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2019-03-06
Coop rossa sotto inchiesta per corruzione in Kenya. Al vaglio il contratto firmato ai tempi di Renzi
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Ansa
C'è una nuova indagine in arrivo dall'Africa e questa volta riguarda uno dei nostri colossi delle costruzioni, la Cmc (Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna) travolta dagli scandali in Kenya. L'ipotesi di reato è quella di corruzione internazionale. A indagare è la Directorate of Criminal Investigations (Dci), un corpo speciale di polizia investigativa kenyota, insieme ad altri organi inquirenti dentro e fuori il Paese africano. Sotto accusa c'è appunto la Cmc, storica coop rossa che rischia il fallimento se l'Anas non dovesse sbloccare alcuni cantieri ormai fermi in tutta Italia: con il nostro ente di gestione delle autostrade la storica coop romagnola ha infatti una serie di contenziosi aperti (dati di dicembre) per la cifra monstre di 1,2 miliardi di euro. Nelle ultime settimane ci sono stati diversi incontri che fanno ben sperare. Ma anche per questo motivo l'impresa è in concordato preventivo da dicembre, con debiti pari a 900 milioni di euro. Ma se in Italia la situazione è, più o meno, sotto controllo, grossi problemi sono in arrivo da Nairobi dove, secondo le accuse delle autorità investigative kenyote, Cmc avrebbe pagato una tangente per ottenere gli appalti per tre dighe. L'Italia, non va dimenticato, è uno dei più importanti partner commerciali del Kenya, basti pensare che nel solo 2018 gli scambi commerciali sulle esportazioni dal nostro Paese sono stati pari a 180 milioni di euro
Ma andiamo con ordine. Un contratto è stato siglato nel 2014, gli altri due nel 2015, durante la visita dell'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, quando fu immortalato con un giubbotto anti proiettili insieme con il presidente Uhuru Kenyatta. Il valore complessivo delle tre dighe è di oltre 800 milioni di euro. Le opere di Cmc - in joint venture con la società Itinera (gruppo Gavio) - rientrano in un mega piano di ridistribuzione dell'acqua in Kenya, una delle promesse elettorali proprio di Kenyatta. Ma solo nella diga di Itare, secondo i media locali, sarebbero cominciati i lavori. Nelle altre due, ad Arror e Kimwarer, invece, è ancora tutto fermo. Il caso è cominciato con un presunta tangente, di cui non è stato definito l'importo da parte degli investigatori, ma che farebbe parte dei 4,9 miliardi di scellini (corrispondente a circa 44 milioni di euro) transitati da una banca di Westland, quartiere di Nairobi dove vivono gli expat e hanno sede le principali multinazionali. Dopo i primi approfondimenti sulla banca, a metà febbraio circa, è cominciata l'inchiesta che coinvolge anche quattro ministri in Kenya: Simon Chelugui dell'Acqua, Henry Rotich del Tesoro, Najib Balala del Turismo e Mwangi Kiunjuri dell'Agricoltura.
Oltre a Cmc, la Dci di Nairobi ha convocato altre 106 aziende per quello che potrebbe essere uno delle più grosse distrazioni di fondi pubblici nella storia dello stato africano. L'azienda italiana, dal canto suo, ha smentito le ricostruzioni dei giornali del Kenya, che la danno già per fallita e prossima ad abbandonare il Paese. E ha spiegato in una nota stampa di aver ricevuto un primo pagamento per la diga di Itare da 7,8 miliardi di scellini (69 milioni di euro) per i lavori preliminari. Dal 25 settembre, viste le condizioni economiche in Italia, Cmc «si è vista costretta a interrompere i lavori in attesa del pagamento dei residui dovuti che alla data odierna non sono ancora stati emessi», ha aggiunto. L'azienda ha anche precisato di «essere pienamente impegnata a completare il progetto della diga prima o entro i tempi previsti», si legge in un'altra dichiarazione rilasciata alla stampa. Non solo. Rispetto alle accuse di corruzione internazionale, sempre il colosso delle costruzioni ravennate, spiega che rispetto alle ipotesi apparse in questi giorni sui media keniani tutte «le procedure contrattuali di aggiudicazione e quelle di perfezionamento dei finanziamenti hanno aderito a degli standard internazionali. In particolare i finanziamenti sono stati coperti da polizze Sace». Il finanziamento, a quanto apprende la Verità, è stato di Intesa San Paolo.
