2019-06-22
La Cassazione: «I feti sono persone». Ma ancora li uccidono in tranquillità
La Corte conferma l'omicidio colposo per un'ostetrica che ha causato la morte di un bimbo durante il travaglio. Non dovrebbe stupire, però fa notizia. Perché nel mondo l'aborto è sempre più sdoganato.Il feto è un essere umano, una persona, dunque eliminarlo è a tutti gli effetti un omicidio. Questo, ridotto all'osso, è ciò che dice una sentenza della Corte di cassazione, che ha confermato la condanna a 1 anno e 9 mesi di reclusione per tentato omicidio a un'ostetrica salernitana (pena sospesa). La donna in questione, operando con «imprudenza, negligenza e imperizia», ha causato la morte di un bimbo durante il travaglio. A quanto risulta dalle carte, mentre il piccolo soffriva nel ventre materno, la professionista rassicurava il ginecologo certificando il «regolare andamento del travaglio». Ed è così che il feto è «nato morto per asfissia perinatale». Quando la Corte di appello di Salerno l'ha condannata, l'ostetrica ha fatto ricorso in Cassazione. Non ha negato la sua responsabilità nell'accaduto, ma ha sostenuto che il reato da lei commesso sarebbe «aborto colposo» e non «omicidio colposo». Secondo la donna, infatti, «la nascita del feto si realizza esclusivamente con la fuoriuscita dall'alveo materno e col compimento di un atto respiratorio». La Cassazione, tuttavia, ha ribadito che le cose stanno diversamente. Nella sentenza si ricorda, per prima cosa, che «il legislatore ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio». Inoltre, i giudici spiegano che «il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell'inizio del travaglio». Già: con il travaglio, sostiene la Cassazione, si verifica «il raggiungimento dell'autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina». Intendiamoci: la Corte non ha messo in discussione la legge sull'aborto. Ha sentenziato che il feto, al momento del travaglio è già autonomo, dunque è persona distinta dalla madre e non si può ucciderlo. In ogni caso, questa decisione rappresenta una bella vittoria per il fronte pro life, come hanno notato sia Massimo Gandolfini del comitato Difendiamo i nostri figli sia Toni Brandi e Jacopo Coghe, (rispettivamente presidente e vicepresidente del Congresso mondiale delle famiglie e dell'associazione Pro Vita e famiglia). Come prevedibile, sulla Rete la sentenza della Cassazione ha suscitato notevole fermento. A ben guardare tuttavia, tale sentenza non dovrebbe nemmeno fare notizia. Proviamo a spiegare. Al momento del travaglio il feto è una persona e chi lo uccide commette un omicidio? Beh, non vedo come si potrebbe sostenere il contrario. Stiamo parlando di un bambino che sta per uscire dal ventre della madre: nemmeno i più strenui difensori dell'interruzione di gravidanza dovrebbero avere dubbi. Qui non si tratta di embrioni, ma di un essere umano fatto e finito, che solo un pugno di minuti separa dalla luce del sole. In sostanza, la notizia riguardante la Cassazione è la seguente: «Donna provoca la morte di un bambino: condannata». È il classico caso di «cane che morde l'uomo». Direte: se i giornali (voi compresi) ne parlano, un motivo ci sarà... Ed eccoci al punto. Il fatto stesso che la decisione della Cassazione susciti stupore è indicativo della deriva in atto. Purtroppo, oggi non è affatto dato per scontato che un feto sia un essere umano, una persona. Per qualcuno si tratta semplicemente di «materiale organico». Di questi tempi si fa un gran parlare degli Stati americani come l'Alabama che promulgano leggi restrittive sull'interruzione di gravidanza (con conseguente sollevazione di starlette hollywoodiane e colossi del business). Ma quasi nessuno nota che ovunque in Occidente la legislazione in materia di aborto si fa più lasca. Pochi giorni fa, in Francia, è stato approvato un emendamento sostenuto dalla senatrice Laurence Rossignol, ex ministro dei Diritti delle donne, che consente l'aborto fino alla quattordicesima settimana invece che alla dodicesima. A New York, mesi addietro, è stata cambiata la legislazione sull'interruzione della gravidanza dopo le 24 settimane. Prima la donna poteva abortire solo se in pericolo di vita, ora può farlo anche per «motivi di salute», cosa che lascia campo libero a una lunga serie di stravaganti interpretazioni. Le restrizioni sull'aborto sono state abolite (o ridimensionate) in California, Maine, Vermont, Washington e Nevada. Poi c'è il caso abominevole dell'Illinois. Il 12 giugno il governatore democratico, Jay Robert Pritzker, ha firmato il Reproductive health act che abroga la precedente legge del 1975. E, di fatto, abroga anche il divieto di «aborto a nascita parziale», una pratica mostruosa che consente di ammazzare il bambino quando è già pronto per venire il mondo, trascinandolo per i piedi fuori dal ventre materno (non a caso una legge federale l'ha proibita nel 2003). In Italia, stando anche alla sentenza della Cassazione, l'aborto a nascita parziale sarebbe considerato a tutti gli effetti un omicidio. Ma, persino in un Paese civilizzato come gli Usa, ci sono Stati che, evidentemente, lo ritengono legittimo.Ecco perché fa notizia se un tribunale ribadisce che il feto è una persona. Perché, ancora oggi, c'è gente pronta a uccidere in nome dei «diritti» e della «salute».