2021-07-04
L’Italia può cambiare una carta: il bomber
La nazionale macina gioco ma finora Immobile come terminale offensivo è stato sterile: in area incide poco e fuori dialoga a stento coi compagni. Mancini deve valutare le alternative: Belotti è uno specialista nelle sponde, Raspadori ha i piedi buoni Tutti a lezione d'italiano. Roberto Mancini in cattedra e gli altri allenatori fra i banchi, perché nessuno è riuscito a costruire una Nazionale così solida e a suo modo spettacolare, con un impasto formidabile di umiltà, coesione e soprattutto «identità». L'insulto più utilizzato dai progressisti da weekend è il valore più grande di un gruppo di ragazzi uniti da radici comuni e da un obiettivo comune: vincere per sé e per il proprio Paese. Far uscire l'Italia dalla pandemia con il messaggio più totalizzante; in sintonia davvero e non solo negli spot arcobaleno.Tutti a lezione d'italiano in Europa. Al primo banco ci sono i volti di gomma dei tecnici delle multinazionali come Francia, Germania, Belgio, squadre con individualità fortissime, collezioni primavera-estate di testimonial della PlayStation (Paul Pogba, Antoine Griezmann, Romelu Lukaku, Leroy Sané, Serge Gnabry) sempre pronti a declinare l'io e mai il noi, destinati alla sconfitta in un Europeo anomalo, dove il mutuo soccorso risulta più decisivo di un colpo di tacco. A testa bassa soprattutto Roberto Martinez, ct del Belgio rispedito a Bruxelles, colui che aveva provocato la più grande delusione sportiva al nostro allenatore. Quando Mancini era sulla panchina del Manchester City, perse a Wembley una finale di Fa Cup contro il minuscolo Wigan guidato da Martinez e dopo quel tracollo fu esonerato. Anche le rivincite sono piatti che si consumano freddi.Ora l'Italia tocca l'orizzonte ed è normale che l'onda mediatica travolga tutto con metafore perfino fuori dal mondo. «Mancini come Steve Jobs» enfatizza la Gazzetta dello Sport per collocare un'avventura bella e incompiuta dentro il perimetro del mito. Calma e gesso. La pur lenta e pavida Spagna sarà un brutto cliente, poi eventualmente in finale l'Inghilterra a Wembley potrebbe diventare un ostacolo gigantesco. Ma l'euforia ha ragion d'essere e il vento in poppa aiuta a compiere storiche imprese. Per una maglia e per un campione sfortunato come Leonardo Spinazzola, rientrato a Roma con una lesione al tendine d'Achille. Le sue lacrime rimangono nella storia del torneo. Sapere che mentre era a terra, nel dramma, un tifoso belga cretino gli ha tirato una bottiglietta mette rabbia e tristezza. Saremmo più tranquilli se accanto al miglior portiere, alla difesa più granitica, a un centrocampo tosto e intelligente (tre registi, Marco Verratti, Jorginho e Manuel Locatelli quando gli altri al massimo ne hanno mezzo), a riserve che valgono i titolari, avessimo anche un centravanti. Uno che dialoga e segna, uno diverso da Ciro Immobile trasformato in soprammobile. Perché in questa Nazionale perfetta c'è un problema: stiamo giocando in dieci. Anche contro il Belgio è successo, il generoso Ciro da Torre Annunziata è stato un «non pervenuto» se non per battere i falli laterali e per la sceneggiata sul gol di Nicolò Barella, quando sembrava morto, annientato da un calcione belga. Si rotolava, Immobile, mentre l'interista faceva gol. Per poi rialzarsi da furbo italianuzzo e correre a gettarsi nella tonnara dell'abbraccio, dentro la foto ricordo che resta negli annali. Il tutto ripreso da una telecamera e in breve diventato virale sui social. «Patetico e imbarazzante», lo ha bocciato Alan Shearer, leggenda del calcio inglese oggi commentatore tv. Il network americano Espn ha celebrato la resurrezione di Ciro nella rubrica dedicata alle migliori simulazioni della settimana, dal titolo «Il fantasma dell'opera». Purtroppo nel mondo ci riconoscono anche da questo. Al di là dello spiacevole teatrino, finora Immobile è stato poco utile alla squadra. Ha segnato due gol, il secondo alla Turchia e il terzo alla Svizzera, quest'ultimo a giochi già chiusi, regalato da una mezza papera del portiere Yann Sommer. In compenso ne ha sbagliati a raffica, non è mai stato un punto di riferimento per i compagni né un fastidio per gli avversari. Se avessimo un bomber saremmo a cavallo. Basterebbe mezzo Christian Vieri, due terzi di Luca Toni. Invece lì davanti c'è sempre e solo Ciro. È il caso di insistere ancora su di lui? Le alternative sono due. La prima è Andrea Belotti, soprannominato il gallo ma in realtà un toro, in grado di fare da sponda agli inserimenti di centrocampisti ed esterni, bravo a raddoppiare sui difensori in uscita. E in forma smagliante dopo una stagione passata spesso ai box per infortunio. Belotti non lo sposti mai, si sacrifica, occupa gli spazi, rientra non solo per timbrare il cartellino, picchia, prende falli e ha sempre fatto gol. Contro i paracarri spagnoli orfani di Sergio Ramos sarebbe l'ideale.Laggiù in fondo alla panchina c'è anche Giacomo Raspadori. La meravigliosa tentazione. Ventun anni, forgiato a Sassuolo alla scuola di Roberto De Zerbi, il bolognese è l'attaccante rivelazione del campionato. Portato come mascotte, potrebbe essere una sorpresa da incubo per difese stanche. È solido, mentalmente rodato, gli piace accostarsi a Sergio Aguero e gli somiglia nelle movenze: agile, furbo, con un senso del tempo da fuoriclasse e un tiro micidiale, può diventare ciò che Pablito Rossi fu in Spagna nel 1982. Se fosse spuntato un nonno calabrese di Lautaro Martinez oggi dormiremmo al fresco, ma in assenza dell'anagrafe facciamoci aiutare dalla fantasia. Mancano due partite, siamo a una decina di metri da una dolcissima utopia collettiva, rischiare è un dovere. Se Mancini è davvero come Steve Jobs («Stay hungry, stay foolish»), questa è l'ora della follia. Quanto alla fame, abbiamo 15 anni di arretrato.
Charlie Kirk (Getty Images)
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