Nel frattempo nelle scorse settimane è passato in Italia Noordin Haji, che per diciannove anni è stato avvocato generale del Kenya per poi passare nel National Intelligence Service, dove ha percorso tutto il cursus honorum fino a diventarne vice direttore della sezione dedicata al contrasto della criminalità organizzata e della criminalità economica. Nel marzo 2018 Haji è stato nominato Director of Public Prosecutions (Dpp). Si tratta di un ruolo indipendente da ogni altro potere dello Stato, ha il compito di sovrintendere a tutte le inchieste e i casi penali del Paese e rende conto solo una volta all'anno al Parlamento, attraverso un rapporto che sintetizza le sue attività considerate di interesse nazionale. La priorità attuale del Dpp è proprio la lotta alla corruzione.
Non solo. Haji sta cercando di sviluppare rapporti bilaterali con gli altri paesi, tra cui in particolare l'Italia, dal momento che i nostri connazionali sono molto impegnati dal punto di vista imprenditoriale tra Nairobi e Malindi. Non a caso in questi giorni il suo viaggio a Roma e Palermo sta facendo rumore sui giornali africani perché durante la visita avrebbe trovato riscontri sul ruolo che avrebbe avuto «nell'affare Cmc» l'attuale ministro del Tesoro Rotich che, secondo le indagini, risulterebbe in società con Rita Ricciardi, presidente dell'Associazione per il Commercio tra Italia e Kenya.
La situazione è molto complessa. Da quando l'affaire Cmc è scoppiato, le stesse autorità del Paese africano hanno cominciato a smentirsi a vicenda rispetto al volume di denaro coinvolto nello scandalo, rimpallandosi responsabilità come l'effettivo valore degli appalti. Il vice presidente William Ruto ha sostenuto infatti che l'indagine riguardasse in tutto 7,1 miliardi di scellini, pagati a Cmc per le dighe di Kamwarer (4,9 miliardi) e Arror (3.2 miliardi), nonostante i lavori siano fermi. Al contrario il ministro dell'Acqua, Chelugui, sostiene invece che l'incasso di Cmc sia tre volte superiore e ha preso le distanze pubblicamente dal progetto, deciso dal Ministero della Cooperazione regionale: quest'ultimo non risulta coinvolto perché la trattativa nel 2015 era stata gestita direttamente dal Tesoro. La confusione è molta sotto il cielo. Il motivo è soprattutto politico: l'opposizione sta cercando di utilizzare il caso per screditare il presidente Kenyatta, sempre più solo e criticato.
Dalla sede dei servizi segreti al fratello della Boschi: storia di un anno difficile
La Cmc di Ravenna è una delle cooperative più antiche in Italia, da sempre vicine all'area politica del centrosinistra. Fondato a Ravenna nel 1901 da un gruppo di 35 lavoratori edili che per primi istituirono la «Società anonima cooperativa fra operai, muratori e manovali del Comune di Ravenna», è da quasi un secolo una delle più importanti ditte di costruzioni in Italia. Fermarla significa anche fermare il nostro paese, dal momento che le infrastrutture più importanti e strategiche sono di sua competenza. Persino la nuova sede dei servizi segreti di piazza Dante a Roma è nelle mani della cooperativa romagnola, i lavoro dovevano chiudersi due anni fa mentre ora si parla della fine del 2019. Cmc vanta oggi circa 7.000 dipendenti nel mondo, di cui 400 operano solo a Ravenna.
Dal 2018, la società genera oltre il 70% del suo fatturato dalle sue attività all'estero. Ha un portafoglio ordini che è salito a 4,5 miliardi di euro ed è attualmente presente in circa 40 paesi in 4 continenti, con oltre 30 filiali nei diversi paesi in cui opera. Ma in Italia negli ultimi anni le cose sono iniziate ad andare male. Lo ha spiegato bene l'istanza di concordato preventivo con riserva depositata il 4 dicembre al tribunale di Ravenna. In quella richiesta di aiuto si riassume lo stato di sofferenza soprattutto finanziaria dell'azienda. Dal momento che nell'ultimo anno il volume della produzione è sceso da 549 a 514 milioni di euro, il margine operativo da 45 a 37 milioni, la disponibilità liquida da 181 milioni a 89 milioni. Il problema è la liquidità. Ma come fare se Anas, la nostra stazione appaltante sulle autostrade, non paga?
