2024-08-25
Il ciclone Kennedy sulle elezioni Usa porta voti a Trump
Robert F. Kennedy Jr. e Donald Trump (Getty)
Il ritiro di Robert F. Kennedy e il suo appoggio al tycoon cambiano i sondaggi in diversi Stati chiave. E il fascino di «quel» cognome può pesare.Nuova svolta nella campagna elettorale americana. Venerdì, il candidato indipendente Robert Kennedy jr ha reso noto il suo ritiro dalla competizione negli Stati chiave, dando il proprio endorsement a Donald Trump. Durante l’annuncio, il figlio di Bob Kennedy ha duramente attaccato il Partito democratico, sottolineando l’opacità con cui ha sostituito Joe Biden con Kamala Harris, bypassando del tutto la volontà popolare. Ha anche detto che suo zio e suo padre rimarrebbero oggi «stupiti» dal fatto che l’attuale candidata dem continui a rifiutare interviste con la stampa. Infine, pur ammettendo di avere delle differenze di vedute con il tycoon, Kennedy ha evidenziato di essere d’accordo con lui nel porre un freno alle «guerre senza fine», nel mettere in sicurezza la frontiera e nel difendere la libertà di espressione. Poche ore dopo, Kennedy e Trump sono apparsi insieme a un comizio in Arizona. Accettando l’endorsement, l’ex presidente ha promesso a Rfk che, in caso di ritorno alla Casa Bianca, istituirà un gruppo di lavoro per la salute dei bambini, impegnandosi inoltre a rendere pubblici tutti i documenti riservati sull’assassinio di John F. Kennedy.La famiglia Kennedy, neanche a dirlo, ha subito preso le distanze da Rfk, mentre la campagna della Harris, pur non citandolo, ha lanciato un messaggio per corteggiarne gli elettori. «Per qualsiasi americano là fuori che è stanco di Trump e cerca una nuova strada da seguire, la nostra è una campagna per voi», ha dichiarato. In tutto questo, è subito partito il fuoco di fila dei soliti commentatori e giornalisti da tinello, americani e nostrani, che hanno gridato allo scandalo, deprecando il fatto che Trump abbia accettato l’endorsement di un noto antivaccinista come Kennedy. Sono magari le stesse persone che, otto anni fa, sostennero alacremente la campagna presidenziale di Hillary Clinton. Probabilmente dimenticano che, a luglio 2016, la Clinton ottenne l’endorsement proprio da Rfk, quando erano cioè già undici anni che quest’ultimo portava avanti la sua battaglia contro i vaccini. Del resto, al di là del doppiopesismo e della scarsa onestà intellettuale di alcuni commentatori, tutto questo nervosismo certifica che l’endorsement di Kennedy a qualcuno, nel mondo dem, fa paura. Eh sì, perché gli equilibri della campagna elettorale adesso potrebbero cambiare.Inizialmente candidatosi alle primarie del Partito democratico, il figlio di Bobby aveva deciso di correre da indipendente lo scorso ottobre. Durante la prima metà del 2024, la sua campagna aveva dato segnali di forza notevole. Fino a inizio luglio, il diretto interessato veleggiava attorno al 15% a livello nazionale (non molto meno del 18,9% conquistato dal miliardario Ross Perot alle presidenziali del 1992). Quello che semmai i sondaggi facevano fatica a capire era se la presenza di Kennedy danneggiasse più Biden o Trump. A inizio anno, sembrava azzoppare più l’allora candidato dem, tanto che quest’ultimo creò una task force nella sua campagna per attaccare appositamente il figlio di Bobby. Col passare dei mesi, Rfk sembrò iniziare invece a insidiare maggiormente Trump, tanto che il tycoon cominciò ad accusarlo di essere un estremista di sinistra. Il problema è che Kennedy era politicamente trasversale: se il cognome e le sue posizioni ambientaliste attiravano la sinistra, su possesso d’armi e vaccini il diretto interessato guardava invece tendenzialmente a destra. Proprio questa trasversalità ha reso difficile valutare il suo impatto sulla campagna.La situazione è mutata dopo il ritiro di Biden. Secondo il Pew Research Center, ad agosto, l’elettorato originario di Kennedy si sarebbe così diviso: il 39% sarebbe andato con la Harris, il 20% con Trump e il restante 39% sarebbe rimasto con lui. Ciò significa che la spinta sondaggistica di cui la candidata dem ha goduto finora è stata dovuta (anche) a una parte dei tanto vituperati sostenitori del figlio di Bobby. La domanda da porsi allora è: al di là dell’endorsement di venerdì, chi avvantaggerà realmente l’addio elettorale di Rfk? Stando ai sondaggi di agosto condotti prima del ritiro, la risposta probabilmente è: Trump. Secondo The Hill, in Arizona, con Kennedy presente, la Harris sarebbe al 44,8% e Trump al 43,3%. Senza Kennedy, Trump passerebbe invece al 47,3% contro il 47,2% della rivale. In Michigan, con l’assenza di Kennedy, il vantaggio della Harris su Trump scenderebbe dal 2,8% all’1,9%. In Georgia, senza Rfk, il vantaggio dell’ex presidente sull’avversaria salirebbe invece dell’1,4%. Venendo alla Pennsylvania, senza Kennedy, lo svantaggio di Trump rispetto alla Harris si ridurrebbe dall’1,6% allo 0,9%. Tutto questo, mentre in Wisconsin -Stato in cui il tycoon viene storicamente sottostimato - l’assenza di Rfk dimezzerebbe il vantaggio della vicepresidente su Trump, che calerebbe dal 6% al 3,3%.È chiaro che non si tratta di spostamenti enormi. Tuttavia va ricordato che le prossime elezioni, così come le ultime due, si giocheranno in una manciata di Stati in bilico, dove a rivelarsi dirimenti saranno poche migliaia di elettori. In questo senso, il ritiro di Kennedy, strategicamente piazzato subito dopo la Convention dem per tagliarle la coda mediatica, potrebbe aiutare non poco il tycoon. Senza contare il discorso di immagine. Bob Kennedy fu ucciso durante le primarie dem del 1968: con l’endorsement di suo figlio, Trump riesce quindi a stabilire innanzitutto una connessione potente con l’attentato da lui subito a Butler il mese scorso. In secondo luogo, è anche politicamente e mediaticamente significativo che un Kennedy, ormai in polemica con l’establishment dem, stia sostenendo un candidato repubblicano. Ovviamente è già partita la campagna per dire che Trump, accettando l’endorsement di Rfk, sarebbe «filorusso»: narrazione stantia, che omette di dire come l’ex presidente abbia anche l’appoggio di figure tutt’altro che tenere con Mosca e Pechino, come Mike Pompeo e Lindsey Graham. Il nervosismo di certi ambienti per la mossa di Kennedy dimostra che, forse, qualcuno ha dato la Harris vincente un po’ troppo presto.
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)