2022-10-15
Kim Rossi Stuart: «La figura del padre è indebolita. Ma ai ragazzi serve»
Kim Rossi Stuart (Getty Images)
L’attore e regista è al cinema con «Brado», storia di un uomo e suo figlio: «Proteggere i giovani li allontana dalla maturità». Kim Rossi Stuart è attore e regista, marito della bellissima Ilaria Spada, anche lei attrice, padre di tre figli e, da qualche tempo, si è incuriosito al cristianesimo. Il 20 ottobre uscirà nei cinema Brado, il terzo film da lui diretto (dopo Anche libero va bene e Tommaso), prodotto dalla Palomar di Carlo Degli Esposti, che vi recita una piccola parte. È «un western esistenziale» imperniato sul rapporto conflittuale tra Renato, un padre misantropo, e Tommaso, un figlio alla ricerca della propria identità, che si ritrovano per domare un cavallo e iscriverlo a una gara di cross country. Una storia insolita per il cinema italiano.Cominciamo dal titolo: Brado vuol dire tante cose.«Prima di tutto è il nome del ranch di Renato che è anche una scuola di equitazione, per quanto malandata. Poi è lo stato nel quale vive il padre e, di conseguenza, il modello educativo che infligge al figlio. Infine, brado è anche il cavallo prima di essere domato».Quella del padre è la vita di un asociale, ma in lui prevale il rifiuto o una scelta positiva, per fare spazio a qualcos’altro?«Entrambe le cose. Osservandolo da spettatore, Renato mi appare una persona ambivalente. Nel suo stile di vita c’è una reazione rabbiosa rispetto alla società nella quale non si riconosce. Allo stesso tempo lo ammiro perché, in fondo, compie una scelta ecologista che, per certi versi, condivido».Tuttavia, è una persona scontenta, frustrata.«Mi sforzo sempre di trovare nei personaggi qualcosa di archetipico, in questo caso l’uomo che vuole domare, o dominare, la vita. Il cavallo da domare, in un certo senso è il simbolo della vita. Non c’è bisogno di scovare un Don Chisciotte o un grande misantropo: la pulsione a dominare è propria dell’uomo metropolitano, dell’umanità contemporanea. Per contro, il figlio è portatore di un’istanza opposta, farsi guidare dalla vita. La sua strada per domare il cavallo è lasciarsi guidare da lui».Nell’ambizione di dominare il padre incarna l’uomo contemporaneo, ma senza connessioni, social e ricerca di visibilità forse è anche un antimoderno.«In un certo senso, sì. Anche perché è un uomo che vagheggia il far west, uno stile di vita che moderno non è. È un padre antipatico e brutale, ma nella sua radicalità c’è qualcosa di buono. Credo che nel suo desiderio di rendere autonomo il figlio, di metterlo a contatto anche con le cose spiacevoli, ci sia qualcosa di utile anche ai genitori moderni. Lo dico pensando al mio desiderio di proteggere i miei tre figli da ciò che può risultare scomodo o provocare qualche sofferenza. Questo eccesso di protezione può essere pericoloso perché rischia di allontanarli da una vera autonomia, da una vera maturità».La definizione più fulminante del suo personaggio la dà l’amico imprenditore interpretato da Carlo Degli Esposti: «Il Clint Eastwood dei poveri». Le piace il cinema di Eastwood?«È difficile resistere a Clint Eastwood».In che senso?«Nel senso di non lasciarsi sedurre. Poi, certo, non tutti i suoi film mi piacciono, ma la stragrande maggioranza non è che mi son piaciuti, di più. Detto questo, siamo due mondi lontani, noi in Italia e loro lì, con strumenti e possibilità molto diverse. Lo dico senza criticare nulla del nostro cinema». C’è una scena alla fine di Brado in cui viene in mente Million Dollar Baby, anche perché le due storie che gravitano attorno a un’impresa sportiva corrono parallele.«Non vorrei fare accostamenti azzardati. Il telaio è quello di due film di genere che, nel sottofinale, tradiscono il genere per entrare nei meandri più profondi di alcune tematiche. La scena di cui lei parla avviene in un ospedale e riguarda il fine vita, argomento sul quale non ho una posizione ideologica. E qui mi fermo per non spoilerare».A un certo punto sembra che tra padre e figlio il più responsabile e affidabile sia il secondo.«C’è una lunga teoria di esempi cinematografici che trattano il ribaltamento dei ruoli, primo fra tutti Ladri di bicilette. A bocce ferme, la scelta di Tommaso di lasciarsi guidare dalla vita mi appare più matura. La vita è più brava di noi».È la sapienza di cui è cosparso tutto il film.«Questo film ha a che fare con la ricerca di una pacificazione e il bisogno freudiano di distruggere il padre per recuperare la propria identità. Per tre o quattro minuti il pubblico è anche messo di fronte a ciò che fa più paura: l’esperienza della morte. L’amore tra il padre e il figlio può essere la chiave di accesso a questa esperienza, un padre deve insegnare sia a vivere che a morire. Si soffre un po’ in quei minuti, ma penso possano aiutare a guardare in modo diverso la paura del morire».I due si ritrovano nella preparazione della prova sportiva: la vita è competizione e la competizione può far esprimere il meglio delle persone?«Approvo la competizione, ma penso che dovremmo circoscriverla all’ambito sportivo. Amo le corsie di nuoto o di atletica: lì la voglia di essere vincenti mi piace. Invece la trovo démodé in tutti gli altri ambiti perché manifesta una ricerca di approvazione che rimanda all’infantilismo dominante nel nostro tempo, soprattutto nelle sfere del potere».La moglie e madre, invece, ha abbandonato la famiglia ed è il secondo rovesciamento di luoghi comuni.