
Nel tempio della Silicon Valley, politicamente votato al feticcio della parità, viene fatta un'indagine per scoprire se le donne subiscono trattamenti di sfavore. Sorpresa: a essere sottopagati sono in realtà gli uomini. Intanto il Me too travolge pure l'hi tech. Fu James Damore, ingegnere licenziato da Google per via delle sue idee politiche, a raccontare alla Verità che all'interno del colosso della Silicon Valley domina «un'ideologia di sinistra che è estremamente concentrata sull'uguaglianza di trattamento per tutti i gruppi di persone. Un'ideologia che limita i discorsi che potrebbero in qualche modo urtare quelli che si ritengono marginalizzati». Sempre Damore, però, chiarì che questa ossessione per «l'uguaglianza» non valeva proprio per tutti i gruppi di persone. Qualcuno, per Google, è meno uguale degli altri: i maschi, specie se bianchi. Nel gennaio del 2108, James Damore - tramite l'avvocato Harmeet Dhillon (una donna) - ha lanciato una class action contro il moloch del Web presso la Corte superiore di Santa Clara, in California. L'accusa rivolta all'azienda era quella di discriminare i maschi bianchi con opinioni politiche differenti da quelle dei dirigenti della corporation. A sostegno della sua tesi, Damore ha presentato un documento di 161 pagine, il cui scopo era quello di rappresentare tutti gli impiegati discriminati in virtù «delle loro posizioni politiche percepite come conservatrici», «del loro genere maschile» e «della loro razza caucasica». Secondo James e i suoi legali, «i manager di Google fanno di tutto - in modo illegale - per incoraggiare i responsabili delle assunzioni a scegliere e promuovere categorie protette in base al sesso e alla razza, danneggiando gli impiegati (attuali e potenziali) di sesso maschile e/o bianchi».Non solo: «Google utilizza quote illegali di genere per raggiungere le percentuali desiderate di donne e minoranze preferite» e «imbarazza pubblicamente i manager a capo delle varie divisioni se non raggiungono quelle quote». Inoltre, nell'azienda vengono apertamente denigrati i «dipendenti maschi e caucasici». Damore raccontò addirittura che la presenza di maschi bianchi alle riunioni settimanali era accolta «con plateali “buuuu"». Ovviamente, quando dichiarò tutto questo venne per lo più trattato come un mezzo matto. Come il solito conservatore dalla mente bacata che odia i progressisti digitali. E invece, a quanto pare, Damore non aveva tutti i torti. Il New York Times ha rivelato che «Google ha condotto di recente uno studio per determinare se la compagnia stesse sottopagando le donne e i membri delle minoranze e ha scoperto, con sorpresa di quasi tutti, che agli uomini veniva pagato meno denaro delle donne per fare lo stesso lavoro». In pratica, Google ha discriminato i maschi. La notizia è clamorosa, soprattutto se si considera quanto accaduto all'interno dell'azienda digitale negli ultimi anni.Tutto è cominciato nell'aprile del 2017, quando il Dipartimento del Lavoro del governo americano ha accusato Google di compiere «sistematiche discriminazioni nei confronti delle donne». Janet Herold, avvocato del Dipartimento, spiegò che una indagine governativa aveva scoperto che «a Google la discriminazione nei confronti delle donne è estrema». Nei mesi seguenti la situazione non ha fatto che peggiorare. Nel settembre del 2017, tre dipendenti di Google - Kelly Ellis, Holly Pease e Kelli Wisuri - hanno pubblicamente accusato l'azienda di maltrattamenti nei confronti delle donne, e hanno deciso di lanciare una class action, cioè un'azione legale collettiva che - secondo il New York Times - potrebbe arrivare a coinvolgere 8.300 dipendenti.Alla fine di ottobre del 2018, poi, ai dirigenti di Google è arrivata un'altra bordata. I dipendenti di oltre 20 sedi della corporation - personale di Zurigo, Londra, Tokyo, Singapore, Berlino e New York - ha organizzato una protesta contro le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Secondo costoro, in azienda ci sarebbero «comportamenti inappropriati, mancanza di trasparenza e una cultura del lavoro che non funziona per tutti». Sundar Pichai, ceo della compagnia, ha ammesso di aver licenziato 48 persone per molestie (compresi alcuni dipendenti di altissimo profilo). A stretto giro, l'azionista James Martin ha fatto causa al consiglio di amministrazione di Alphabet (la casa madre di Google), accusata di aver concesso buonuscite enormi a dirigenti accusati di molestie per convincerli a lasciare l'incarico senza creare problemi.Il peso del Me too e le paranoie sul razzismo che ormai dominano l'America si fanno sentire. Così, quando è arrivato il momento dell'indagine interna annuale sui pagamenti, il clima era piuttosto teso. Questa indagine ha riguardato il 91% dei dipendenti di Google, confrontando salari e bonus per ogni posizione. Alla fine, l'azienda ha deciso di distribuire un totale di 9.7 milioni di dollari a 10.677 dipendenti per riequilibrare le differenze salariali. L'aspetto più sorprendente della faccenda, però, è che la maggioranza degli impiegati ad aver ricevuto la compensazione sono uomini. Dopo anni di battaglie protofemministe, dopo le accuse di sessismo e discriminazione nei confronti di donne e minoranze, ora si scopre che l'azienda ha maltrattato i maschi. Sui giornali americani, ovviamente, c'è già chi protesta: pure Forbes ha avanzato dubbi sull'attendibilità dell'indagine interna sui salari. Sapete com'è: se il maschio non fa la figura dell'oppressore, a qualcuno non sta bene.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






