2024-12-27
La Cina brucia le tappe per invaderci con le auto elettriche
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Nel 2025, con 10 anni di anticipo rispetto alle previsioni, le vetture a batteria supereranno come produzione e vendita i veicoli termici. Il record di Pechino spinge l’export in Ue (anche per i dazi di Trump) e mette a nudo il tafazzismo di Bruxelles.Che l’Europa dell’automotive avesse creato un meccanismo di autodistruzione perfetto l’abbiamo detto in tutte le salse e in epoche non sospette. Ora però vediamo che il mix letale delle scelte sbagliate adottate a Bruxelles sta portando i nodi al pettine più velocemente del previsto.Un dato lo spiega meglio di mille parole. Nel 2025 la produzione e la vendita di veicoli elettrici in Cina supererà per la prima volta i volumi delle auto tradizionali. Che prima o poi a Pechino dovesse succedere era ampiamente atteso, che accada addirittura con dieci anni di anticipo rispetto alle previsioni ha invece del clamoroso. Le stime fornite al Financial Times dalle banche d’investimento Ubs e Hsbc e dai gruppi di ricerca Morningstar e Wood Mackenzie non lasciano molto spazio alle interpretazioni. Da un lato infatti annunciano che le vendite di auto a motore tradizionale scenderanno di oltre il 10% l’anno prossimo, arrivando a meno di 11 milioni, con un crollo di quasi il 30% rispetto ai 14,8 milioni del 2022. Dall’altro invece evidenziano che da qui a pochi mesi i volumi delle elettriche e ibridi plug-in cresceranno di circa il 20% all’anno, fino a superare i 12 milioni di auto. Più del doppio rispetto alle vendite del 2022: 5,9 milioni di unità. Interessante notare che nel frattempo, la crescita del mercato di veicoli a batteria è rallentata in Europa e negli Stati Uniti.Conseguenze? Siamo facili profeti nel pronosticare che con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e l’inasprimento dei dazi anti-Pechino della nuova amministrazione Usa la competizione si sposterà sempre di più verso la conquista del mercato europeo. Insomma, la Cina che anticipa di 10 anni l’obiettivo di produrre e vendere più auto elettriche si sta portando avanti con i lavori per «invadere» Bruxelles. Che questo avvenga poi accelerando sull’export o sulla produzione di auto in loco sembra quasi un dettaglio del fenomeno. E del resto, da tempo l’Europa le sta servendo i suoi consumatori su un piatto d’argento. L’intuizione ferale di auto-imporsi limiti di emissione e regole rigide sulla quota di produzione di vetture a batteria non ha fatto altro che rafforzare Pechino. L’elettrica in Europa, soprattutto per gli alti costi di assemblaggio, non ha trovato lo spazio sperato. E così i colossi dell’automotive occidentale, costretti a seguire le linee guida di Bruxelles, sono crollati a mo’ di birilli uno dopo l’altro. Da Stellantis per arrivare alle tedesche Volkswagen e Mercedes: un bagno di sangue epocale che non ha fatto che rafforzare le case cinesi. E poi perché l’Europa si è imposta la transizioni senza avere le materie prime per portarla a termine. Altro grande favore a chi invece oggi svolge il ruolo di dominus nella produzione e raffinazione dei minerali indispensabili per il Green deal. Dominus che peraltro non rispetta nessuna delle regole su aiuti di Stato, requisiti ambientali e garanzie sui diritti dei lavoratori che l’Europa per tradizione ha nel proprio Dna. Cose dette mille volte e che anche la nuova Commissione (l’Ursula II dove spicca la figura della iper-ambientalista Teresa Ribera) sembra non aver messo a fuoco. Tant’è che tutto quello che sta succedendo adesso non è che una conseguenza naturale di quanto detto sopra. E che l’Europa, ma non solo, si sia infilata in un cul de sac è dimostrato anche da altri dati pubblicati dal Financial Times. Mentre il mercato cinese dei veicoli elettrici nel 2024 dovrebbe crescere circa del 40%, la quota di mercato delle auto di marca straniera è scesa drasticamente arrivando al minimo storico del 37%. Nel 2020 eravamo al doppio, molto vicini al 65%. Qualche numero: solo nell’ultimo mese GM ha svalutato il valore delle sue attività in Cina per oltre 5 miliardi di dollari, la holding Porsche ha annunciato una svalutazione della sua partecipazione in Volkswagen fino a 20 miliardi di euro e gli acerrimi rivali Nissan e Honda hanno risposto a un «ambiente commerciale in drastico cambiamento» con una fusione. Certo, i dati riportati dal quotidiano finanziario dicono anche altre cose. Dicono per esempio che nel prossimo decennio le fabbriche create in Cina per produrre decine di milioni di auto con motori tradizionali non avranno quasi più motivo di esistere e che quindi anche Pechino dovrà far i conti con un repentino processo di trasformazione. Ma anche in questo caso l’assenza di regole rappresenterà un vantaggio verso la riconversione. E dicono che la vera insidia potrebbe arrivare dall’interno. In casa, le case automobilistiche asiatiche dovranno affrontare una rivalità sempre più spietata che sarà combattuta a colpi di ribassi sui prezzi e quindi di conseguenza sui margini di guadagno. Guerra dei prezzi che dovrebbe intensificarsi proprio a partire dal prossimo anno. Hsbc stima che i produttori cinesi hanno pianificato circa 90 nuovi modelli di auto per il quarto trimestre del 2024 e di questi quasi il 90% è rappresentato da modelli elettrici. Insomma, più che dalle mosse dell’Europa i cinesi dovranno guardarsi dai dazi di Trump certo, ma anche dai rischi di concorrenza al ribasso che arriva dall’interno. E se la battaglia si sposta sul lato della concorrenza sleale tra i maestri asiatici ci sarà da divertirsi.