur annacquate, ci sono proposte ammazza-Pil e ammazza-crescita. Il primo blocco riguarda il commercio, con la proposta di regolamentare in senso restrittivo le aperture domenicali. Nel tentativo di circoscrivere i danni, i grillini insistono sulla chiusura dei centri commerciali, escludendo quindi i negozi nei centri storici e quelli di quartiere. Ma resta il fatto che la misura rischia di non giovare alla crescita economica e agli acquisti. Il secondo blocco riguarda l'energia e l'ambiente, con un pacchetto pomposamente definito Green New Deal. Molta fuffa e molto gretinismo: «Autoconsumo collettivo e comunità energetica», recepimento delle direttive europee sul Clean Energy Package (altre centinaia di pagine di devastante regolamentazione burocratica in materia ambientale), riforma del mercato elettrico, certificati bianchi. Ma la parte più insidiosa è quella dei meccanismi fiscalmente premiali o punitivi (bonus/malus) rispetto alle imprese, che rischiano una stangata.L'ultimo blocco, per ora, non va oltre il titolo: si tratta della riforma del demanio marittimo, con il tema delle spiagge e delle relative concessioni. Ma - su tutto - siamo solo al calcio d'avvio di una partita dai ritmi lentissimi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)