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2018-06-06
La Corte Ue decide: le nozze gay valgono anche nei Paesi che non le prevedono
ANSA
Da ieri la nozione di coniuge comprende l'unione tra due persone dello stesso sesso. Non solo: il coniuge rimane tale anche se appartiene a uno Stato che non riconosce i matrimoni tra due uomini o tra due donne. La sentenza, che si porterà dietro non poche polemiche, è della Corte di giustizia dell'Unione Europea. E prevede che gli Stati membri, pur essendo liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, non possano ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione, rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un Paese non Ue, un diritto di soggiorno sul loro territorio. A presentare il ricorso, alcuni mesi fa, sono stati un cittadino romeno, Relu Adrian Coman, e il suo consorte americano, Robert Clabourn Hamilton. I due, Romania, si erano visti rifiutare il diritto di soggiorno con questa motivazione: la Romania non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Le autorità romene avevano quindi respinto la richiesta di soggiorno oltre i tre mesi del signor Hamilton, perché per la legislazione nazionale non poteva essere qualificato come «coniuge» di un cittadino Ue.
Ma Coman e Hamilton, impugnando la decisione, hanno fatto leva sull'esistenza di una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale per quanto riguarda l'esercizio del diritto di libera circolazione nell'Ue. La Corte costituzionale romena ha dunque chiesto alla Corte di giustizia dell'Ue se la posizione del signor Hamilton rientrasse nella nozione di «coniuge» e se lo stesso dovesse ottenere di conseguenza la concessione di un diritto di soggiorno permanente in Romania. I giudici della corte di Lussemburgo, rispondendo al quesito, hanno stabilito che la nozione di coniuge, ai sensi delle disposizioni del diritto dell'Unione sulla libertà di soggiorno dei cittadini e dei loro familiari, comprende anche i coniugi dello stesso sesso.
La Corte ha ritenuto, inoltre, che lo stato civile delle persone a cui sono riconducibili le norme relative al matrimonio sia una materia che rientra nella competenza degli Stati membri e che il diritto dell'Ue non pregiudichi questa competenza. Spetta dunque agli Stati membri decidere se prevedere o meno il matrimonio omosessuale. L'indicazione giuridica che deriva dalla decisione, quindi, è questa: gli Stati dell'Ue sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, quello che non possono fare è ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino extracomunitario, un diritto di soggiorno sul loro territorio.
In Italia c'è un precedente che risale al 2012 e che fonda le proprie basi esattamente su questo principio giuridico: il Tribunale di Reggio Emilia aveva riconosciuto il permesso di soggiorno a un giovane uruguayano sposato con un italiano in Spagna, proprio facendo riferimento alla libera circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari. Sentenza a cui era seguita poi una circolare del ministero dell'Interno.
Secondo Marco Gattuso, giudice del tribunale di Bologna e fondatore del sito web Articolo 29, specializzato in temi giuridici su famiglia, orientamento sessuale e identità di genere «si tratta di una sentenza che dimostra quanto ormai la strada del matrimonio egualitario per persone dello stesso sesso sia tracciata e non si torni indietro».
Dalla Conferenza episcopale r0mena, però, sottolineano che «il matrimonio è definito come l'unione esclusiva e duratura tra un uomo e una donna al fine di fondare una famiglia e di accompagnare i loro figli al loro sviluppo integrale umano». E infatti, i coniugi dello stesso sesso, anche dopo questa sentenza, avranno la possibilità di ricongiungersi e di circolare liberamente negli Stati ma, almeno al momento, non potranno far trascrivere il loro matrimonio nei Paesi che non lo riconoscono.
C'è un'altra sentenza, anche questa recente (del 14 maggio), nella quale i giudici della corte di Cassazione civile italiana hanno stabilito che «nel caso di matrimonio contratto all'estero da un cittadino italiano con un cittadino straniero dello stesso sesso, l'atto, convertendosi automaticamente in unione civile, non può essere trascritto come matrimonio». I giudici hanno argomentato spiegando che «il limite effettivo al riconoscimento o alla trascrizione di un atto, in ordine ai rapporti di famiglia, è costituito dal complesso dei principi anche di natura valoriale, costituzionale e convenzionale, che, sul fondamento della dignità della persona, della uguaglianza di genere e della non discriminazione tra generi e in relazione all'orientamento sessuale, determinano l'orizzonte non oltrepassabile dell'ordine pubblico internazionale». Insomma, ricongiungimento sì, ma senza matrimonio.
