2025-05-23
La Carta arruolata contro la realtà con la scusa dell’interesse dei minori
Madre «intenzionale» e famiglia «monoparentale»: le élite giudiziarie stropicciano il documento fondativo della Repubblica e prescrivono la loro concezione di diritto alla società. La politica è relegata a spettatrice.Vicepresidente emerito della Corte costituzionaleMadre «intenzionale» e famiglia «monoparentale». Sono questi due straordinari concetti «ossimorici», cioè internamente contraddittori, a emergere, non certo per la prima volta, da due sentenze depositate ieri dalla Corte costituzionale. Questa volta, tuttavia, essi si presentano con nettezza all’attenzione, chiamando in causa la Costituzione e le sensibilità diffuse nella nostra società. La prima sentenza, tutto sommato attesa, stabilisce che il figlio nato in Italia da una donna (madre «biologica») che ha fatto ricorso all’estero alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma) deve avere il vero e proprio stato di figlio anche della cosiddetta madre «intenzionale», cioè della donna che, in coppia con la prima, ha espresso il proprio consenso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. La sentenza, attenzione, non modifica la disciplina italiana di accesso alle tecniche di Pma e non incide sui divieti che la circondano (la donna single e le coppie omosessuali non possono accedervi). E, nonostante i tentativi (che non mancheranno) di interpretazione estensiva, nemmeno riconosce ufficialmente un «diritto alla genitorialità» delle coppie omosessuali, così come non tocca il tema della maternità surrogata (che riguarda le sole coppie omosessuali maschili). La sentenza riconosce piuttosto l’interesse del figlio, nato in Italia da una Pma praticata legalmente in uno Stato estero, a essere titolare di diritti da far valere nei confronti di entrambe le donne che abbiano deciso di ricorrere, appunto all’estero, a questa tecnica. A «giustificare» questa soluzione, come sempre nella giurisprudenza su questi temi, è dunque il «miglior interesse del minore». Questi bambini ci sono, dice la Corte, e hanno diritto di avere entrambi i genitori. Ed entrambi questi genitori devono assumere tutti i doveri che la Costituzione ai genitori assegna: mantenerli, istruirli educarli eccetera (anche se, quando è stata scritta, la Costituzione presupponeva che genitori fossero un uomo e una donna…). Ora, la posizione dei bambini è un argomento forte e nessuno lo nega: ma è molto facile capire che, per questa via, sono le pretese degli adulti a trovare un sostanziale riconoscimento, e si tratta solo di capire quale sarà il prossimo solenne passo giurisprudenziale in quella direzione.Al di là di ciò, e di ogni altro commento possibile su una sentenza così delicata, merita qualche parola il primo dei due concetti «ossimorici» cui si accennava all’inizio: la madre «intenzionale». Osservo che si tratta di uno dei tanti concetti che le élite giudiziarie e intellettuali internazionali hanno da tempo imposto al linguaggio giuridico e sociale. Prevengo l’obiezione: so bene, ed è l’esperienza di tutti noi, che gli affetti umani non conoscono i confini del sangue. Da che mondo è mondo, si può voler bene a un non parente come se fosse un nostro genitore. Tuttavia, «essere come una madre» o «essere come un padre» è appunto un «come se», un regalo del cuore, che non cancella le differenze imposte dalla natura e dal senso di realtà. Il linguaggio utilizzato dalle sentenze quale quella ora in esame, invece, cancella del tutto queste differenze: si può essere vera e propria madre non sulla base della natura e della biologia, ma sulla base della mera «intenzione».È ancora lecito, senza incorrere nelle abituali scomuniche della cultura liberal e woke, esprimere sommessi dubbi su tutto ciò? La tensione tra cultura e natura può essere spinta fino a queste conseguenze, coinvolgendo anche il diritto, che non può essere in contraddizione con la natura? Soprattutto, è mai possibile che questi profondi cambiamenti non solo della nostra vita sociale e di relazione, ma della nostra stessa consapevolezza antropologica, avvengano - in nome della Costituzione, che però aveva una ben diversa idea dei genitori e, come si dirà, della famiglia - sulla base di sentenze emesse da quelle élite giudiziarie interne e internazionali, cui la rappresentanza politica è condannata ad assistere da spettatrice? E come mai nessuno dice che, forse, sarebbe un best interest del minore anche avere informazioni sulla figura del padre, cioè del grande assente in tutto questo contesto? La seconda sentenza, di tenore un poco diverso dalla prima, stabilisce che la scelta legislativa italiana di non permettere alla donna single di accedere alla Pma non è incostituzionale. Dice esplicitamente, e ciò è un bene, che questa scelta trova tuttora una giustificazione nel principio di precauzione a tutela dei futuri nati: è infatti nel loro interesse che la legge non consente un progetto genitoriale che escluda, almeno ab origine, la presenza di un padre (il padre! almeno, qui, questa figura compare sulla scena). Poi, però, si dice anche che non sussistono ostacoli costituzionali a che la legge eventualmente estenda l’accesso alla Pma anche a nuclei familiari «diversi» da quelli attualmente indicati, e in particolare alla «famiglia monoparentale». Insomma: la Costituzione non lo impone, ma la legge potrà farlo, se vorrà. Bene, ma è proprio così? Già in un’altra recente occasione (sentenza 33 del 2025) la Corte costituzionale ha usato questo concetto di «famiglia monoparentale», riconoscendo anche al single la facoltà di accedere all’adozione internazionale, sulla base dell’assunto che tale single componga, appunto, una «famiglia monoparentale», in seno alla quale il minore troverà un’accoglienza stabile e armoniosa. Anche qui, ben sappiamo che la vita e il cuore hanno le loro ragioni e che gli affetti non hanno targa. Ma la nostra Costituzione ha invece concetti precisi: una famiglia nasce da una coppia di persone che si uniscono in matrimonio (articolo 29) e generano figli. Non piace più questa idea? Si cambi la Costituzione! Ma l’idea di una famiglia monoparentale è proprio una contraddizione, almeno dal punto di vista della Costituzione, cui non si può far dire tutto ciò che piace alle nostre élite giudiziarie.
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)