2020-01-29
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2025-12-12
«Multinazionale» della truffa spolpa il Duomo di Firenze: rubati due milioni alla Onlus
Santa Maria del Fiore (iStock)
Scoperto un sodalizio criminale basato in Lombardia dedito a frodi fiscali e riciclaggio. Intercettato il maxi bonifico dell’ente. Nella cricca italiani, cinesi, albanesi e nigeriani.
Ovunque ci fossero soldi da ripulire c’era la multinazionale di via Asiago a Milano. Lì, nelle vicinanze del domicilio di Chunhui Hu, una dei quattro cittadini cinesi coinvolti, venivano distribuiti i proventi del maxi sistema di riciclaggio che i 13 indagati (sette italiani, un nigeriano, un albanese e i quattro cinesi) erano riusciti a mettere in piedi e che, hanno scoperto gli inquirenti di Brescia, aveva già movimentato 30 milioni di euro in soli sei mesi, facendoli sparire e ricomparire altrove dopo averli puliti con false fatture.
A contribuire al montepremi monstre c’è anche un colpaccio. Il più remunerativo. Quello che ha creato un buco nero nei conti di una Onlus fiorentina, l’Opera di Santa Maria del Fiore, ovvero l’ente che custodisce il Duomo di Firenze, il campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni. L’associazione sarebbe stata «indotta», secondo l’accusa, a pagare 1.785.000 euro «su un conto corrente fittizio» per il restauro del Complesso Eugeniano. La cricca si era infilata nelle email tra l’ente e l’impresa edile, aveva clonato le comunicazioni e deviato il bonifico. Gli inquirenti lo chiamano schema «man in the middle», letteralmente «l’uomo nel mezzo». E quell’uomo, ritengono gli investigatori, sarebbe un soggetto «gravato da numerosi precedenti di polizia». L’Iban della società sul quale era stato inviato il bonifico era riconducibile a lui.
La cifra è poi stata spezzettata e girata su altri conti correnti. Da lì il resto è venuto giù come una valanga. La Squadra mobile, dopo la denuncia del direttore della Onlus, ha cominciato a seguire il denaro e ha trovato una costellazione di conti correnti: italiani, lussemburghesi, polacchi, lituani, spagnoli, tedeschi, nigeriani e croati. E soprattutto ha individuato due fratelli italiani, Luca e Daniele Bertoli. Per la Procura sono avrebbero ricevuto, spezzato, disperso e riconsegnato il denaro «provento di frodi informatiche e fiscali».
Nel provvedimento di fermo per nove dei 13 indagati (altre 21 persone sono state perquisite) si legge che uno dei due fratelli Bertoli, Luca (nome al quale viene legata la truffa alla Onlus fiorentina), e Antonino Giuseppe De Salvo sarebbero «il fulcro dell’intera indagine» e che gli accertamenti hanno svelato «l’esistenza di un gruppo dedito in via esclusiva all’attività di riciclaggio di denaro provento di frodi fiscali o, in altri casi, di frodi informatiche». Mezzo milione di euro in contanti è saltato fuori dagli armadi, dai cassetti e dalle auto. È stato proprio uno dei fratelli Bertoli a vuotare il sacco. Ha raccontato che gli fu proposto di ricevere «un importo di 250.000 euro per conto di altre persone che avevano necessità di monetizzare e fare dei pagamenti» e che lui avrebbe dovuto trasferire quei soldi «in favore di altri».
In cambio avrebbe trattenuto il 5%, da dividere con chi aveva mediato. Dalle carte emerge che la Srl di Bertoli era una società fantasma: sede fittizia, nessun bilancio, nessun dipendente, zero dichiarazioni fiscali. Serviva, secondo l’accusa, a emettere fatture per operazioni inesistenti e a far girare il denaro. Lo stesso valeva per un’impresa di costruzioni di proprietà di Chunhui Hu, detta «Sharon», che aveva la disponibilità di conti esteri sui quali far scivolare i fondi illeciti che, infine, diventavano contanti. E per lo scambio di denaro «si è presentata sua maestà in persona […] tutta vestita Versace», commentano i due fratelli a telefono.
Un passo falso, che ha permesso agli investigatori di individuare la donna. E poi il «sistema» che, secondo l’accusa, funzionava così: le società cartiere emettevano fatture per operazioni inesistenti, gli imprenditori compiacenti pagavano, il denaro veniva spostato su conti esteri e da lì rientrava in Italia in contanti. «Sharon» si appoggiava a due connazionali, Weihong Xu e Huihui Hong, incaricati di recuperare i soldi dai conti esteri e di consegnarlo a Bertoli. Gli appuntamenti avvenivano in via Asiago, rapidissimi, con i pacchi di contanti riconsegnati agli italiani grazie a un «pin» per evitare errori. Gli imprenditori, italiani e albanesi, compravano questo «servizio» per evadere tasse o per riciclare proventi illeciti.