Fabio Amendolara
Roma censura i manifesti contro l’aborto ma quelli Lgbt rimangono
«Non voglio supporto, mi basterebbe smettere di sentirmi invisibile». Suonano paradossali le parole usate da Tiziano Ferro per rispondere al ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, che ha osato dire che le «famiglie gay» non esistono per il semplice motivo che ogni essere umano ha padre e una madre. Al di là di come la si pensi sull'argomento, risulta difficile affermare che l'universo Lgbt sia costretto a vivere in uno stato catacombale. Di fatto è praticamente impossibile aprire la tv o sfogliare un giornale senza essere esposti alle rivendicazioni delle istanze Lgbt. In questi giorni, a Roma, non si può fare a meno di imbattersi nei manifesti del Gay Village 2018, sui quali campeggia una coppia di uomini che si bacia. La campagna promozionale del villaggio della comunità gay capitolina è proposta anche sui bandoni pubblicitari affissi sulle fiancate dei bus Atac (l'azienda di trasporto pubblico romana).
Insomma le iniziative del movimento Lgbt hanno autostrade spianate, mentre nella Capitale non si riconosce lo stesso diritto a chi vuole ricordare che un feto di 11 settimane ha tutti gli organi formati e che l'aborto selettivo è la prima causa di femminicidio in molte parti del mondo. Tutti ricordano infatti la recente rimozione, operata dal Comune di Roma, dei manifesti di Pro Vita e Citizengo, regolarmente affissi e privi di immagini esplicite, violente o lesive di alcuna libertà.
Un gruppo di genitori ha lanciato una petizione sulla piattaforma web Citizengo per la rimozione dei manifesti con il bacio omo, facendo leva sullo stesso regolamento comunale usato per rimuovere i manifesti pro life. «Siamo convinti che il diritto dei genitori di poter liberamente scegliere quando e come parlare ai loro figli di un tema così delicato come l'omosessualità vada tutelato e rispettato», si legge nel testo della petizione, «così come vada rispettata la sensibilità individuale di ogni bambino, soprattutto riguardo a tematiche così importanti e contro l'utilizzo di immagini così esplicite e che possono turbare i più piccoli».
Il mondo pro family passa all'attacco anche in Toscana, dove l'associazione Difesa dei valori Valdarno ha presentato un esposto alla Procura della corte dei Conti di Firenze contro la Regione, i Comuni, le Province che hanno concesso il patrocinio al Toscana Pride. L'associazione, presieduta da Filippo Fiani, ha chiesto di verificare «se i patrocini, anche se gratuiti, che prevedano la partecipazione di assessori e sindaci con fasce e gonfaloni, non siano lesivi del diritto dei cittadini a non sentirsi rappresentati da una manifestazione che chiede la legittimazione della poligamia, la ridefinizione di famiglia, l'adozione per single e coppie di ogni tipo, la legalizzazione dell'utero in affitto e delle pratiche di inseminazione vietate dalla legge 40».
Marco Guerra
Più Ivg e teorie gender per tutti: le grandi priorità del G7 in Canada
In vista del G7 in programma venerdì e sabato in Canada, il governo di casa ha deciso di mettere sul tavolo i problemi che sono in cima alla lista di priorità dell'esecutivo di Justin Trudeau: femminismo, gender e aborto.
Un'agenda ideologica che verrà sostenuta, in particolar modo, dal ministro canadese per lo Sviluppo internazionale, Marie Claude Bibeau. Cosa faccia, nello specifico, un ministro «per lo Sviluppo internazionale» non è già chiaro di per sé: un governo nazionale, in genere, si occupa dello sviluppo del proprio Stato, a quello altrui ci pensano gli altri. Ma evidentemente il Canada di Trudeau ha pretese missionarie. E quali armi metterà in campo, per portare lo sviluppo nel mondo? Presto detto. «Come possiamo trasformare quella che chiamiamo architettura globale dell'assistenza umanitaria e dello sviluppo? Come possiamo portare i nostri partner principali come l'Onu, le Ong e i Paesi locali a intraprendere progetti in un modo che sia trasformativo in materia di gender?», si è chiesta Bibeau, secondo quanto riportato da Cbc News. Poi, per essere più chiara, il ministro ha spiegato di considerare l'aborto «uno strumento per porre fine alla povertà». In realtà l'aborto può al massimo porre fine ai poveri.
