2024-03-10
Kiev vuole truppe Nato, ma per il Papa ha perso
Mentre l’Ucraina evoca apertamente il coinvolgimento di soldati stranieri e la Polonia chiama l’Alleanza atlantica, da Francesco arrivano parole forti in direzione di una tregua: «Quando le cose non vanno, occorre avere il coraggio di alzare bandiera bianca».Recep Tayyip Erdogan: «Netanyahu è come Hitler. Non possiamo definire Hamas terrorista».Lo speciale contiene due articoli.«È più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare». È con queste parole che Papa Francesco invita chiaramente Kiev a lasciare le armi per avviare una negoziazione con Mosca per la fine della guerra. È alla Radiotelevisione svizzera che Bergoglio concede questa intervista che potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici attorno al conflitto tra Russia e Ucraina. «Oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche Paese che faccia da mediatore. Nella guerra in Ucraina, ce ne sono tanti. La Turchia, si è offerta. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».Parole rilevanti, quelle del Papa, che fanno sembrare la resistenza ucraina contro la Russia un capriccio del presidente Volodymyr Zelensky.In serata, il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, è stato costretto ad aggiustare la mira: «Il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare con essa la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato. Altrove nell’intervista, parlando di un’altra situazione di conflitto, ma riferendosi a ogni situazione di guerra, il Papa ha affermato chiaramente: “il negoziato non è mai una resa”». Intanto, però, il segretario del Consiglio di sicurezza e difesa ucraina, Alexei Danilov, ammette la possibilità che l’Occidente inizi ad aiutare l’Ucraina non solo con le armi ma anche con le truppe. «Non escludiamo assolutamente la comparsa di alcune unità militari di alcuni Paesi sul nostro territorio se prendono una decisione adeguata», ha affermato il funzionario ucraino, avvertendo che la questione dell’invio di personale militare straniero in Ucraina è molto delicata e potrebbe non essere sempre pubblica. Danilov ha ricordato che l’Ucraina ora si aspetta, prima di tutto, forniture tempestive di armi dai suoi partner occidentali. Inoltre dopo la Francia, anche la Polonia, con il suo ministro degli Esteri, fa sapere che la presenza di truppe Nato in Ucraina «non è impensabile». Intanto il premier ungherese, Viktor Orbán, si è recato in Florida, negli Stati Uniti per incontrare l’ex presidente americano Donald Trump nella sua residenza a Mar-a-Lago. «Il presidente Trump è stato un presidente di pace, ha suscitato rispetto nel mondo e ha creato le condizioni per la pace. Durante la sua presidenza c’era pace in Medio Oriente e pace in Ucraina. Non ci sarebbe la guerra oggi se fosse ancora presidente degli Stati Uniti», il suo commento a margine della visita. Restando negli Stati Uniti, secondo la Cnn, Washington già dalla fine del 2022 ha iniziato a «prepararsi rigorosamente» per un potenziale attacco russo all’Ucraina con un’arma nucleare. Dalla fine dell’estate all’autunno del 2022, il Consiglio di sicurezza nazionale ha convocato una serie di riunioni per mettere in atto piani di emergenza «nel caso in cui ci fosse un’indicazione molto chiara che i russi stavano per fare qualcosa, come attaccare con un’arma nucleare», ha riferito un funzionario. Ipotesi finora fortunatamente mai concretizzata. Così com’è un’ipotesi il presunto attentato di Odessa ai danni di Zelensky. «Se qualcuno di voi spera in cuor suo di sbarazzarsi del leader del regime di Kiev in questo modo, allora posso deludervi: questo non fa parte dei nostri piani», ha spiegato Dmitri Polyansky, primo vice rappresentante permanente della Federazione Russa presso le Nazioni Unite, intervenuto durante una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. «Pensate davvero che se volevamo colpire il corteo d’auto di Zelensky non ci saremmo riusciti? Provate a rispondere a questa domanda, ma siate onesti». Intanto una nuova riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina si terrà nella base aerea americana di Ramstein, nel Sud-Ovest della Germania, il prossimo 19 marzo. L’ultima si era tenuta lo scorso 14 febbraio in video-collegamento. Su invito del segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, sono attesi i vertici della Difesa dei 56 Paesi che compongono l’alleanza, costituita con l’obiettivo di coordinare gli aiuti militari alle forze di Kiev. Il Gruppo di Contatto comprende i 32 Paesi Nato, compresa la Svezia, più 24 Stati che si sono opposti all’invasione russa. La battaglia sul campo, invece, diventa sempre più tesa. Un ragazzo di 16 anni è morto sotto le bombe russe a Nikopol, il fratello è ora ricoverato in terapia intensiva in gravi condizioni. Colpita anche Kherson, lì sono stati feriti tre civili. Non è stato specificato il tipo di armamento utilizzato per l’attacco. Le forze armate ucraine hanno liberato Kherson e altri insediamenti regionali sulla riva occidentale del fiume Dnipro nella controffensiva dell’autunno 2022.Le forze russe la notte scorsa hanno lanciato 15 droni kamikaze sull’Ucraina, 12 dei quali sono stati distrutti dalle difese aeree di Kiev. I velivoli senza equipaggio sono stati lanciati dalla zona di Chauda, nella Crimea occupata, e dal territorio russo di Primorsko-Akhtarsk. I droni abbattuti sono stati intercettati nelle regioni di Dnipropetrovsk, Donetsk e Poltava. Anche i sistemi di difesa aerea russi hanno respinto un massiccio attacco di droni. Questa volta a Taganrog. Nella regione di Donetsk un uomo è stato ucciso a Chasovoy Yar in seguito a un bombardamento e un’altra persona è rimasta ferita a Ocheretiny. Non solo i missili, anche il contesto diplomatico favorisce l’aumento della tensione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/kiev-per-papa-ha-perso-2667471931.