2022-07-21
La crisi migratoria incombe su Joe Biden
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Migranti alla frontiera tra Messico e Usa nei pressi di Yuma (Ansa)
Non si arresta la crisi migratoria al confine meridionale degli Stati Uniti. Un problema significativo per i democratici, in vista delle elezioni di metà mandato e delle prossime presidenziali. Nel mese di giugno, si sono verificati quasi 192.000 fermi di immigrati clandestini. Per quanto si tratti di una riduzione del 14% rispetto a maggio scorso, il numero resta altissimo e – come sottolineato dalla Cbs – registra la cifra più elevata mai raggiunta nel mese di giugno. La maggior parte dei migranti continua ad arrivare dai Paesi dell’America centrale. L’alta pressione alla frontiera meridionale continua insomma a rivelarsi un problema significativo per l’amministrazione Biden, soprattutto in vista delle prossime elezioni di metà mandato. Non dimentichiamo infatti che, in occasione di quelle tenutesi nel 2018, il nodo dell’immigrazione clandestina svolse un ruolo di notevole centralità. Del resto, tale dossier ha rappresentato il tallone d’Achille dell’attuale inquilino della Casa Bianca già durante i primissimi mesi della sua presidenza. Se è vero che si registrano fattori strutturali che favoriscono i flussi migratori dall'America centrale verso gli Stati Uniti (cataclismi naturali, instabilità politica, criminalità), è altrettanto vero che – pur di attaccare Donald Trump – Joe Biden assunse delle posizioni demagogiche in campagna elettorale, alimentando le speranze di migliaia di disperati che, a seguito del cambio della guardia alla Casa Bianca, si sono sentiti invogliati a mettersi in viaggio. Per l’attuale presidente si sono posti due problemi interconnessi: uno di natura politica e uno gestionale. Dal punto di vista politico, Biden si è trovato ripetutamente attanagliato tra i repubblicani (che lo accusano di avere un approccio troppo blando) e la sinistra dem (che lo taccia invece di scarsa discontinuità rispetto alla linea del predecessore). Sotto l’aspetto gestionale, l’inquilino della Casa Bianca aveva invece nominato l’anno scorso Kamala Harris come responsabile per risolvere la crisi migratoria dal punto di vista diplomatico con i Paesi del Centro America. Il punto è che l’attività della vicepresidente si è rivelata un clamoroso fallimento: non solo i flussi sono aumentati, ma i rapporti con l’America centrale sono addirittura peggiorati (come dimostrato a giugno scorso dal Summit of the Americas che, ospitato in California, è stato boicottato dai leader di quelle stesse nazioni). Non solo: la Harris, che pure aveva criticato le politiche migratorie di Trump, finì – nel giugno 2021 – con l’esortare pubblicamente i migranti a non recarsi alla frontiera meridionale degli Stati Uniti. Alla luce di tutto questo, si comprende per quale ragione tale situazione complessiva pesi negativamente sul Partito democratico in vista delle elezioni di metà mandato: d’altronde, il nodo dell’immigrazione clandestina non ha a che fare solo con l’ordine pubblico, ma anche con la sicurezza nazionale e con il delicato ambito socioeconomico (un ambito, ricordiamolo, già fortemente colpito dall’inflazione galoppante). Tutto questo, senza trascurare il 2024. Sia Biden sia Kamala Harris stanno registrando un vero e proprio tracollo in termini di consensi: un fattore che mette a rischio non solo la ricandidatura del presidente, ma anche le future ambizioni politiche della sua vice. Anche su questo fronte il peso del dossier immigrazione si sta facendo sentire.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)