E del resto è proprio nei Paesi poveri che questa propaganda abortista imposta dall'Occidente non va giù, come si è visto con le recenti proteste all'Onu di alcune associazioni di donne africane. Insomma, i Paesi in via di sviluppo non intendono seguire i consigli canadesi per «svilupparsi» grazie a pratiche non volute. Eppure, per l'esponente del governo Trudeau, è proprio l'aborto che dà alle donne «il controllo sulle loro vite».
Per capire l'importanza che ha il tema da quelle parti, bisogna ricordare che il governo canadese ha stabilito una politica che stabilisce che i gruppi che fanno richiesta di sussidi per l'occupazione spuntino, nei moduli, anche una casella in cui affermano di sostenere i diritti umani, inclusi i «diritti riproduttivi» della donna. Cioè, in pratica, di dichiararsi pro aborto. Il Canada di Trudeau va così. Si tratta pur sempre del Paese che ha recentemente approvato una modifica del testo dell'inno nazionale, al fine di renderlo «gender neutral»: nella frase «L'amore della patria riempie il cuore dei figli che l'hanno costruita», i «figli» sono stati sostituiti con un generico «tutti noi». Non è un'iniziativa isolata: durante un incontro che Trudeau ha avuto all'università di Edmonton, qualche mese fa, una ragazza ha preso la parola e, nel formulare la sua domanda, ha usato la parola «mankind», cioè «umanità».
Trudeau l'ha interrotta e ha precisato: «Molto meglio dire “Peoplekind", che è più inclusivo». Sebbene la parola «umanità» in inglese sia di genere neutro, contiene la parola «man», uomo, che per Trudeau ha una connotazione sessista. Sarà con questi argomenti e con questi contenuti che, probabilmente, il Canada cercherà di portare lo sviluppo nel mondo.
Fabrizio La Rocca
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I giudici europei hanno esteso la nozione di «coniuge» alle persone dello stesso sesso. E gli Stati membri non potranno opporsi. A Roma Il cartellone pro vita di Citizengo è stato rimosso dal Comune ma sugli autobus della Capitale campeggia lo spot omo. Più gender e aborto al G7 in Canada. Secondo il governo nordamericano, la povertà si batte con le interruzioni di gravidanza. Lo speciale contiene tre articoli Da ieri la nozione di coniuge comprende l'unione tra due persone dello stesso sesso. Non solo: il coniuge rimane tale anche se appartiene a uno Stato che non riconosce i matrimoni tra due uomini o tra due donne. La sentenza, che si porterà dietro non poche polemiche, è della Corte di giustizia dell'Unione Europea. E prevede che gli Stati membri, pur essendo liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, non possano ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione, rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino di un Paese non Ue, un diritto di soggiorno sul loro territorio. A presentare il ricorso, alcuni mesi fa, sono stati un cittadino romeno, Relu Adrian Coman, e il suo consorte americano, Robert Clabourn Hamilton. I due, Romania, si erano visti rifiutare il diritto di soggiorno con questa motivazione: la Romania non riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Le autorità romene avevano quindi respinto la richiesta di soggiorno oltre i tre mesi del signor Hamilton, perché per la legislazione nazionale non poteva essere qualificato come «coniuge» di un cittadino Ue. Ma Coman e Hamilton, impugnando la decisione, hanno fatto leva sull'esistenza di una discriminazione fondata sull'orientamento sessuale per quanto riguarda l'esercizio del diritto di libera circolazione nell'Ue. La Corte costituzionale romena ha dunque chiesto alla Corte di giustizia dell'Ue se la posizione del signor Hamilton rientrasse nella nozione di «coniuge» e se lo stesso dovesse ottenere di conseguenza la concessione di un diritto di soggiorno permanente in Romania. I giudici della corte di Lussemburgo, rispondendo al quesito, hanno stabilito che la nozione di coniuge, ai sensi delle disposizioni del diritto dell'Unione sulla libertà di soggiorno dei cittadini e dei loro familiari, comprende anche i coniugi