2019-03-15
La difesa del business passa dal Tar: le coop rivogliono 35 euro a profugo
La riduzione degli stanziamenti, decisa dal ministero dell'Interno, non va giù ai paladini della bontà. Cinque sodalizi lombardi si sono ritirati dalla gara indetta dalla prefettura di Milano e hanno fatto ricorso.Il business dei profughi si appella al Tar. Non è uno scherzo, è un ricorso vero e proprio. Cinque cooperative, infatti, si sono rivolte al mitologico tribunale amministrativo del Lazio, già noto per le sue meravigliose sentenze (quelle per cui la musica è vietata perché fa rumore e gli studenti asini devono essere promossi anche se non studiano), per chiedere un'altra esibizione di italico ingegno giuridico: come far spendere allo Stato più soldi e ingrassare la Migranti & partners spa, nota industria dell'accoglienza. La quale, evidentemente, non esita a passare dalle piazze colorate alle carte bollate. Profuse queste sì, con vera generosità. Che ci volete fare? La riduzione degli stanziamenti, decisa dal ministero dell'Interno, non va giù ai paladini della bontà: fino a qualche mese fa prendevano, in media, 35 euro al giorno per ogni immigrato ospitato, ora soltanto 20. Ne stanno facendo una tragedia e si capisce anche perché: i 35 euro al giorno (l'equivalente di 1.000 euro al mese) hanno consentito di accumulare tesoretti significativi a tutti coloro che hanno preso parte al banchetto della Profughi Pacchia & associati, come abbiamo raccontato in questi anni. Piccole cooperative che sono diventate colossi con milioni di fatturato, teorie di idraulici e carpentieri che si sono buttati a corpo morto nel business, associazioni folkloristiche che si sono improvvisate esperte di accoglienza soltanto per rimpinguare i conti in banca. È noto, insomma, che i 35 euro al giorno sono stati per lungo tempo una mucca da mungere. E pazienza se a rimetterci sono state le nostre tasche: sono costati infatti circa 5 miliardi di euro l'anno, più di quanto stanziato nell'ultima manovra per quota 100… Che 35 euro fossero troppi lo dimostra, per altro, non solo il fatto che in troppi ci hanno fatto la cresta su, riempiendosi le tasche, ma anche che in Europa la media è assai più bassa, attorno appunto a 20 euro al mese. Del resto, ci si è sempre chiesti: se lo Stato pensa che un anziano, che ha pagato per una vita tasse e contributi in Italia, possa sopravvivere con 480 euro al mese, perché per mantenere un immigrato appena sbarcato ne deve stanziare più del doppio? La riduzione, perciò, appare ragionevole ai più. Ma non alle cooperative che, per l'appunto, da quel sovrappiù monetario hanno sempre tratto sostentamento per nutrire la loro infinità bontà. Così all'apparire dei nuovi bandi con le cifre tagliate è partita la protesta all'insegna del «dacci oggi il nostro 35 euro quotidiano». In fondo si sa che tutto ha un prezzo. Perfino la generosità. I primi a manifestare insoddisfazione per le minori entrate sono state le cooperative dell'Emilia che la scorsa settimana hanno presentato un documento di fuoco, in cui dicevano che riducendo la somma da 35 a 20 euro veniva messo in discussione «l'utile di impresa». Proprio così: l'»utile di impresa». Del resto chi è che non fa solidarietà pensando all'utile d'impresa? Ora, invece, si fanno sentire le cooperative della Lombardia. Che, essendo assai più pragmatiche, non si sono perse in inutili proclami, ma hanno presentato, per l'appunto, un ricorso al Tar di Roma, chiedendo di annullare il bando della prefettura di Milano (che scadeva il 12 marzo) perché esso «non rispetta gli standard di qualità» e «va a discapito della professionalità degli operatori». Tradotto e in parole semplici: arridatece er grano. Le cinque cooperative, ovviamente, hanno coperto la loro richiesta monetaria sotto una montagna di belle parole, facendo riferimento alla «nostra proposta politica e culturale», ovviamente «al bisogno di percorsi di inclusione», con riferimento alle «situazione di fragilità» e all'»alternativa a un sistema di puro assistenzialismo che si allontana dall'attenzione verso la persona», con l'obiettivo ovviamente di «avere un Paese integrato nella sua dimensione sociale e umana». Una meravigliosa supercazzola per cercare di nascondere ciò che ormai è manifesto: siccome si agisce in nome della solidarietà, ci vogliono 35 euro al giorno. Se non ci sono 35 euro al giorno, non c'è nemmeno la solidarietà. Infatti le cinque cooperative non hanno partecipato al bando della prefettura di Milano. Si capisce: vale la pena essere buoni per appena 20 euro al giorno? Così le cinque cooperative si sono ritirate dalla gara e hanno aperto il contenzioso. Avvocati in prima fila e ricorso al Tar, noto Tribunale dell'amore riconoscente, giudice supremo dell'Umana generosità, luogo da sempre deputato a occuparsi di sentimenti fraterni e solidali. Adesso aspetteranno la sentenza. Sono, per la cronaca, la cooperativa Diapason, la cooperativa Lotta contro l'emarginazione, la cooperativa Il Melograno, la cooperativa Passpartout e la cooperativa Fuori luoghi. Il nome di quest'ultima, per altro, è già un programma. Che cosa c'è di più fuori luogo, in effetti, di un ricorso al Tar per difendere il business dei profughi? L'unico timore, conoscendo come funziona l'immarcescibile tribunale di Roma, è che la risposta possa essere persino peggiore della domanda. Non stupirebbe, infatti, considerate le loro storiche imprese, vedere i magistrati amministrativi che scelgono di favorire l'unica accoglienza (per di più dispendiosa) che non può essere disciplinata dal ministero dell'Interno. L'accoglienza del ricorso, ovviamente.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.