2022-05-23
«La cattiva comunicazione ha spaccato il mondo in due»
Alberto Contri (Imagoeconomica)
L’esperto Alberto Contri: «Invece di informare, contrappongono buoni e cattivi. Ci dobbiamo sorbire le lezioni di direttori ed editorialisti che hanno dimezzato le vendite dei loro giornali».Classe 1944, ha lavorato nella comunicazione per 50 anni, l’ha insegnata in tre università per 25, e oggi è impegnato in seminari con società di consulenza e aziende del settore. Alberto Contri dissidente lo è un po’ per natura e per farlo arrabbiare - per altro impresa difficile, vista la sua innata cordialità - David Parenzo lo ha punzecchiato in tv qualche giorno fa accostandolo addirittura al ministro degli Esteri russo Lavrov. Lo raggiungiamo al telefono mentre legge la notizia del vaiolo delle scimmie, ed è un fiume in piena. «Una malattia rara che si cura da sé in pochi giorni è già sulle pagine di tutti i giornali. Non ho letto nemmeno una riga, invece, della denuncia di 17.000 medici di tutto il mondo coordinati da Robert Malone - cui si devono i primi studi sull’mRna messaggero - i quali chiedono che lo stato di emergenza medica sia revocato, l’integrità scientifica ripristinata e i crimini contro l’umanità affrontati».Malone fa accuse gravi sui vaccini.«Ne sono consapevole, certo. Però provengono da ricercatori autorevoli. E allora io semplicemente dico: almeno discutiamone. Possibile che non se ne possa parlare? In due anni di pandemia e tre mesi di guerra abbiamo visto tutte le cose negative che può fare una cattiva comunicazione: dividere la popolazione in partiti. I giusti e gli sbagliati. I buoni e i cattivi».I cattivi oggi sono i filo-Putin o presunti tali.«Chi aveva dubbi o era critico sui vaccini è stato messo al bando, sospeso, cacciato dal lavoro e dalle università. Bollato come no vax. Isolato. Ostracizzato. Oggi accade a chi fa qualche distinguo».Anche Silvio Berlusconi ne ha fatti, venerdì.«Ed eccolo sulla copertina di Repubblica con il titolo a caratteri cubitali “L’amico di Putin”. È un vecchio saggio, altroché. Ha detto cose ragionevoli. Che poi qualsiasi riflessione sarà sempre meno dura di quello del Papa, che ha parlato dell’abbaiare della Nato alle porte della Russia».Del Papa però si è discusso con altri toni.«Non abbastanza. Direi che è stato ignorato da chi aveva le orecchie per intendere. Io sposo totalmente la sua posizione: è l’unica autorità morale che ha il coraggio di parlare. Lo stimo anche quando abbraccia le mogli dei comandanti del battaglione Azov. Noterà però che quando parla di rispettare gli omosessuali viene osannato, meno quando dice che il gender distrugge l’umano».Come la Nato avrebbe abbaiato scatenando l’ira russa?«Proprio usando la comunicazione. Lo vede cosa sta accadendo anche da noi? In tv boriosi giornalisti maltrattano tutti coloro che osano citare le vergognose guerre seminate dalla Nato e dagli Usa in giro per il mondo. Cito solo l’Iraq per brevità».La guerriglia nei talk fa bene anche agli ascolti, no?«Non ne sarei così sicuro, anzi. Glielo dico da tecnico della comunicazione, non da tifoso: una fascia sempre più ampia della popolazione usa il senso critico e abbandona l’abusata formuletta del cinque contro uno, ovvero la voce dissidente invitata in studio appositamente per essere una miccia. Tutti a gridare che la Russia ha invaso un Paese con un governo democraticamente eletto con l’aspirazione di metterci un governo fantoccio».Così non è?«Anche qui è comunicazione. Una grande operazione di comunicazione. Tecnicamente, in realtà, quello di Zelensky è a sua volta un governo fantoccio».Ma ha vinto le elezioni.«Al di là del fatto che ha preso al secondo turno il 72% di voti con un’affluenza del 40%, e che al primo turno ne aveva presi meno della metà, oggi tutti sanno che come astuta tecnica di pre-marketing gli Stati Uniti hanno finanziato sulla tv ucraina per tre anni la fiction dal titolo Servitore del popolo, facendo diventare Zelensky un eroe televisivo molto popolare. Come il nostro Montalbano». Il personaggio piace, e tanto. Interviene anche al festival di Cannes. «Diversi miliardi di dollari sono stati investiti per sostenere la sua campagna elettorale con uno slogan costituito dallo stesso titolo della fiction. Operazione da manuale».Poi però la Russia ha invaso l’Ucraina.«Putin ha commesso un grave errore, ma nessuno degli esperti di strategie militari racconta ad esempio che sono stati i vertici del suo esercito a spingerlo. Così come si tace un po’ troppo sui profitti delle aziende di armi, di cui l’America è leader».Intanto gli hacker russi del collettivo Killnet prendono di mira i siti anche di media italiani. Dimostra che le notizie contano quanto le armi?