2019-10-29
La chiamano lotta
alle parole d’odio. Si legge censura per le idee sgradite
Con la scusa di liberare il dibattito pubblico e le piattaforme digitali da intolleranti, antisemiti e violenti i progressisti al governo propongono norme che mettono il bavaglio a chiunque rifiuti il pensiero unico. La sinistra di governo sta riuscendo male praticamente in tutto, ma c'è ancora un ambito su cui rimane imbattibile e in cui continua, mese dopo mese, ad affinarsi e migliorare. Stiamo parlando della sottile arte chiamata censura, in cui i progressisti italiani da sempre sono un'eccellenza a livello mondiale, anche se ultimamente si stanno superando. Hanno la straordinaria capacità di far passare come fondamentali (e trasversali) battaglie di libertà misure che in realtà sono liberticide e ideologiche. L'ultima in ordine di tempo è la campagna contro «l'odio sulla Rete». Tutto nasce da un articolo di Repubblica in cui si spiegava che la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento, riceve ogni giorno circa 200 insulti tramite il Web. Illustri editorialisti - tra cui Gad Lerner e Vladimiro Zagrebelsky - hanno subito invocato l'intervento delle istituzioni per fermare gli odiatori antisemiti. Sull'argomento si è pronunciato perfino il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il quale ha proposto di introdurre norme di contrasto a intolleranza, razzismo e al cosiddetto «hate speech». Subito a ruota, il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, ha garantito «il massimo sforzo del Viminale per contrastare il linguaggio di odio e di intolleranza troppo diffuso in Rete». Mercoledì la Lamorgese incontrerà Liliana Segre, e le illustrerà i suoi piani anti odio, che secondo Repubblica prevedono «un inasprimento delle sanzioni ma soprattutto la possibilità di fare istanza al gestore del sito internet di oscuramento, blocco o revoca dei contatti diffusi sulla Rete». Non è finita. Oggi al Senato si discuterà la proposta di legge sull'istituzione di una commissione parlamentare straordinaria «per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza». La prima firmataria di tale proposta è ovviamente Liliana Segre, con il contributo di numerose altre personalità della sinistra tra cui Emma Bonino, Laura Boldrini, Monica Cirinnà, eccetera. Sulla carta, si tratta di una proposta sacrosanta: tutti vogliono che odio e antisemitismo siano combattuti. Il punto, tuttavia, è che con la scusa dell'orrendo antisemitismo si vanno a toccare anche altre questioni sensibili. La commissione straordinaria che la legge istituirebbe, infatti, andrebbe a monitorare e sanzionare «fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali l'etnia, la religione, la provenienza, l'orientamento sessuale, l'identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche». In pratica si tirano dentro tutte le minoranze, comprese quelle etniche e quella arcobaleno. Il rischio - molto concreto - è che la «legge contro l'odio» finisca per colpire non solo gli antisemiti o i molestatori virtuali, ma pure chi esprime opinioni scorrette o sgradite alle varie associazioni per i diritti. Per altro, le nuove proposte «anti odio» ricordano molto da vicino la legge Fiano del 2017, quella che si accaniva sui gagliardetti e gli accendini «di propaganda fascista». Caduto il governo di centrosinistra, di quella proposta si persero fortunatamente le tracce, ma ora ritorna di attualità. È un altro vizio dei progressisti: anche se le leggi suscitano larga opposizione popolare e si arenano in Parlamento, alla prima occasione vengono riesumate, magari sotto mentite spoglie, proprio come nel caso dello ius soli ora divenuto ius culturae. Ma torniamo alla mordacchia. A zittire il dissenso punta anche la proposta di legge contro l'omotransfobia, incardinata la settimana scorsa in Parlamento, che ha per relatore Alessandro Zan del Partito democratico. Pure questa norma vorrebbe colpire intolleranti e «odiatori». Ma è stato lo stesso Zan a portare come esempio di omofobia i partecipanti al Congresso delle famiglie di Verona tenutosi qualche tempo fa. La legge sull'omofobia prevede il «divieto di costituire un qualsiasi ente che preveda finalità di violenze o discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere». Significa che, se la norma fosse approvata, il comitato promotore del Congresso delle famiglie (o magari quello di un altro evento pro life) diventerebbe illegale. Di nuovo, con la scusa di combattere l'odio si mette in pratica la più feroce censura ideologica. Non per nulla il testo anti omofobia è caldeggiato da maestre di libero pensiero come Laura Boldrini e Monica Cirinnà. Quest'ultima, giusto pochi giorni fa, si è battuta con tutte le forze per far sì che fosse tolta dalla circolazione una maglietta - magari stupida ma inoffensiva - in vendita da Carrefour. La t-shirt in questione è stata accusata di sessismo, e subito levata di torno. Se il livello è questo, non siamo messi molto bene: sollevano un polverone per una maglietta idiota, figuratevi per qualcosa di più serio. Oltre all'odio - vero o presunto - ci sono poi le immancabili fake news, contro cui si scaglia la proposta di legge voluta da Italia Viva di Matteo Renzi (uno che dell'argomento bufale è esperto). Anche qui abbiamo a che fare con un tentativo di bavaglio istituzionale non da poco. L'obiettivo è sempre quello: sanzionare e zittire chi promuove un pensiero diverso. Dietro le fumisterie sui diritti si nasconde la sinistra più liberticida di sempre.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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