2022-07-04
Antonio Noto: «Italiani arrabbiati con Draghi. Lo avevano sopravvalutato»
Antonio Noto (Sondaggi Bidimedia)
Il sondaggista: «Attribuita una capacità di cambiamento superiore alle reali possibilità. Giuseppe Conte ancora apprezzato, M5s no. La maggioranza contraria a inviare armi in Ucraina».Antonio Noto descrive come «lento e inesorabile» il calo del livello di fiducia degli italiani al governo Draghi. Il suo istituto demoscopico lo colloca al 48%: in un anno ha perso per strada otto punti. «Per carità, è una percentuale alta», premette, «ma la decrescita è significativa». C’è da dire che tra Covid e conflitto in Ucraina non è stata una passeggiata.«Infatti. Gli italiani non associano una responsabilità forte al governo per ciò che sta accadendo. Riconoscono dinamiche esterne, ovviamente. Ma sono fortemente preoccupati per la crisi economica, in particolare per i rincari delle bollette e dei generi alimentari».Cosa prevede? «Il rischio di un cortocircuito c’è. Difficile prevedere se il calo continuerà con questi ritmi. Di certo il premier e la sua squadra inizialmente sono stati sovrastimati, veniva attribuita loro una capacità di cambiamento superiore rispetto alle reali possibilità. C’è da chiedersi cosa accadrà a ottobre-novembre: se ci saranno razionamenti di elettricità e gas, e una nuova ondata di emergenza sanitaria».Quanto interessano i temi di difesa della democrazia, dell’Occidente e del popolo ucraino?«In questo momento poco. L’attenzione al conflitto resta, ma più a livello di fatto di cronaca. Solo il 4% degli italiani ritiene che durerà poco e che ci stiamo avviando verso colloqui di pace. Si pensa a un conflitto lungo, o addirittura senza vie d’uscita pacifiche. Ma lo sguardo degli italiani è principalmente al proprio portafoglio, oggi. I temi si sono sedimentati».Sono ancora in crescita i contrari all’invio di armi in Ucraina?«Sì, è oggi la maggioranza. Non si tratta tanto di una posizione ideologica o punitiva per il popolo ucraino, ci mancherebbe: è una convinzione che nasce razionalmente dal timore di avere problemi economici, ed emotivamente dalla paura di esporci a un pericolo». Che la guerra, cioè, si allarghi ad altri Paesi?«La preoccupazione iniziale sulla sicurezza del nostro Paese era molto forte. Ma ora anche questa sta scemando. Ribadisco: interessa più che altro il caro-prezzi. Più del 70% dichiara di averne già risentito».Italiani putiniani pur di salvare le proprie tasche?«No, no, anche perché “putiniani” è una parola davvero abusata. La percentuale di coloro i quali hanno una opinione critica rispetto a quella prevalente sulla guerra è stimabile tra il 13 e il 14%. Non sono persone filorusse. Sono persone critiche rispetto alla narrazione governativa e a quella della maggioranza degli italiani».È quindi l’economia a pesare sul calo di fiducia verso l’esecutivo?«C’è anche un altro fattore aggiuntivo: all’inizio dell’esperienza di governo c’era una condivisione da parte dei partiti sulle finalità. Tranne Fratelli d’Italia, certo, ma che ha fatto un’opposizione “soft”. I conflitti interni però destabilizzano: si perdono le sicurezze, si smarrisce la fiducia nel futuro. Un impatto psicologico, oltre che reale».Le cronache politiche raccontano di una tensione tra Movimento 5 Stelle e governo. C’è stato l’addio di Luigi Di Maio. Il partito fondato da Beppe Grillo segna in questi giorni l’ennesimo record negativo.«Prima e dopo la scissione il M5s ha perso un punto, un punto e mezzo. Non è stata la rottura del ministro degli Esteri, ad aver influito. La crisi è cominciata mesi fa. Ci sono più variabili. In primis - sembra paradossale ma non lo è - è che Giuseppe Conte continua ad essere molto apprezzato, ma non è riuscito a trasferire questa sua dote al Movimento. Si è appiattito lui stesso sulle negatività riconosciute dagli elettori. Ed è sempre stato visto un po’ estraneo, non rappresentando la storia di questo partito politico».Quali negatività?«Quando è diventato leader del M5s, il partito si collocava tra il 14 e il 15%, oggi al 10. A Conte sarebbe convenuto forse creare una sua lista, avrebbe raccolto più consenso. Parte di chi simpatizzava con lui è rimasto deluso da questa sua scelta».Quanto può valere Di Maio con la sua Insieme per il futuro?