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-huthi-ora-minacciano-litalia-le-vostre-navi-sono-a-rischio" data-post-id="2667471931" data-published-at="1710014634" data-use-pagination="False"> Gli Huthi ora minacciano l’Italia: «Le vostre navi sono a rischio» Dopo qualche settimana di cautela il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ricominciato nella sua «guerra delle parole» contro Israele. Ieri a Istanbul, durante un discorso alla 53ª Assemblea generale ordinaria della Fondazione per la diffusione della scienza, l’uomo forte di Ankara che è membro della fratellanza musulmana, ha affermato: «La Turchia è un Paese che parla molto apertamente e chiaramente con i leader di Hamas e li sostiene fermamente. Nessuno può farci qualificare Hamas come un’organizzazione terroristica». Erdogan ha poi definito Benjamin Netanyahu come un uomo che «si è guadagnato un posto accanto a Hitler, Mussolini e Stalin». La risposta di Israele è stata altrettanto dura: «Israele, che aderisce alle leggi di guerra, non accetta», ha detto Netanyahu su X, «prediche morali da un uomo che sostiene gli assassini e gli stupratori della organizzazione terroristica Hamas. Che nega l’olocausto armeno, massacra i curdi nel suo stesso Paese e mette in galera gli oppositori del regime e i giornalisti». Resta febbrile l’attività diplomatica e quella delle intelligence come si scrive la testata israeliana Walla che racconta che venerdì scorso il capo del Mossad, David Barnea, ha incontrato «in uno dei Paesi della regione» l’omologo della Cia Bill Burns, per discutere degli sforzi in corso per raggiungere un accordo sul tema degli ostaggi e condividere informazioni «in merito agli incontri avuti da Burns in Egitto e Qatar negli ultimi due giorni». Inoltre Doha minaccia di espellere i leader di Hamas dal Qatar se non riusciranno a convincerli ad accettare un accordo sugli ostaggi. Lo riferisce il Wall Street Journal che cita un funzionario di Hamas e uno egiziano. A proposito degli ostaggi, l’emittente televisiva Canale 12 ha reso noto che alcune famiglie degli ostaggi «hanno ricevuto segni di vita da parte dei loro congiunti», tuttavia la censura militare «ha impedito la diffusione di ulteriori dettagli sulla vicenda». Tensione sempre altissima nel Mar Rosso con gli Huthi che secondo il loro portavoce Yahya Sarea, che ha parlato al canale tv al-Masirah (di proprietà dei terroristi yemeniti), «hanno attaccato un certo numero di cacciatorpediniere statunitensi nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden con 37 droni». Il gruppo terroristico yemenita attraverso un’intervista all’Adnkronos del vicecapo dell’Autorità per i media degli Ansar Allah (Huthi) e presidente del Consiglio di amministrazione dell’agenzia di stampa Saba, Nasr Al Din Amer, ha minacciato il nostro Paese: «Inaccettabile che l’Italia abbia fermato un nostro attacco, le sue navi ora sono a rischio». Nello specifico si parla dell’operazione condotta dalla nave della nostra Marina che ha abbattuto un drone nello Stretto di Bab Al Mandab. Il drone, aveva spiegato il ministero della Difesa, si trovava a circa sei chilometri dal Caio Duilio, in volo verso di esso. «Non sarebbe dovuto accadere», ha detto Amer. A proposito di quanto accaduto l’altra notte, il Comando Usa per il Medio Oriente (Centcom) su X ha affermato che le Forze statunitensi e alleate hanno abbattuto 15 droni Huthi (e non 37), nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. Centcom ha definito l’attacco su larga scala una minaccia per «le navi mercantili, la Marina americana e le navi della coalizione nella regione». Anche la Marina militare francese con i suoi aerei da combattimento ha distrutto quattro droni che «si stavano dirigendo dallo Yemen verso una missione navale europea nel Golfo di Aden». Lo ha annunciato l’Esercito francese: «Questa azione difensiva ha contribuito direttamente alla protezione della nave mercantile True Confidence, battente bandiera delle Barbados, attaccata e rimorchiata il 6 marzo, e di altre navi mercantili in transito in queste acque» si legge nella nota. Infine, secondo il portavoce del Pentagono Patrick Ryder «sarà necessario almeno un mese o forse due perché le Forze armate Usa costruiscano il molo galleggiante e una strada rialzata per fornire aiuti umanitari a Gaza e l’operazione richiederà probabilmente fino a 1.000 militari per essere completata», mentre per il presidente degli Stati Uniti «sarà difficile garantire un cessate il fuoco tra Israele e Hamas entro il mese sacro musulmano del Ramadan» che inizia oggi.