dello stesso sesso. La Corte ha ritenuto, inoltre, che lo stato civile delle persone a cui sono riconducibili le norme relative al matrimonio sia una materia che rientra nella competenza degli Stati membri e che il diritto dell'Ue non pregiudichi questa competenza. Spetta dunque agli Stati membri decidere se prevedere o meno il matrimonio omosessuale. L'indicazione giuridica che deriva dalla decisione, quindi, è questa: gli Stati dell'Ue sono liberi di autorizzare o meno il matrimonio omosessuale, quello che non possono fare è ostacolare la libertà di soggiorno di un cittadino dell'Unione rifiutando di concedere al suo coniuge dello stesso sesso, cittadino extracomunitario, un diritto di soggiorno sul loro territorio. In Italia c'è un precedente che risale al 2012 e che fonda le proprie basi esattamente su questo principio giuridico: il Tribunale di Reggio Emilia aveva riconosciuto il permesso di soggiorno a un giovane uruguayano sposato con un italiano in Spagna, proprio facendo riferimento alla libera circolazione dei cittadini europei e dei loro familiari. Sentenza a cui era seguita poi una circolare del ministero dell'Interno. Secondo Marco Gattuso, giudice del tribunale di Bologna e fondatore del sito web Articolo 29, specializzato in temi giuridici su famiglia, orientamento sessuale e identità di genere «si tratta di una sentenza che dimostra quanto ormai la strada del matrimonio egualitario per persone dello stesso sesso sia tracciata e non si torni indietro». Dalla Conferenza episcopale r0mena, però, sottolineano che «il matrimonio è definito come l'unione esclusiva e duratura tra un uomo e una donna al fine di fondare una famiglia e di accompagnare i loro figli al loro sviluppo integrale umano». E infatti, i coniugi dello stesso sesso, anche dopo questa sentenza, avranno la possibilità di ricongiungersi e di circolare liberamente negli Stati ma, almeno al momento, non potranno far trascrivere il loro matrimonio nei Paesi che non lo riconoscono. C'è un'altra sentenza, anche questa recente (del 14 maggio), nella quale i giudici della corte di Cassazione civile italiana hanno stabilito che «nel caso di matrimonio contratto all'estero da un cittadino italiano con un cittadino straniero dello stesso sesso, l'atto, convertendosi automaticamente in unione civile, non può essere trascritto come matrimonio». I giudici hanno argomentato spiegando che «il limite effettivo al riconoscimento o alla trascrizione di un atto, in ordine ai rapporti di famiglia, è costituito dal complesso dei principi anche di natura valoriale, costituzionale e convenzionale, che, sul fondamento della dignità della persona, della uguaglianza di genere e della non discriminazione tra generi e in relazione all'orientamento sessuale, determinano l'orizzonte non oltrepassabile dell'ordine pubblico internazionale». Insomma, ricongiungimento sì, ma senza matrimonio. Fabio Amendolara <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-corte-ue-decide-le-nozze-gay-valgono-anche-nei-paesi-che-non-le-prevedono-2575461824.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="roma-censura-i-manifesti-contro-laborto-ma-quelli-lgbt-rimangono" data-post-id="2575461824" data-published-at="1766007354" data-use-pagination="False"> Roma censura i manifesti contro l’aborto ma quelli Lgbt rimangono «Non voglio supporto, mi basterebbe smettere di sentirmi invisibile». Suonano paradossali le parole usate da Tiziano Ferro per rispondere al ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, che ha osato dire che le «famiglie gay» non esistono per il semplice motivo che ogni essere umano ha padre e una madre. Al di là di come la si pensi sull'argomento, risulta difficile affermare che l'universo Lgbt sia costretto a vivere in uno stato catacombale. Di fatto è praticamente impossibile aprire la tv o sfogliare un giornale senza essere esposti alle rivendicazioni delle istanze Lgbt. In questi giorni, a Roma, non si può fare a meno di imbattersi nei manifesti del Gay Village 2018, sui quali campeggia una coppia di uomini