I contenziosi con via Monzambano sono aumentati a dismisura negli ultimi tempi. Il più imponente riguardava in particolare i lavori per il primo lotto della strada Agrigento-Caltanissetta, per quasi 600 milioni di euro. Ora pare essersi sbloccato qualcosa. Ci sono stati diversi incontri e c'è ottimismo sulla ripartenza dei lavori. La situazione resta sempre critica. E per una parte dei lavoratori è già scattata la cassa integrazione. Del resto già alla fine dello scorso anno erano previste entrate per 137 milioni mentre ne sono arrivate solo per 52 e la società non ha potuto far fronte a tutti gli obblighi. Fra cui il pagamento della famosa cedola in scadenza il 15 novembre scorso per uno dei due bond contratti (obbligazioni per un importo complessivo di 575 milioni di euro). Questa situazione di sofferenza ha portato allo scattare di decreti ingiuntivi da parte dei creditori stessi e all'avvio dei meccanismi per la dichiarazione di fallimento.
A quanto risulta al Sole24 ore, dovrebbe trattarsi di concordato misto, «sul tavolo ci sarà anche la cessione di asset, dismissioni che saranno uno dei punti del piano concordatario per il quale è stata chiesta una proroga di 60 giorni dagli advisor Mediobanca e studio Trombone». Durante il governo Renzi aveva creato non poche polemiche l'attivismo dei renziani intorno al colosso delle costruzioni. Persino il fratello più piccolo dell'ex ministro delle riforme Maria Elena Boschi, Pier Francesco, trovò posto in Cmc in quegli anni. La trattativa per salvarla era stata portata avanti anche dall'ex tesoriere Francesco Bonifazi, ma si vede che gli sforzi non sono bastati.
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Cmc finisce sui quotidiani di Nairobi. Si indaga su quattro ministri del governo di Uhuru Kenyatta. Al centro la costruzione di tre dighe del valore di 800 milioni di euro, due in joint venture con la società Itinera (gruppo Gavio). La Directorate of criminal investigations (Dci) sta effettuando verifiche su un conto alla banca Westland in cerca di presunte tangenti. «Le procedure contrattuali di aggiudicazione e quelle di perfezionamento dei finanziamenti», spiegano gli interessati, «aderiscono agli standard internazionali. In particolare i finanziamenti sono stati coperti da polizze Sace».Tutte le difficoltà della cooperativa che ha dato lavoro al fratello di Maria Elena Boschi. I contenziosi con Anas per 1,2 miliardi e la richiesta di concordato preventivo a dicembre 2018. La sede dei servizi segreti in piazza Dante ancora da completare...La replica dell'azienda: «Cmc rende noto di non aver ricevuto a oggi alcuna comunicazione ufficiale relativa all'indagine riferita nell'articolo. Cmc precisa inoltre che la notizia secondo cui sarebbe al vaglio un contratto firmato ai tempi di Matteo Renzi è falsa e destituita di ogni fondamento».Lo speciale contiene due articoliC'è una nuova indagine in arrivo dall'Africa e questa volta riguarda uno dei nostri colossi delle costruzioni, la Cmc (Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna) travolta dagli scandali in Kenya. L'ipotesi di reato è quella di corruzione internazionale. A indagare è la Directorate of Criminal Investigations (Dci), un corpo speciale di polizia investigativa kenyota, insieme ad altri organi inquirenti dentro e fuori il Paese africano. Sotto accusa c'è appunto la Cmc, storica coop rossa che rischia il fallimento se l'Anas non dovesse sbloccare alcuni cantieri ormai fermi in tutta Italia: con il nostro ente di gestione delle autostrade la storica coop romagnola ha infatti una serie di contenziosi aperti (dati di dicembre) per la cifra monstre di 1,2 miliardi di euro. Nelle ultime settimane ci sono stati diversi incontri che fanno ben sperare. Ma anche per questo motivo l'impresa è in concordato preventivo da dicembre, con debiti pari a 900 milioni di euro. Ma se in Italia la situazione è, più o meno, sotto controllo, grossi problemi sono in arrivo da Nairobi dove, secondo le accuse delle autorità investigative kenyote, Cmc avrebbe pagato una tangente per ottenere gli appalti per tre dighe. L'Italia, non va dimenticato, è uno dei più importanti partner commerciali del Kenya, basti pensare che nel solo 2018 gli scambi commerciali sulle esportazioni dal nostro Paese sono stati pari a 180 milioni di euroMa andiamo con ordine. Un contratto è stato siglato nel 2014, gli altri due nel 