2022-05-05
Lo scontro tra governo e Parlamento fa deragliare le riforme
Mario Draghi non riesce a far passare il nuovo catasto. Si arena il ddl sulle liberalizzazioni: i partiti giustamente dicono no alle gare su centrali idroelettriche e spiagge. Non basta minacciare la fiducia per imporre le leggi.Quando le sorti dell’Italia erano ancora magnifiche e progressive, nel primo semestre del governo di Mario Draghi, sembrava che sulla scia dei promessi soldi del Pnrr tutto fosse possibile. Che fosse agevole e facile portare a termine le riforme con o senza il Parlamento. Così il governo ha pensato bene di allegare alle tabelle del Recovery fund nostrano una lista di interventi e riforme vincolanti. L’idea di per sé non è certo malvagia. Il problema è quali riforme portare avanti e chi le decide, soprattutto. Inoltre con il passare dei mesi si è fatta confusione su quali riforme effettivamente siano vincolanti per incassare gli assegni del Pnrr e quali invece siano facoltative. Il caso della delega fiscale con tanto di nuovo catasto è emblematico. La riforma del Fisco non è assolutamente imprescindibile eppure da mezzo governo è spacciata per tale. Con il risultato che fino a oggi Palazzo Chigi ha cercato il più possibile di forzare la mano per far ingoiare al Parlamento qualcosa che senatori e deputati già a giugno del 2021 avevano dichiarato irricevibile. La riforma del catasto così come impostata dal governo Draghi prevede al termine dell’iter, nel 2026, un passaggio dai valori reddituali a quelli patrimoniali. A quel punto con un semplice decreto basterà agganciare l’Imu ai secondi per dare il via a una mega patrimoniale che si aggiornerà ogni anno. Lo dimostra il fatto che la settimana scorsa, quando a trattativa avanzata e con numerosi incidenti in commissione si è arrivati a un testo che esplicitasse il no al passaggio tra valori e quindi il no a nuove tasse, Palazzo Chigi ha di nuovo fatto saltare il banco. Ieri, quando si è riunito l’ufficio di presidenza per decidere se riportare in Aula la delega così come è (da calendario sarebbe stato previsto per il 9 maggio), si è deciso di rimettere il tutto in frigorifero. Per chi è contrario a nuove tasse è un bene. In fondo perché lottare per far approvare una riforma che non va bene? Per chi invece come Draghi immaginava di chiudere la partita addirittura prima del 20 gennaio, cioè del voto per il Colle, è un problema o come minimo uno smacco. Si può sempre minacciare il voto di fiducia se si è convinti che tanto il centrodestra non vorrà mai pigiare il pulsante dell’autodistruzione del governo. Ma più passa il tempo, più ci si avvicina al voto o a un momento in cui il voto anticipato farà paura a pochi. E comunque la forzatura sul catasto, indecente dal punto di vista dei criteri democratici, non garantirebbe comunque il riavvio dei rapporti tra governo e Parlamento. Le tensioni toccano anche un’altra riforma, quella sulla concorrenza. E in questo caso sì parliamo di un pilastro del Pnrr. Ieri si è tenuta un’altra riunione di maggioranza sul ddl tanto caro a Draghi. Nella riunione del mattino è stata trovata l’intesa sul primo dei 32 articoli, quello relativo alle finalità del ddl, sul 14 relativo alla distribuzione dei farmaci, sul 15 in materia di rimborsabilità dei farmaci equivalenti, sul 16 che riguarda quelli in attesa di definizione del prezzo e sul 30, sulla procedura di transazione, che rientra nel capitolo del rafforzamento dei poteri in materia di attività antitrust. Nel pomeriggio sempre alla presenza del sottosegretario Roberto Garofoli si sarebbe trovata la quadra sui servizi pubblici, ma il nodo vero è rimasto irrisolto. Il governo vuole mettere a gara gli impianti idroelettrici. Il centrodestra, Italia viva e pure i 5 stelle sono di parere opposto. Va ricordato che la relazione sull’energia del Copasir raccomanda vivamente di non mettere a gara l’idroelettrico per tutelare la sovranità energetica. Non serve spiegare il motivo. La guerra in Ucraina ha svelato le debolezze di chi acquista energia dall’estero. Mantenere almeno le centrali in italiane è un passo. Nelle trattative andate avanti fino a tarda sera è spuntata anche l’ipotesi di applicare il golden power allo specifico comparto. Il rischio è di fare un pasticcio. Come si può avviare bandi di gara e poi al termine mettere un veto? È contro il principio stesso. Motivo per cui un testo che, è bene ricordare, era fermo da oltre tre anni, rischia di finire di nuovo nel cassetto. E, almeno per la parte relativa all’elettricità, con buone motivazioni. Oggi e domani la trattativa dovrebbe continuare. In ballo c’è pure l’annosa questione delle concessioni balneari. Anch’essa uno scoglio non facile da superare per il governo. Ciò che quindi è chiaro è che nei rapporti con il Parlamento questo governo è arrivato a toccare il soffitto. Nelle prossime settimane o sfonda il blocco o i rapporti implodono. Con tutto ciò che ne segue in una struttura che si basa sulla democrazia parlamentare. Dopo due anni di emergenza vera o falsa è bene ricordare che le leggi competono all’Aula. Decreti e dpcm sono dei surrogati che spesso fanno comodo a tutti. Sulle leggi delega e sulle leggi ordinarie, però, non si scappa. Sebbene resti l’alternativa tutta italiana di posticipare a dopo ottobre, immaginando che questo governo si esaurisca prima.
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Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)