«Nella confusione dei ruoli che regna nella società odierna anche questo è un ribaltamento dei ruoli abituali. È il fil rouge che collega i miei tre film da regista».Cosa pensa dell’espressione Genitore 1 e Genitore 2 che negli atti amministrativi anche scolastici ha sostituito Padre e Madre?«Non seguo molto queste polemiche. Penso che ogni situazione sia a sé, il buon senso non ha colori e sessi. Poi capisco che bisogna legiferare e porre delle regole, ma non voglio esondare dai temi del film. Piuttosto, parlando di scuola, con un figlio che accede alla media inferiore, mi sento di dire che non è giusto schiacciare i ragazzi con la responsabilità, facendo perdere loro il gusto dell’adolescenza. È importante che si relazionino e non passino i pomeriggi al computer. Allo stesso tempo non è giusto che li passino sui libri per i compiti».Pare anche a lei che nell’universo giovanile i padri siano diventati secondari? Questo avviene perché fanno gli amici e abdicano al loro ruolo?«Nella tendenza a non voler far soffrire i ragazzi si nasconde il desiderio di ricevere l’approvazione dei figli. Per me è una deriva pericolosa. Non sono nostalgico del padre padrone, per carità. Ma nello stesso tempo vedo che la figura del padre è indebolita, esautorata di alcune prerogative. I ragazzi hanno bisogno di trovare braccia solide che sappiano porre degli argini, altrimenti non ce la fanno a costruirsi un’identità. Anche la donna ha un ruolo in questo processo, mi sembra che ci sia un po’ di confusione».Si rischia una femminilizzazione della società moderna?«Non vorrei addentrarmi in considerazioni sociologiche. Nei gruppi di amici mi capita di vedere uomini un po’ marginalizzati e donne che vogliono contare di più. Uomo e donna sono diversi, ma il bisogno di affermazione e la ricerca dell’approvazione a ogni costo riguarda entrambi i sessi».Cosa intendeva quando in una recente intervista ha detto che «l’essere umano inginocchiato è un’esperienza straordinaria»?«Spesso l’uomo si mette in ginocchio davanti al proprio capo, al piacere, al profitto. Proviamo a pensarci: ci troviamo in ginocchio senza neanche accorgerci, davanti a tanti idoli, ai vari vitelli d’oro. Invece, inginocchiarsi di fronte alla creazione, perché siamo creature, davanti al Dio che vuoi tu, non voglio fare differenze, è un’esperienza straordinaria. All’uomo sono concesse solo schegge di verità, nessuno la possiede per intero. L’uomo inginocchiato davanti a qualcosa di più grande di lui è qualcosa di necessario. Non tanto di fronte agli altri, ma guardando a sé stesso. Possiamo riconoscere che siamo fragili, liberandoci dallo sforzo titanico di dimostrare quotidianamente che siamo forti, grandi, vincenti».Pensa che la consapevolezza che l’uomo non si fa da sé si colleghi all’atteggiamento di fronte alla vita e al fine vita?«Sul fine vita ho un approccio totalmente laico. Ma è un tale sollievo riconoscersi creatura, è un tale sollievo sconfiggere il terrore della morte e l’obbligo di nascondere la nostra fragilità… Ci aiuta a superare un’idea deteriore di autonomia e indipendenza». Oggi Brado sarà presentato in anteprima al «Kum! Festival» nell’ambito di una riflessione sull’eutanasia. Come risponderà alla domanda del dibattito: bisogna domare o lasciarsi domare dalla vita?«Inviterò me stesso e il pubblico a un equilibrio perché la verità non sta mai solo da una parte. Se siamo dotati di capacità critica possiamo usare la nostra intelligenza per domare gli istinti peggiori. Così come possiamo lasciarci domare dalla vita perché possa insegnarci il meglio. Un fiume plasma il suo percorso a seconda degli ostacoli che incontra per arrivare al traguardo».Il prossimo film graviterà intorno a Medjugorje che è citata anche in Brado?«Nel 2019 ho scritto un libro composto da cinque racconti (Le guarigioni, La nave di Teseo, ndr) di cui due sono già arrivati al cinema. Ne restano tre: uno è dedicato a Medjugorje, un altro è un racconto distopico, l’ultimo è la storia dell’incontro tra un uomo e una donna. Tutti possono diventare film, ma anche no: non vorrei che il mio fosse etichettato come cinema autobiografico. Mi piacerebbe anche raccontare storie che partano dall’esterno, dalla cronaca, e proporre qualcosa di meno introspettivo».Che rapporto ha con il successo?«È una brutta bestia. Qualcosa che accarezza l’ego, qualcosa di effimero che porta lontano dalla vita vera. Quando guardo certe personalità della cultura e dello spettacolo le vedo spesso accartocciate in una frustrazione a causa di qualcosa che non è stato loro riconosciuto. Il successo cerco di tenerlo in un angolo se no ti frega. Su questo mi aiuta il cristianesimo perché insegna che il successo vero sta nel decentramento da noi stessi, nel vedere l’altro».Un film, un libro, una serie che le sono piaciuti ultimamente?«Con tre figli piccoli, riesco a vedere e leggere meno di quanto vorrei. L’ultimo film che mi ha commosso è Nomadland».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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