che si bacia. La campagna promozionale del villaggio della comunità gay capitolina è proposta anche sui bandoni pubblicitari affissi sulle fiancate dei bus Atac (l'azienda di trasporto pubblico romana). Insomma le iniziative del movimento Lgbt hanno autostrade spianate, mentre nella Capitale non si riconosce lo stesso diritto a chi vuole ricordare che un feto di 11 settimane ha tutti gli organi formati e che l'aborto selettivo è la prima causa di femminicidio in molte parti del mondo. Tutti ricordano infatti la recente rimozione, operata dal Comune di Roma, dei manifesti di Pro Vita e Citizengo, regolarmente affissi e privi di immagini esplicite, violente o lesive di alcuna libertà. Un gruppo di genitori ha lanciato una petizione sulla piattaforma web Citizengo per la rimozione dei manifesti con il bacio omo, facendo leva sullo stesso regolamento comunale usato per rimuovere i manifesti pro life. «Siamo convinti che il diritto dei genitori di poter liberamente scegliere quando e come parlare ai loro figli di un tema così delicato come l'omosessualità vada tutelato e rispettato», si legge nel testo della petizione, «così come vada rispettata la sensibilità individuale di ogni bambino, soprattutto riguardo a tematiche così importanti e contro l'utilizzo di immagini così esplicite e che possono turbare i più piccoli». Il mondo pro family passa all'attacco anche in Toscana, dove l'associazione Difesa dei valori Valdarno ha presentato un esposto alla Procura della corte dei Conti di Firenze contro la Regione, i Comuni, le Province che hanno concesso il patrocinio al Toscana Pride. L'associazione, presieduta da Filippo Fiani, ha chiesto di verificare «se i patrocini, anche se gratuiti, che prevedano la partecipazione di assessori e sindaci con fasce e gonfaloni, non siano lesivi del diritto dei cittadini a non sentirsi rappresentati da una manifestazione che chiede la legittimazione della poligamia, la ridefinizione di famiglia, l'adozione per single e coppie di ogni tipo, la legalizzazione dell'utero in affitto e delle pratiche di inseminazione vietate dalla legge 40». Marco Guerra <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-corte-ue-decide-le-nozze-gay-valgono-anche-nei-paesi-che-non-le-prevedono-2575461824.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="piu-ivg-e-teorie-gender-per-tutti-le-grandi-priorita-del-g7-in-canada" data-post-id="2575461824" data-published-at="1766007354" data-use-pagination="False"> Più Ivg e teorie gender per tutti: le grandi priorità del G7 in Canada In vista del G7 in programma venerdì e sabato in Canada, il governo di casa ha deciso di mettere sul tavolo i problemi che sono in cima alla lista di priorità dell'esecutivo di Justin Trudeau: femminismo, gender e aborto. Un'agenda ideologica che verrà sostenuta, in particolar modo, dal ministro canadese per lo Sviluppo internazionale, Marie Claude Bibeau. Cosa faccia, nello specifico, un ministro «per lo Sviluppo internazionale» non è già chiaro di per sé: un governo nazionale, in genere, si occupa dello sviluppo del proprio Stato, a quello altrui ci pensano gli altri. Ma evidentemente il Canada di Trudeau ha pretese missionarie. E quali armi metterà in campo, per portare lo sviluppo nel mondo? Presto detto. «Come possiamo trasformare quella che chiamiamo architettura globale dell'assistenza umanitaria e dello sviluppo? Come possiamo portare i nostri partner principali come l'Onu, le Ong e i Paesi locali a intraprendere progetti in un modo che sia trasformativo in materia di gender?», si è chiesta Bibeau, secondo quanto riportato da Cbc News. Poi, per essere più chiara, il ministro ha spiegato di considerare l'aborto «uno strumento per porre fine alla povertà». In realtà l'aborto può al massimo porre fine ai poveri. E del resto è proprio nei Paesi poveri che questa propaganda abortista imposta dall'Occidente non va giù, come si è visto con le recenti proteste all'Onu di alcune associazioni di donne africane. Insomma, i Paesi in via di sviluppo non intendono seguire i consigli canadesi per «svilupparsi» grazie a pratiche non volute. Eppure, per l'esponente del governo Trudeau, è proprio l'aborto che dà alle donne «il controllo sulle loro vite». Per capire l'importanza che ha il tema da quelle parti, bisogna ricordare che il governo canadese ha stabilito una politica che stabilisce che i gruppi che fanno richiesta di sussidi per l'occupazione spuntino, nei moduli, anche una casella in cui affermano di sostenere i diritti umani, inclusi i «diritti riproduttivi» della donna. Cioè, in pratica, di dichiararsi pro aborto. Il Canada di Trudeau va così. Si tratta pur sempre del Paese che ha recentemente approvato una modifica del testo dell'inno nazionale, al fine di renderlo «gender neutral»: nella frase «L'amore della patria riempie il cuore dei figli che l'hanno costruita», i «figli» sono stati sostituiti con un generico «tutti noi». Non è un'iniziativa isolata: durante un incontro che Trudeau ha avuto all'università di Edmonton, qualche mese fa, una ragazza ha preso la parola e, nel formulare la sua domanda, ha usato la parola «mankind», cioè «umanità». Trudeau l'ha interrotta e ha precisato: «Molto meglio dire “Peoplekind", che è più inclusivo». Sebbene la parola «umanità» in inglese sia di genere neutro, contiene la parola «man», uomo, che per Trudeau ha una connotazione sessista. Sarà con questi argomenti e con questi contenuti che, probabilmente, il Canada cercherà di portare lo sviluppo nel mondo. Fabrizio La Rocca
Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)
In particolare, la riforma abolisce l’Abilitazione scientifica nazionale, una procedura di valutazione avviata dal ministero dell’Università e della Ricerca per accertare l’idoneità scientifica dei candidati a ricoprire il ruolo di professore universitario ordinario o associato, senza la quale non si può partecipare a concorsi o rispondere a chiamate nei ruoli di professore associato o ordinario presso le università italiane. Una commissione di cinque docenti decide se il candidato può ricevere o no l’abilitazione: tutto viene deciso secondo logiche di appartenenza a questa o quella consorteria.
Intervenendo in aula su questa riforma, il senatore Crisanti ha pronunciato un discorso appassionato, solenne: «Lo dico chiaramente in quest’Aula», ha scandito Crisanti, «io, in 40 anni, non sono venuto a conoscenza di un singolo concorso di cui non si sapesse il vincitore prima e non c’è un singolo docente che mi abbia mai smentito. Questa è la situazione dei nostri atenei oggi. La maggior parte del nostro personale universitario ha preso la laurea all’università, ha fatto il dottorato nella stessa università, ha fatto il ricercatore, l’associato e infine il professore. Questo meccanismo di selezione ha avuto un impatto devastante sulla qualità della ricerca e dell’insegnamento nelle nostre università». Difficile non essere d’accordo con Crisanti, che però ha trascurato, nel corso del suo discorso, un particolare: suo figlio Giulio dall’ottobre 2022 è dottorando in fisica e astronomia all’Università del Bo di Padova, la stessa dove il babbo insegnava quando ha superato la selezione.
Ora, nessuno mette in dubbio le capacità di Crisanti jr, laureato in astrofisica all’Università di Cambridge, ma la coincidenza è degna di nota. Lo stesso Giulio, intervistato nel marzo 2022 dal Corriere del Veneto, affrontava l’argomento: «Ha deciso di fare il dottorato a Padova perché suo padre era già qui?», chiedeva l’intervistatore. «No, l’avrei evitato più che volentieri», rispondeva Crisanti jr, «ma ho fatto tanti concorsi in Italia e l’unico che ho passato è stato quello del Bo». Ma come mai il giovane Crisanti veniva intervistato? Perché ha seguito le orme di babbo Andrea anche in politica: nel 2022 si è candidato alle elezioni comunali di Padova, nella lista Coalizione civica, a sostegno del sindaco uscente di centrosinistra Sergio Giordani. Il sindaco ha rivinto le elezioni, ma per Giulio Crisanti il bottino è stato veramente magro: ha preso appena 25 preferenze.
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