2021-02-07
C’è un’Italia in pigiama a rischio depressione
L'assenza di ideali e la mediocrità del Conte bis hanno immalinconito un popolo ottimista come il nostro. Ora tocca a Mario Draghi far rinascere il gusto per la vita, seppellito a colpi di dpcm, e scacciare la psicosi. Tifare per l'ex banchiere oggi è patriottismo.Il disastro principale fu l'assenza di mete, di programmi precisi, di conquiste, di fatiche sensate e motivanti. Il regno delle chiacchiere e delle meschinità più imbarazzanti: il contrario di quell'«alto profilo» ora richiesto dal presidente della Repubblica. Senza mete, programmi, ideali che li nutrano e conoscenze che consentano di realizzarli, infatti, non si va da nessuna parte. È così che un popolo laborioso e tendenzialmente ottimista come quello italiano ha rischiato di perdere il gusto e la fantasia per la vita e la spinta a intraprendere. Si è «immalinconito», come ha riconosciuto perfino Mario Draghi, pur misuratissimo presidente del Consiglio finalmente incaricato. È proprio e soprattutto per questa mancanza di orizzonti precisi e reali che in questo ultimo anno la salute e l'umore delle persone (anche al di là del Covid-19) sono continuamente peggiorati, come chiunque lavori con il disagio psicologico quotidianamente verifica, e studi e ricerche pubblicate confermano. Più si aggravava la situazione nei diversi campi, quello sanitario, quello economico produttivo, quello delle relazioni fra le istituzioni e con i cittadini, più diventava evidente che la principale occupazione di chi governava era quella di durare, di rimanere al potere a ogni costo, rimandando ogni ormai indispensabile riforma, così come l'adempimento degli impegni sempre più assillanti, sia all'interno che sul piano internazionale.Il fatto è che elaborare qualsiasi strategia operativa per uscire dai guai richiedeva competenze che nel gruppo di governo mancavano pressoché totalmente. Prendere ogni minima decisione poi, apriva guerre e liti infinite tra persone e gruppi che erano lì soprattutto per conservare la situazione in cui il caso li aveva messi, e rimanerci più a lungo possibile. Tutta l'attenzione di cui erano capaci veniva invece investita su chi fossero gli amici, i nemici, i trabocchetti: la gestione del Paese e della sue sofferenze e interessi diventava del tutto secondaria, e andava evidentemente al di là delle possibilità di comprensione e di azione delle persone preposte. Mai si vide spettacolo più sconclusionato e provocatoriamente lontano dal bene comune. L'icona del programma di governo, dominante per lunghi mesi, è stata quella dell'arresto, la stasi: tutti fermi, a casa, in tuta o in pigiama, con la barba lunga come i propri ministri, confidando in eventuali successivi rimborsi, e riaperture, ormai neppure troppo sperate. La depressione e la confusione sono così state inoculate in dosi massicce nella psiche degli italiani a colpi di dpcm, di scarsissima utilità pratica (tanto che dovevano essere sostituiti al più presto), ma tuttavia eloquenti documenti clinici sulla nevrosi ossessiva come metodo di governo. Ora, però, la misura è colma: o si cambia, o davvero si rischia la vita, e non solo per il Covid-19, ma per malattie meno direttamente organiche e tuttavia ancora più profonde, per le quali non c'è ancora il vaccino: come le psicosi. E che possono colpire gli uomini, ma anche intere nazioni e civiltà, come la storia racconta e insegna a chi sia disposto ad apprenderlo.Tutto ciò potrebbe essere finito, grazie a una di quelle carambolate di cui appunto, sempre la storia è capace. Perché alla drammatica assenza di programmi e competenze degli attuali occupanti di un potere ormai anche ufficialmente minoritario (nel gradimento degli italiani lo era fin dall'inizio di questa tragica avventura) è succeduto l'incarico a Mario Draghi, uno dei personaggi più dotati di competenze in iniziative politico economiche di ampio respiro e di capacità di tradurle in pratica, in azioni, programmi, riforme. Un «policy maker», come si è lui stesso a volte definito con un termine inglese che indica qualcuno che come lavoro ha quello di realizzare nuove idee, piani, pratiche e politiche economiche e gestionali. Non lo conosco, ma nella mia prima formazione ginevrina ho avuto la fortuna di essere allievo di tipi a lui simili come il tedesco Wilhelm Röpke, ricostruttore dell'economia tedesca, o Ralf Dahrendorf, politico, economista e protagonista critico della costruzione europea. Veri Maestri, le cui idee e iniziative danno tuttora forza e ispirazione.Tutti primi attori sulla scena economica del loro tempo che, come Draghi oggi, maneggiano un sapere e un'attività pratica a cavallo di diverse scienze (dall'economia alla politica, alla storia e diverse altre) sempre più preziose e richieste in un mondo in rapido cambiamento, ma ancora ingombro di ideologie di ieri e dell'altro ieri, vecchi arnesi spacciati oggi per ideali e maneggiati dai maneggioni della vecchia politica come clave, o stigmi. È soprattutto perché possiede questa preziosa e attualissima formazione, come ha dimostrato in tutti suoi incarichi bancari, politici e istituzionali, che Mario Draghi è così richiesto. Il personaggio è difficile da catalogare perché il suo ruolo, e anche la sua formazione sono molto più ampie del «tecnocrate», uno che comanda su cose e uffici molto più ristrette e precise. Le grandi banche centrali e d'affari, dove Draghi si è formato (inizialmente con Guido Carli alla Banca d'Italia), sono luoghi dove la psicologia e la filosofia contano tanto quanto l'economia. La distinzione tra debito buono e debito cattivo (un suo cavallo di battaglia), o il vincolo allo sviluppo come impegno non accantonabile, richiedono per essere riconosciuti e tradotti in pratica una formazione vastissima e continuamente aggiornata, e personalità comunque di alto livello. È per questo, più che per via di strani complotti, che la finanza è oggi il potere più importante: perché è quello che ha uno sguardo e un coinvolgimento più ampio sul mondo, e quindi conosce più cose. È anche per questo che lo sguardo del selvadego (secondo Leonardo: «Colui che si salva») ha sentito oggi il bisogno di occuparsene. Diverso dal classico tecnocrate (cugino ricco del burocrate), Draghi è poi diversissimo dall'altro personaggio cui viene spesso accostato: Mario Monti, anziano professore di economia dalle idee mai particolarmente originali, contento di apparire e parlare tanto quanto l'altro ama fare, e tacere. Da fare, e in fretta, come è noto c'è ormai moltissimo. Solo per cominciare: da riscrivere l'intera risposta al Recovery plan, con annesse tutte le riforme non fatte negli ultimi 20 anni mentre si occupava il potere con chiacchiere: da quella della giustizia alla Pubblica amministrazione alla scuola, diventata gradualmente la grande fucina dell'incompetenza nazionale. E sarebbe solo l'inizio. Non so se ci riuscirà perché il tempo è poco, e quello perso troppo. Ma lasciarlo lavorare, con meno sbandieramenti «politici» possibili, sarebbe a mio parere un apprezzabile atto di patriottismo.