2019-01-08
La cultura del piagnisteo domina lo schermo
Ai Golden globe è andato in scena il trionfo delle minoranze: Me too, istanze arcobaleno, banalità sul razzismo e i migranti L'ideologia veicolata dall'industria dell'intrattenimento di massa dà forma all'Occidente. E impone la solita visione globalista. avanti le fissazioni con patologica ostinazione. Alla cerimonia di premiazione dei globi dorati si sono sprecati i riconoscimenti e gli economi a Bohemian Rhapsody, il film che riduce Freddie Mercury a icona gay e trasforma gli aristocraticissimi Queen nei cantori degli emarginati. A completare la quota arcobaleno ci sono il premio per la miglior miniserie a American Crime Story: L'assassinio di Gianni Versace e quello per miglior attore non protagonista in una miniserie a Ben Whishaw per A Very English Scandal. Sandra Oh - conduttrice della serata - si è portata a casa anche il trofeo di miglior attrice in una serie drammatica: è la prima donna di origini asiatiche a raggiungere questi risultati, aspetto da non sottovalutare. La «quota latinos», invece, è stata colmata dal premio a Spider-Man: Into the spider-verse (dove Spiderman è il nero-latino Miles Morales) come miglior film d'animazione. Come miglior film straniero è stato scelto Roma, di Alfonso Cuarón, regista messicano che - al suo solito - si è subito speso a favore dell'immigrazione con una dichiarazione illuminante: «Il cinema è per costruire ponti e abbattere muri». Molto originale... Tanti premi anche a Green book, un film di nicchia sull'amicizia tra un afroamericano e un italoamericano nella «America razzista degli anni Sessanta». A pagare il dazio all'antirazzismo è arrivato pure il riconoscimento a Regina King, miglior attrice non protagonista in Se la strada potesse parlare, ispirato al libro di James Baldwin (icona della cultura black). Inchino anche ai musulmani: Mahershala Ali ha vinto il globo come miglior attore non protagonista (sempre per Green book), dopo essere stato il primo attore di fede islamica, nel 2017, a ritirare un Oscar. Non potevano mancare, ovviamente, i buffetti al Me too, tipo la coccarda di miglior attrice in una serie tv comedy a Rachel Brosnahan per La fantastica signora Maisel, storia di una comica donna che sfida le convenzioni nell'America sessista. A fronte di tutto ciò, il premio a Christian Bale come miglior attore per Vice (in cui interpreta Dick Cheney) fa quasi sorridere. Bale ha dichiarato di essersi ispirato a Satana per interpretare l'ex uomo nero dell'amministrazione Bush, ma l'impatto politico della sua pellicola è nulla rispetto all'indigestione ideologica causata da tutti gli altri Golden globe. Ed eccoci al punto. Che il punto di vista liberal domini il cinema americano (e non solo) è cosa arcinota e pure banale. Non stupisce né sconcerta. I Golden globe, come gli Oscar, sono l'autocelebrazione che annualmente si concedono i vertici dell'industria dell'intrattenimento di massa. Una industria che continua a esercitare un'influenza enorme su tutto l'Occidente. I pensieri, la sensibilità e le opinioni politiche di uno sterminato numero di persone prendono forma anche grazie ai film e alle serie tv. Opere che - nelle maggioranza dei casi - veicolano sempre lo stesso messaggio.Una delle serie più rilevanti degli ultimi anni, per dire, è Grey's anatomy, di cui va in onda su Sky la quindicesima stagione (l'emittente ha realizzato pure un canale retrospettivo per trasmettere tutte le vecchie puntate). È una specie di festival della minoranza oppressa: molestie sessuali, coppie gay e lesbiche con e senza figli, transgender, tirate sul razzismo... Non c'è battaglia buonista che manchi. Questi sono i prodotti dell'ingegno e della creatività fruiti dagli occidentali. Serie di questo tipo o prodotti come quelli premiati ai Golden globe hanno un impatto che i romanzi controvento di Michel Houellebecq si possono solo sognare. Bohemian Rhapsody, tanto per fare un esempio, ha incassato a livello globale 670 milioni di dollari ed è stato il film più visto in Italia nel 2018. Ecco perché - sebbene il vento politico sia cambiato nel nostro Paese e in molti altri - è così difficile opporsi alla gabbia mentale della correttezza politica. A formare il nostro senso comune, oggi, sono per lo più prodotti ideologicamente orientati. Magari ben fatti, talvolta persino geniali, ma a senso unico. Anzi, a pensiero unico. Si possono scrivere mille articoli su certe follie gender, poi arrivano serie tv come Butterfly o come Pose a supportare le istanze Lgbt e tutto passa in cavalleria. Ci si può opporre al globalismo che ci vuole tutti migranti, poi arrivano a pioggia film gonfi di retorica antirazzista a fare piazza pulita. Questa è la vera sfida per la cultura occidentale: sopravvivere all'ondata appiccicosa di politicamente corretto. Ora stanno emergendo posizione politiche identitarie, trovano spazio intellettuali fino a ieri banditi dalla scena. Ma, sottotraccia, le nuove generazioni crescono abbeverandosi alle stesse fonti progressiste del passato. L'ideologia dominante non ha la parlantina asfissiante del politico, ma il sapore zuccheroso della melassa hollywoodiana.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)