«O restavamo neutrali - le confesso, un mio sogno - oppure che potevamo aspettarci? L’attacco dimostra che l’Italia è considerata uno dei Paesi più aggressivi. Ormai, à la guerre comme à la guerre». Se la prendono con l’informazione: perché?«Tv, stampa e pure social media hanno cercato di far passare una sola verità, descrivendo i russi come diavoli e gli ucraini come “angeli”, come ha avuto il coraggio di scrivere l’inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi a proposito degli “eroi del battaglione Azov”».Stava riportando una dichiarazione raccolta sul campo.«Le ricordo che però l’articolo del 2014 di Maria Grazia Bruzzone su un blog della Stampa - che parlava della stessa milizia come nazista, tollerata e apprezzata dall’Occidente - è stato fatto sparire frettolosamente dall’archivio e poi ripubblicato solo quando qualcuno, come voi della Verità, se n’è accorto. Siamo al negazionismo puro, espresso dagli stessi che hanno sempre strillato contro il negazionismo della Shoah».Che ne pensa dei cosiddetti fact checker, coloro che controllano la veridicità delle notizie? Sono una garanzia per l’informazione?«Li finanziano i colossi del Web, e si fa presto a risalire ai pochi fondi finanziari che hanno in mano tutto. Il loro linguaggio, poi, è spesso aggressivo, rudimentale: molte volte sono attivisti incompetenti».Dicono anche che i laboratori di armi biologiche in Ucraina - denunciati da Russia e Cina - non esistano. Per Mosca, le aziende sarebbero coinvolte nel programma Usa per creare i componenti delle armi e testare i nuovi modelli dei prodotti farmaceutici.«Online si possono però trovare documenti ufficiali. Non mi stupisce, visto che oggi si combatte anche con armi batteriologiche e attacchi cibernetici».Torniamo alla nostra tv. Salva qualcosa?«Ovviamente il contro-canto di Report, unico vero esempio di giornalismo d’inchiesta non schierato a prescindere, con interviste sul campo che raccontano un’altra verità sulla guerra. Ormai il principio è che è tutto vero se è in Ucraina». Ad esempio? «Mi viene in mente il missile incastrato inesploso in una cucina senza un briciolo di calcinacci. I dubbi di Toni Capuozzo su crimini di guerra, certo tutti da verificare, sono stati trattati come insulti alla ragione e alla verità. Si inneggia a commissioni d’inchiesta e a tribunali come Norimberga, ma in realtà le sentenze sono state già scritte. Nessuno pensa al cui prodest di tutte le iniziative mediatiche di Zelensky, né si vogliono sottoporre al vaglio del “rasoio di Occam”».Ricopio dalla Treccani: «Non si devono postulare entità inutili, sono da evitare le ipotesi complesse, in particolare quelle non suffragate dall’esperienza».«Esatto. È ovvio che due torti non fanno una ragione. La Russia ha sbagliato i suoi conti, e la Nato ha trovato quindi nuova linfa, vedi Svezia e Norvegia. Ci fosse però qualcuno dei sedicenti esperti che faccia notare che una volta dentro l’alleanza queste nazioni saranno le più esposte a frizioni pericolose e a incidenti di portata nucleare?».Pensa ci sia un disegno dietro?«Faccio solo sommessamente notare che ci dobbiamo sorbire quotidianamente le analisi di direttori di giornali e di editorialisti che in sette anni hanno fatto perdere ai giornali che dirigono e su cui scrivono il 50% delle copie, un’emorragia di lettori che prosegue inarrestabile. Forse sono tanto in tv da non curarsene. La mia esperienza professionale in multinazionali è che se non dai risultati significativi dopo pochi mesi vieni cacciato. Mica premiato con una rubrica in Rai e la cattedra in giornalismo».Sergio Mattarella ha detto che l’informazione libera è il termometro della democrazia. Lei ci sta dicendo che libera non lo è molto. «E dove sarebbe la democrazia? Per le prossime elezioni - ammesso che ne faremo - prevedo un disastro. La politica va ricostruita a partire dal tessuto sociale, promuovendo la realtà dell’essere umano. Solo così salviamo la democrazia. Altro che vivere costantemente nel terrore, in continua emergenza».Ultima domanda, più personale. A Milano hanno celebrato il cinquantesimo anno di Pubblicità progresso: ne è stato presidente per 10 anni, ma era assente, così come gli altri due suoi predecessori. Non sarà che ha fatto arrabbiare qualcuno? L’hanno invitata?«No comment. È una domanda cui non devo rispondere io. Per me è un capitolo chiuso. Lo spirito di innovazione nel campo della comunicazione sociale che mi ha animato in quei vent’anni lo sto ora applicando all’area della responsabilità sociale d’impresa. Nonostante l’età, ho progetti per altri venti».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
Continua a leggereRiduci