2025-08-21
Israele divide la Cisgiordania. «Chiodo sulla bara dei due Stati»
Coloni ebrei in Cisgiordania (Ansa)
Approvato un nuovo insediamento: per il ministro Bezalel Smotrich è una risposta a chi riconosce la Palestina. Dagli Usa ancora sanzioni contro i giudici della Corte penale internazionale: Benjamin Netanyahu ringrazia...L’appello ai fedeli affinché domani partecipino all’iniziativa per Ucraina e Gaza. L’annuncio: il Santo Padre visiterà il Libano entro dicembre. Presto sarà anche in Turchia.Lo speciale contiene due articoliIsraele ha dato il via libera definitivo a un progetto di insediamento in Cisgiordania che suscita forti polemiche a livello internazionale. Il piano riguarda l’area nota come E1, una zona aperta a Est di Gerusalemme, la cui urbanizzazione, secondo i palestinesi e numerose organizzazioni per i diritti umani, rischierebbe di spezzare in due la Cisgiordania, compromettendo in maniera irreversibile la prospettiva di uno Stato palestinese indipendente. Se l’iter amministrativo proseguirà senza ostacoli, i lavori infrastrutturali potrebbero iniziare entro pochi mesi, mentre la costruzione dei primi alloggi è attesa tra circa un anno. Il progetto prevede la realizzazione di circa 3.500 unità abitative destinate ad ampliare l’insediamento di Maale Adumim. Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha annunciato l’approvazione del nuovo insediamento, definendolo una risposta politica ai Paesi che intendono riconoscere lo Stato di Palestina. L’Ue ha condannato duramente la decisione, giudicandola una violazione del diritto internazionale e un ostacolo alla soluzione dei due Stati. Smotrich ha replicato che il progetto rappresenta un «passo decisivo» per rafforzare il legame del popolo ebraico con la Terra d’Israele e che ogni nuovo insediamento costituisce «un chiodo nella bara» dell’idea di uno Stato palestinese. L’Autorità nazionale palestinese ha condannato l’approvazione israeliana del progetto per 3.400 nuove abitazioni in Cisgiordania, definendola una misura che «trasforma il territorio in una prigione». Emergono intanto dettagli sull’operazione «Gideon’s Chariots 2», autorizzata dal ministro della Difesa Israel Katz e destinata a segnare un passaggio decisivo nella campagna militare israeliana su Gaza. Il piano impiega cinque divisioni delle Forze di difesa israeliane (Idf), tre regolari e due di riserva, con un totale fino a dodici brigate operative durante la fase più intensa: nove permanenti e tre composte da riservisti. L’avanzata è stata preceduta da incursioni nei quartieri di Zeitoun e Jabaliya, mirate a logorare le difese di Hamas e ad accerchiare progressivamente Gaza City. Parallelamente, l’esercito ha predisposto misure per l’evacuazione dei civili verso Sud: corridoi umanitari, ospedali da campo, centri medici rinforzati e strutture di distribuzione degli aiuti. Tuttavia, i vertici hanno chiarito che non sarà possibile effettuare controlli individuali su ogni persona in fuga, dato l’alto numero di sfollati.Sul fronte della mobilitazione, l’Idf ha già richiamato 70.000 riservisti e intende convocarne altri 60.000. Il picco operativo è fissato per il 2 settembre, con un’ulteriore ondata prevista entro fine anno. In diversi casi il periodo di servizio sarà esteso dai tradizionali 70-80 giorni fino a 100-140, segno che l’impegno militare si protrarrà almeno fino al 2026. L’operazione appare dunque concepita come un’offensiva di lungo periodo, mirata a colpire irreversibilmente le capacità militari del movimento islamista. Il governo israeliano ha reso noto che Benjamin Netanyahu ha ordinato di accelerare i tempi per la conquista delle ultime roccaforti di Hamas a Gaza. Il premier ha inoltre ringraziato riservisti, famiglie e soldati dell’Idf per l’impegno dimostrato. Hamas ha condannato i piani israeliani per l’offensiva a Gaza e lo sfollamento di oltre un milione di civili, definendoli «un nuovo capitolo della guerra di sterminio». Il movimento ha inoltre indetto per giovedì uno sciopero globale, sollecitando in particolare i Paesi arabi e musulmani a mobilitarsi in sostegno della popolazione della Striscia. Nonostante i duri colpi, una brigata di Hamas resta attiva a Gaza City, con capacità ridotte, mentre i tunnel sotterranei continuano a rappresentare una minaccia tattica. Ieri un gruppo di diciotto miliziani ha attaccato un avamposto Idf nel corridoio di Morag, a Khan Yunis, usando armi leggere e lanciarazzi. Dopo aver sfondato l’ingresso e aperto il fuoco, sono stati respinti dal battaglione Nachshon della Brigata Kfir, che ha ucciso una decina di terroristi; i superstiti sono fuggiti nei tunnel. Secondo le prime analisi, l’attacco è partito da cunicoli coordinati e mirava a rapire soldati, come dimostrano le barelle trovate con gli aggressori. Mentre scriviamo si apprende che l’amministrazione Trump ha imposto nuove sanzioni contro quattro giudici della Corte penale internazionale (Cpi), accusati di voler indagare su cittadini statunitensi e israeliani senza consenso. I destinatari delle misure sono i giudici Kimberly Prost (Canada) e Nicolas Guillou (Francia), insieme ai procuratori aggiunti Nazhat Shameem Khan (Figi) e Mame Mandiaye Niang (Senegal). Le sanzioni congelano eventuali beni negli Stati Uniti e vietano a individui e istituzioni americane di intrattenere rapporti con loro. Washington ha definito l’iniziativa una risposta a quella che considera «politicizzazione, abuso di potere e illegittima ingerenza giudiziaria» della Cpi. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha ribadito che la Corte costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale e che gli Usa adotteranno «ogni misura necessaria per difendere sovranità, forze armate e alleati». La decisione segue le sanzioni contro il procuratore Karim Khan e la relatrice Onu Francesca Albanese, mentre alcuni repubblicani chiedono ulteriori misure contro la Cpi. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto con favore la scelta di Washington, definendola un atto decisivo a tutela di Israele. In una nota, Netanyahu si è congratulato con Rubio, sottolineando che la mossa rappresenta «un passo importante contro la campagna diffamatoria sullo Stato e sull’Idf». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/israele-cisgiordania-appello-papa-digiuno-2673906876.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leone-xiv-digiuno-per-la-pace" data-post-id="2673906876" data-published-at="1755768340" data-use-pagination="False"> Leone XIV: «Digiuno per la pace» Papa Leone XIV ha annunciato ufficialmente una giornata di digiuno e preghiera per la pace e la giustizia prevista per domani. A concludere l’udienza generale di ieri i in Vaticano, il pontefice ha rivolto un appello urgente a tutti i fedeli affinché partecipino alla giornata dedicata alla preghiera, sottolineando le sofferenze causate dai conflitti in diverse parti del mondo. «Mentre la nostra Terra continua a essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina e in molte altre regioni del mondo, invito tutti i fedeli a vivere la giornata del 22 agosto in digiuno e in preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia, e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti armati in corso», ha dichiarato il Papa al termine della sua catechesi in Aula Paolo VI.Il Meeting di Rimini (che inizierà proprio domani) fa sapere di accogliere «con gratitudine» l’appello di papa Leone. Scelta condivisa anche dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana. L’iniziativa coincide con la celebrazione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria Regina. Si tratta di una festività istituita da Pio XII nel 1955, fissata al 31 maggio come culmine del mese dedicato alla Madonna, e successivamente, con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, spostata al 22 agosto. Leone XIV ha spiegato il legame tra questa data e il tema della pace, ricordando che «Maria è madre dei credenti qui sulla Terra ed è invocata anche come Regina della pace».Nel suo discorso durante l’udienza, papa Prevost ha dedicato ampio spazio al tema del perdono, considerato fondamentale nella costruzione della pace. «Come ci insegna Gesù, amare significa lasciare l’altro libero senza mai smettere di credere che persino quella libertà, ferita e smarrita, possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene».Il Papa ha precisato il significato profondo del perdono: «Il perdono non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro». Riflettendo su come Gesù accetti il tradimento di Giuda nella notte prima della Passione, Leone XIV ha richiamato anche la condizione umana: «Anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito». In queste circostanze, ha aggiunto, «la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste sempre un’altra via». Il pontefice ha esortato a non cedere alla rabbia: «Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore». L’obiettivo di questo messaggio è chiaro: «Il cristiano chiamato ad amare e perdonare deve essere un messaggero di pace nel mondo».Oltre all’appello per la giornata di preghiera, è emersa un’importante novità riguardante l’attività internazionale del Papa. Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca della Chiesa cattolica maronita, ha annunciato su Al Arabiya che il pontefice ha in programma una visita in Libano da effettuarsi «entro dicembre». Pur senza fornire una data precisa, il patriarca ha aggiunto che «i preparativi sono già in corso», lasciando intendere che il viaggio è ormai in fase avanzata di organizzazione. Tappa che rientra nel quadro più ampio degli impegni internazionali del Papa, come il viaggio atteso a Nicea (Turchia), la cui data resta però ancora da ufficializzare.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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A Dimmi La Verità Stefania Bardelli, leader del Team Vannacci di Varese, fa chiarezza sul rapporto con la Lega e sulle candidature alle elezioni degli esponenti dei team.