2015, durante la visita dell'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, quando fu immortalato con un giubbotto anti proiettili insieme con il presidente Uhuru Kenyatta. Il valore complessivo delle tre dighe è di oltre 800 milioni di euro. Le opere di Cmc - in joint venture con la società Itinera (gruppo Gavio) - rientrano in un mega piano di ridistribuzione dell'acqua in Kenya, una delle promesse elettorali proprio di Kenyatta. Ma solo nella diga di Itare, secondo i media locali, sarebbero cominciati i lavori. Nelle altre due, ad Arror e Kimwarer, invece, è ancora tutto fermo. Il caso è cominciato con un presunta tangente, di cui non è stato definito l'importo da parte degli investigatori, ma che farebbe parte dei 4,9 miliardi di scellini (corrispondente a circa 44 milioni di euro) transitati da una banca di Westland, quartiere di Nairobi dove vivono gli expat e hanno sede le principali multinazionali. Dopo i primi approfondimenti sulla banca, a metà febbraio circa, è cominciata l'inchiesta che coinvolge anche quattro ministri in Kenya: Simon Chelugui dell'Acqua, Henry Rotich del Tesoro, Najib Balala del Turismo e Mwangi Kiunjuri dell'Agricoltura. Oltre a Cmc, la Dci di Nairobi ha convocato altre 106 aziende per quello che potrebbe essere uno delle più grosse distrazioni di fondi pubblici nella storia dello stato africano. L'azienda italiana, dal canto suo, ha smentito le ricostruzioni dei giornali del Kenya, che la danno già per fallita e prossima ad abbandonare il Paese. E ha spiegato in una nota stampa di aver ricevuto un primo pagamento per la diga di Itare da 7,8 miliardi di scellini (69 milioni di euro) per i lavori preliminari. Dal 25 settembre, viste le condizioni economiche in Italia, Cmc «si è vista costretta a interrompere i lavori in attesa del pagamento dei residui dovuti che alla data odierna non sono ancora stati emessi», ha aggiunto. L'azienda ha anche precisato di «essere pienamente impegnata a completare il progetto della diga prima o entro i tempi previsti», si legge in un'altra dichiarazione rilasciata alla stampa. Non solo. Rispetto alle accuse di corruzione internazionale, sempre il colosso delle costruzioni ravennate, spiega che rispetto alle ipotesi apparse in questi giorni sui media keniani tutte «le procedure contrattuali di aggiudicazione e quelle di perfezionamento dei finanziamenti hanno aderito a degli standard internazionali. In particolare i finanziamenti sono stati coperti da polizze Sace». Il finanziamento, a quanto apprende la Verità, è stato di Intesa San Paolo. Nel frattempo nelle scorse settimane è passato in Italia Noordin Haji, che per diciannove anni è stato avvocato generale del Kenya per poi passare nel National Intelligence Service, dove ha percorso tutto il cursus honorum fino a diventarne vice direttore della sezione dedicata al contrasto della criminalità organizzata e della criminalità economica. Nel marzo 2018 Haji è stato nominato Director of Public Prosecutions (Dpp). Si tratta di un ruolo indipendente da ogni altro potere dello Stato, ha il compito di sovrintendere a tutte le inchieste e i casi penali del Paese e rende conto solo una volta all'anno al Parlamento, attraverso un rapporto che sintetizza le sue attività considerate di interesse nazionale. La priorità attuale del Dpp è proprio la lotta alla corruzione. Non solo. Haji sta cercando di sviluppare rapporti bilaterali con gli altri paesi, tra cui in particolare l'Italia, dal momento che i nostri connazionali sono molto impegnati dal punto di vista imprenditoriale tra Nairobi e Malindi. Non a caso in questi giorni il suo viaggio a Roma e Palermo sta facendo rumore sui giornali africani perché durante la visita avrebbe trovato riscontri sul ruolo che avrebbe avuto «nell'affare Cmc» l'attuale ministro del Tesoro Rotich che, secondo le indagini, risulterebbe in società con Rita Ricciardi, presidente dell'Associazione per il Commercio tra Italia e Kenya. La situazione è molto complessa. Da quando l'affaire Cmc è scoppiato, le stesse autorità del Paese africano hanno cominciato a smentirsi a vicenda rispetto al volume di denaro coinvolto nello scandalo, rimpallandosi responsabilità come l'effettivo valore degli appalti. Il vice presidente William Ruto ha sostenuto infatti che l'indagine riguardasse in tutto 7,1 miliardi di scellini, pagati a Cmc per le dighe di Kamwarer (4,9 miliardi) e Arror (3.2 