2024-02-14
        Viaggio in quel che resta dei kibbutz vicino a Gaza
    
True
 
Mentre le piazze europee ribollono contro Israele contro il quale vengono mosse devianti accuse di «genocidio», mentre di Hamas che spara sui civili che lasciano le zone di guerra protetti dalle Forze di difesa israeliane non viene detto nulla, nessuno qui usa parole come «vendetta», «li dobbiamo uccidere tutti» o cose simili. Nessuno. Quello che si avverte a Tel Aviv, a Gerusalemme e nei kibbutz che provano faticosamente a tornare a vivere, è un dolore composto, una sofferenza enorme e un senso di smarrimento che percepisci in chiunque incontri così come si avverte il senso di colpa dei militari che ti dicono: «Non li abbiamo protetti e siamo stati deboli ma non lo saremo mai più». Sta tutta qui la sconfitta di Hamas e dell’Iran che volevano spingere Israele nel baratro della follia omicida e della vendetta sperando (anche) che altri Paesi arabi li seguissero. Ciò non è avvenuto perché le leadership di questi Paesi in realtà non sperano altro che Hamas venga spazzata via per sempre dalla Striscia di Gaza perché li conoscono bene.Ad esempio, gli egiziani sanno molto bene che cos’è la Fratellanza musulmana della quale Hamas è il braccio militare, lo stesso pensano i sauditi e tutti gli altri Paesi che temono però che le loro piazze fanatizzate a dovere facciano scoppiare l’incendio in Medio Oriente. Si può tranquillamente affermare che Hamas ha più sostenitori in Europa che nel Medio Oriente e questo visto da qui, non può che lasciare sgomenti. Tra le vittime del 7 ottobre 2023 oltre ai ragazzi del Nova festival barbaramente trucidati, ci sono gli abitanti dei kibbutz attaccati da Hamas che ancora oggi non parlano di odio ma di dolore per quello che è stato e ti raccontano che quella mattina i terroristi sapevano esattamente dove andare, avevano le planimetrie delle case e sapevano chi aveva un’arma e chi no. Tutte informazioni che gli erano state date dagli abitanti di Gaza che lavoravano ad esempio nel kibbutz di Kfar Aza, un piccolo paradiso terrestre immerso nella natura. Dei 950 abitanti del kibbutz, 63 sono stati ammazzati, 19 rapiti e di questi, cinque di loro sono (forse) ancora nelle mani dei terroristi a Gaza. Il tempo qui si è fermato e sono rimasti i giardini in fiore tra le case sventrate e bruciate, i detriti, e centinaia di fori di proiettili sui muri, sui soffitti e sulle porte delle case. Fuori dalle case ci sono le foto delle vittime e molti sono ragazzi, ragazze e giovani coppie che avevano iniziato a convivere in questo piccolo paradiso. Quella mattina tutto è stato spazzato via dalla furia sadica dei militanti di Hamas prima e dai «civili» palestinesi poi arrivati a centinaia «per finire il lavoro»: portare con loro i cadaveri come trofei a Gaza e rubare tutto quello che potevano. Questo a proposito dei «civili» della Striscia di Gaza sui quali sarebbe opportuno aprire una discussione onesta invece che correre dietro alle balle della propaganda. Forse è chiedere troppo. Per coloro che quella mattina erano qui e che hanno deciso di restare nel kibbutz quanto accaduto è una beffa atroce perché in quanto pacifisti convinti e tendenzialmente di sinistra, passavano la loro vita a portare aiuti nella Striscia di Gaza. Aiutavano persone che una mattina sono entrate nelle loro case per ammazzarli.Oggi gli abitanti di Kafr Aza ti dicono «ci fidavamo di loro e li aiutavano ma ora non più così ed è una sensazione nuova con la quale dobbiamo convivere. Noi vogliamo vivere qui in sicurezza ma sappiamo chi c’è fuori da qui». Non c’è luogo, strada, piazza o edificio pubblico nel quale non ci siano i cartelli con i volti delle persone rapite ormai 131 giorni fa. Per Israele riportarli a casa è imperativo anche se dei 136 rapiti si sa che molti di loro sono morti. Un tema del quale nessuno parla volentieri perché è una ferita aperta e lo stesso vale per le donne che portano in grembo il frutto delle violenze sessuali plurime che hanno vissuto (e che continuano a subire). Per quanti possano ancora essere gli ostaggi ancora in vita Israele farà qualsiasi cosa per riportarli a casa e questo concetto viene spiegato in qualsiasi briefing al quale partecipiamo. A proposito delle violenze sessuali: su una donna uccisa da Hamas sono stati riscontati 67 semi maschili diversi ma di questo le femministe nostrane preferiscono non parlare perché la propaganda veicolata da Hamas alla quale i media occidentali abboccano senza verificare i fatti ormai ha fatto breccia. Sono tante le storie che ci hanno sconvolto in questi giorni e che ci accompagnano sul volo dj ritorno verso l’Italia. Una è quella che ci raccontano nel luogo dove sono conservate le auto delle vittime degli assalti del 7 ottobre e i mezzi utilizzati da Hamas: decine di vittime sono state bruciate vive all’interno delle loro auto ed è stato impossibile staccarle dalle lamiere e così alla fine sono state seppellite con pezzi interi delle loro macchine. Se per Israele c’è stato un prima 7 ottobre 2023 e un dopo, anche per i partecipanti di questo viaggio promosso da Elnet Italia c’è un prima e un dopo. Impossibile tornare alle nostre vite come eravamo pochi giorni fa e se vogliamo che tutto questo abbia un senso dobbiamo raccontare quello che abbiamo visto e sentito. Lo dobbiamo alle vittime del 7 ottobre 2023.
        Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
Ecco #DimmiLaVerità del 30 ottobre 2025. Ospite la senatrice calabrese della Lega Clotilde Minasi. L'argomento del giorno è: "La bocciatura del ponte sullo Stretto da parte della Corte dei Conti"