La commissione era chiara: tra il 2 e il 7% trattenuto dalla rete, più un altro 2% destinato ai due intermediari italiani. È così che si arriva ai 30 milioni di euro movimentati in sei mesi. Uno degli snodi chiave è datato 4 settembre. Quel giorno gli agenti fermano un’auto con a bordo la cinese Hong. Nascosti in sacchetti di plastica ci sono 197.220 euro. La somma era divisa in mazzette da 10.000 euro. Nel provvedimento di fermo la Procura scrive che la Hong «compiva operazioni tali da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro contante». Il ritratto perfetto degli «spalloni» d’antan. Ma è a questo punto che gli indagati avrebbero fatto un altro passo falso. Sul telefono cellulare di uno degli indagati arriva la fotografia del verbale di sequestro del denaro. E in chat compare un commento: «Siamo sfigati». «In tal modo», sottolineano gli inquirenti, «rivendicando la paternità della somma di denaro» e «palesando il proprio diretto interesse al rientro dei contanti».
Proprio Luca Bertoli sperava di poter concludere l’ultima operazione prima di lasciare l’Italia: «Sto aspettando il 13 di pagarvi poi scappo, poi me ne vado». Parole captate dagli inquirenti e sottolineate nelle esigenze cautelari.
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Riduci
Tiziano Renzi (Ansa). Nel riquadro, Luigi Dagostino
Luigi Dagostino, «re degli outlet», è accusato di bancarotta fraudolenta per il dissesto della Mall re invest.
Va a processo il «re degli outlet». È stato rinviato a giudizio l’imprenditore pugliese Luigi Dagostino, che è stato anche socio in affari di Tiziano Renzi, il papà dell’ex presidente del Consiglio Matteo. Dagostino è indagato per bancarotta fraudolenta ed è accusato di aver causato il dissesto della società Mall re invest. Secondo l’accusa, l’ex socio di Renzi senior ha sperperato oltre tre milioni di euro quando ricoprì il ruolo di amministratore unico della società dal 2014 e, poi, quando nel 2017 fu nominato liquidatore.
Le indagini della Procura hanno cercato di fare chiarezza a partire dal 2022, quando il tribunale dichiarò il fallimento della società. Gli inquirenti, infatti, hanno scoperto che, ben cinque anni prima della dichiarazione di fallimento, la società era già in «liquidazione volontaria». La Procura ha acceso i riflettori su alcune operazioni che avrebbero portato al dissesto della Mall re invest. Tra queste anche quella che avrebbe portato a «utilizzare» circa 41.000 euro «come pagamento a un fornitore non identificato».
Sotto la lente degli investigatori è finito inoltre un versamento di 226.000 euro emesso però per «operazioni inesistenti» che sarebbe stato effettuato da un’impresa ma per lavori mai fatti. Secondo l’accusa, la Mall re invest ha versato oltre 750.000 euro a un’altra società, la Dil invest, amministrata da Dagostino, in cambio di «una fattura falsa o parzialmente falsa, in quanto indicava una cifra per eccesso per un’attività di intermediazione».
Il dibattimento prenderà il via il prossimo marzo. I guai giudiziari per «il re degli outlet» non sembrano finire mai. Infatti, Dagostino lo scorso luglio era stato già condannato per «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false». Era l’inchiesta in cui erano indagati gli stessi genitori di Matteo Renzi, che furono però assolti. Lo scorso luglio la Corte di Appello di Firenze ha condannato l’imprenditore «amico dei Renzi» perché «le fatture erano oggettivamente false». Per l’accusa, in questa vicenda Dagostino aveva indotto in errore il nuovo amministratore della società Tramor perché - sempre secondo le indagini - gli fece utilizzare «documenti falsi». Per i pm, le fatture erano taroccate e non supportate da altra documentazione. Si trattava di «una strategia» ben architettata per mettere in atto la frode. Ma Tiziano Renzi e la moglie Laura Bovoli sono stati assolti in secondo grado perché «il fatto non costituisce reato», assoluzione che era stata confermata poi anche in Cassazione. Però, a leggere la sentenza dello scorso luglio che condannava Dagostino, per i giudici non c’erano dubbi che ci fosse un collegamento tra le due società che erano riconducibili ai genitori di Matteo Renzi.
Quelle società, sempre secondo i giudici, avrebbero emesso fatture false «grazie» a un accordo proprio con il «re degli outlet». Chi avrebbe emesso quelle fatture è stato assolto. Dagostino avrebbe fatto usare quelle fatture false ed è stato condannato. Questo dicono le sentenze. Ma ora l’imprenditore pugliese ha altri guai giudiziari a cui pensare.
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Riduci
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, risponde al Maestro Riccardo Muti e si impegna a lavorare con il ministero degli Esteri per avviare contatti ai più alti livelli con la Francia per riportare a Firenze le spoglie del grande compositore Cherubini.
Michele Emiliano (Ansa)
Taxi, consulenze, personale: le società della Regione sforano ancora i limiti di budget.
A giugno scorso la Corte dei Conti era stata chiara: in Puglia le centinaia di società partecipate e controllate che hanno come principali azionisti gli enti pubblici pugliesi hanno costi e perdite molto pesanti. Nel resoconto era scritto che migliorava il costo del lavoro, ma cresceva in maniera impressionante il livello dei debiti che aveva superato i due miliardi di euro, e così la Regione governata da Michele Emiliano doveva pensare a un piano di risparmio, soprattutto su voci come noleggio auto, taxi e consulenze.
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
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