«Difficile a dirsi, per ora è un partito che non c’è. Se ne riparla quando avrà un’identità, un progetto, una squadra. A oggi è solo un’operazione di palazzo. E gli italiani non si appassionano alle operazioni di palazzo. Questo non vuol dire non possa avere successo, ma è tutto da costruire».Chi si è pappato i voti del M5s?«Un po’ il Pd, un po’ FdI - ma non molti - e un po’ l’astensione. L’elettorato grillino è oggi molto spostato a sinistra. All’inizio della sua storia, invece, era variegato: Grillo riuscì a consorziare diverse aree di voto. A convincere chi non votava non per distanza dalla politica, quanto invece perché da nessun progetto riusciva ad avere soddisfazione».C’è chi scende, e chi vola nei sondaggi, come Italexit di Paragone. Possibile che attorno a lui si crei una nuova area politica dissidente?«Paragone da bravo giornalista è riuscito a intercettare la “pancia” degli italiani, conquistando l’elettorato che votava Lega o centrodestra ma che non si è più riconosciuto nelle loro posizioni a partire dalla questione vaccini, perché critici. Ha intercettato molti temi con successo. È dato quasi all’unanimità al 2%. Sue possibili alleanze con altri movimenti dipenderanno dalla legge elettorale, perché ad oggi è più forte se va da solo».Anche a Giorgia Meloni converrebbe andare da sola?«Secondo le nostre rilevazioni se FdI si presentasse da sola aumenterebbe di tre o quattro punti. Se oggi vale il 22%, Giorgia Meloni può arrivare anche al 25-26%. Ma anche qui dipenderà dal sistema con cui andremo a votare. Pur se primo partito nelle percentuali, non gli conviene ora staccarsi dal centrodestra». Per gli elettori del centrodestra l’unità tra alleati è importante?«Sì, conta eccome. Per questo è stato punito alle amministrative. Gli elettori sono meno bellicosi dei loro leader. Voglio aumentare le proprie chance. Unito, il centrodestra oggi ha le chiavi di Palazzo Chigi: è stimato fino al 49%».Possibile che nel centrodestra nascano nuovi leader?«Se si riferisce a quelli fatti emergere dai media per la Lega - penso a Fedriga o Giorgetti, ad esempio - sono apprezzati, sì, ma più nel Palazzo che tra gli italiani. Che in larga parte li conoscono poco. Il fatto è che i cicli di fidelizzazione dei partiti sono oggi brevi, non c’è più un consenso ideologico. Pesa per la Lega il sostegno ad alcune scelte di governo». E Forza Italia? Tallona oggi il M5s.«Si potrebbe ormai chiamare Forza Berlusconi: è uno zoccolo duro, viaggia sopra l’8%. È un voto legato al Cavaliere».Federazione con il Carroccio da evitare, quindi?«Forse più un tormentone mediatico che un vero progetto». Un po’ come quello del Centro?«Se chiedi agli elettori italiani come si auto-posizionino, il 16% risponderà al centro. Mancano però i partiti forti, con identità. È un’area che può valere più del 10%, ma non ha mai chiarito le posizioni sui temi internazionali, sociali, e via dicendo. Un affollamento di leader non porta voti. Li portano i contenuti».Lei ripete spesso che nulla in politica si può escludere. «Sì, esatto». Che sorprese potrebbero esserci sulla strada delle elezioni?«Beh, c’è da prestare molta attenzione a Fratelli d’Italia. Alle politiche gli elettori vanno a votare, l’astensione cala. Alle amministrative è diverso, perché si pensa che il sindaco più che occuparsi di sensi unici e giardinetti non possa fare, rispetto alla qualità della vita e al potere economico. E poi l’elettorato si concentra su quel leader che in quel momento è ritenuto “forte”». Accadde con Renzi. «Non solo, anche con i Cinque stelle. Nel 2023 è possibile che Meloni sia sottostimata. Una spinta emotiva potrebbe accrescere il suo patrimonio elettorale».Altri imprevisti?«Vedremo se ci saranno altre scissioni, per esempio. Potrebbero esserci fibrillazioni in area Pd, dovesse nascere un partito con Di Maio. Mi chiedo poi se la Lega resterà unita, o si dividerà in due blocchi. Lo scenario per il prossimo maggio non è affatto certo. C’è pure una Finanziaria, di mezzo, da non sottovalutare».Quel che è certo è insomma solo che a votare si andrà. «Ma credo sia possibile che andremo a votare nell’ultimo giorno utile, a fine maggio».Escluderebbe che Draghi possa avere un suo partito?«Non a priori, no di certo. Tutto può essere: in una situazione di incertezza e di crisi economica, i draghiani potrebbero tirarlo per la giacchetta per continuare l’esperienza. Non lo escludo».
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