miliardi), nonostante i lavori siano fermi. Al contrario il ministro dell'Acqua, Chelugui, sostiene invece che l'incasso di Cmc sia tre volte superiore e ha preso le distanze pubblicamente dal progetto, deciso dal Ministero della Cooperazione regionale: quest'ultimo non risulta coinvolto perché la trattativa nel 2015 era stata gestita direttamente dal Tesoro. La confusione è molta sotto il cielo. Il motivo è soprattutto politico: l'opposizione sta cercando di utilizzare il caso per screditare il presidente Kenyatta, sempre più solo e criticato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-coop-rossa-indagata-per-corruzione-in-kenya-il-contratto-firmato-con-il-governo-renzi-2630832098.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dalla-sede-dei-servizi-segreti-al-fratello-della-boschi-storia-di-un-anno-difficile" data-post-id="2630832098" data-published-at="1765401493" data-use-pagination="False"> Dalla sede dei servizi segreti al fratello della Boschi: storia di un anno difficile La Cmc di Ravenna è una delle cooperative più antiche in Italia, da sempre vicine all'area politica del centrosinistra. Fondato a Ravenna nel 1901 da un gruppo di 35 lavoratori edili che per primi istituirono la «Società anonima cooperativa fra operai, muratori e manovali del Comune di Ravenna», è da quasi un secolo una delle più importanti ditte di costruzioni in Italia. Fermarla significa anche fermare il nostro paese, dal momento che le infrastrutture più importanti e strategiche sono di sua competenza. Persino la nuova sede dei servizi segreti di piazza Dante a Roma è nelle mani della cooperativa romagnola, i lavoro dovevano chiudersi due anni fa mentre ora si parla della fine del 2019. Cmc vanta oggi circa 7.000 dipendenti nel mondo, di cui 400 operano solo a Ravenna.Dal 2018, la società genera oltre il 70% del suo fatturato dalle sue attività all'estero. Ha un portafoglio ordini che è salito a 4,5 miliardi di euro ed è attualmente presente in circa 40 paesi in 4 continenti, con oltre 30 filiali nei diversi paesi in cui opera. Ma in Italia negli ultimi anni le cose sono iniziate ad andare male. Lo ha spiegato bene l'istanza di concordato preventivo con riserva depositata il 4 dicembre al tribunale di Ravenna. In quella richiesta di aiuto si riassume lo stato di sofferenza soprattutto finanziaria dell'azienda. Dal momento che nell'ultimo anno il volume della produzione è sceso da 549 a 514 milioni di euro, il margine operativo da 45 a 37 milioni, la disponibilità liquida da 181 milioni a 89 milioni. Il problema è la liquidità. Ma come fare se Anas, la nostra stazione appaltante sulle autostrade, non paga? I contenziosi con via Monzambano sono aumentati a dismisura negli ultimi tempi. Il più imponente riguardava in particolare i lavori per il primo lotto della strada Agrigento-Caltanissetta, per quasi 600 milioni di euro. Ora pare essersi sbloccato qualcosa. Ci sono stati diversi incontri e c'è ottimismo sulla ripartenza dei lavori. La situazione resta sempre critica. E per una parte dei lavoratori è già scattata la cassa integrazione. Del resto già alla fine dello scorso anno erano previste entrate per 137 milioni mentre ne sono arrivate solo per 52 e la società non ha potuto far fronte a tutti gli obblighi. Fra cui il pagamento della famosa cedola in scadenza il 15 novembre scorso per uno dei due bond contratti (obbligazioni per un importo complessivo di 575 milioni di euro). Questa situazione di sofferenza ha portato allo scattare di decreti ingiuntivi da parte dei creditori stessi e all'avvio dei meccanismi per la dichiarazione di fallimento. A quanto risulta al Sole24 ore, dovrebbe trattarsi di concordato misto, «sul tavolo ci sarà anche la cessione di asset, dismissioni che saranno uno dei punti del piano concordatario per il quale è stata chiesta una proroga di 60 giorni dagli advisor Mediobanca e studio Trombone». Durante il governo Renzi aveva creato non poche polemiche l'attivismo dei renziani intorno al colosso delle costruzioni. Persino il fratello più piccolo dell'ex ministro delle riforme Maria Elena Boschi, Pier Francesco, trovò posto in Cmc in quegli anni. La trattativa per salvarla era stata portata avanti anche dall'ex tesoriere Francesco Bonifazi, ma si vede che gli sforzi non sono bastati.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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