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2025-08-21
Israele divide la Cisgiordania. «Chiodo sulla bara dei due Stati»
Coloni ebrei in Cisgiordania (Ansa)
Israele ha dato il via libera definitivo a un progetto di insediamento in Cisgiordania che suscita forti polemiche a livello internazionale. Il piano riguarda l’area nota come E1, una zona aperta a Est di Gerusalemme, la cui urbanizzazione, secondo i palestinesi e numerose organizzazioni per i diritti umani, rischierebbe di spezzare in due la Cisgiordania, compromettendo in maniera irreversibile la prospettiva di uno Stato palestinese indipendente. Se l’iter amministrativo proseguirà senza ostacoli, i lavori infrastrutturali potrebbero iniziare entro pochi mesi, mentre la costruzione dei primi alloggi è attesa tra circa un anno. Il progetto prevede la realizzazione di circa 3.500 unità abitative destinate ad ampliare l’insediamento di Maale Adumim. Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha annunciato l’approvazione del nuovo insediamento, definendolo una risposta politica ai Paesi che intendono riconoscere lo Stato di Palestina. L’Ue ha condannato duramente la decisione, giudicandola una violazione del diritto internazionale e un ostacolo alla soluzione dei due Stati. Smotrich ha replicato che il progetto rappresenta un «passo decisivo» per rafforzare il legame del popolo ebraico con la Terra d’Israele e che ogni nuovo insediamento costituisce «un chiodo nella bara» dell’idea di uno Stato palestinese. L’Autorità nazionale palestinese ha condannato l’approvazione israeliana del progetto per 3.400 nuove abitazioni in Cisgiordania, definendola una misura che «trasforma il territorio in una prigione».
Emergono intanto dettagli sull’operazione «Gideon’s Chariots 2», autorizzata dal ministro della Difesa Israel Katz e destinata a segnare un passaggio decisivo nella campagna militare israeliana su Gaza. Il piano impiega cinque divisioni delle Forze di difesa israeliane (Idf), tre regolari e due di riserva, con un totale fino a dodici brigate operative durante la fase più intensa: nove permanenti e tre composte da riservisti. L’avanzata è stata preceduta da incursioni nei quartieri di Zeitoun e Jabaliya, mirate a logorare le difese di Hamas e ad accerchiare progressivamente Gaza City. Parallelamente, l’esercito ha predisposto misure per l’evacuazione dei civili verso Sud: corridoi umanitari, ospedali da campo, centri medici rinforzati e strutture di distribuzione degli aiuti. Tuttavia, i vertici hanno chiarito che non sarà possibile effettuare controlli individuali su ogni persona in fuga, dato l’alto numero di sfollati.
Sul fronte della mobilitazione, l’Idf ha già richiamato 70.000 riservisti e intende convocarne altri 60.000. Il picco operativo è fissato per il 2 settembre, con un’ulteriore ondata prevista entro fine anno. In diversi casi il periodo di servizio sarà esteso dai tradizionali 70-80 giorni fino a 100-140, segno che l’impegno militare si protrarrà almeno fino al 2026. L’operazione appare dunque concepita come un’offensiva di lungo periodo, mirata a colpire irreversibilmente le capacità militari del movimento islamista. Il governo israeliano ha reso noto che Benjamin Netanyahu ha ordinato di accelerare i tempi per la conquista delle ultime roccaforti di Hamas a Gaza. Il premier ha inoltre ringraziato riservisti, famiglie e soldati dell’Idf per l’impegno dimostrato. Hamas ha condannato i piani israeliani per l’offensiva a Gaza e lo sfollamento di oltre un milione di civili, definendoli «un nuovo capitolo della guerra di sterminio». Il movimento ha inoltre indetto per giovedì uno sciopero globale, sollecitando in particolare i Paesi arabi e musulmani a mobilitarsi in sostegno della popolazione della Striscia. Nonostante i duri colpi, una brigata di Hamas resta attiva a Gaza City, con capacità ridotte, mentre i tunnel sotterranei continuano a rappresentare una minaccia tattica. Ieri un gruppo di diciotto miliziani ha attaccato un avamposto Idf nel corridoio di Morag, a Khan Yunis, usando armi leggere e lanciarazzi. Dopo aver sfondato l’ingresso e aperto il fuoco, sono stati respinti dal battaglione Nachshon della Brigata Kfir, che ha ucciso una decina di terroristi; i superstiti sono fuggiti nei tunnel. Secondo le prime analisi, l’attacco è partito da cunicoli coordinati e mirava a rapire soldati, come dimostrano le barelle trovate con gli aggressori. Mentre scriviamo si apprende che l’amministrazione Trump ha imposto nuove sanzioni contro quattro giudici della Corte penale internazionale (Cpi), accusati di voler indagare su cittadini statunitensi e israeliani senza consenso. I destinatari delle misure sono i giudici Kimberly Prost (Canada) e Nicolas Guillou (Francia), insieme ai procuratori aggiunti Nazhat Shameem Khan (Figi) e Mame Mandiaye Niang (Senegal). Le sanzioni congelano eventuali beni negli Stati Uniti e vietano a individui e istituzioni americane di intrattenere rapporti con loro. Washington ha definito l’iniziativa una risposta a quella che considera «politicizzazione, abuso di potere e illegittima ingerenza giudiziaria» della Cpi. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha ribadito che la Corte costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale e che gli Usa adotteranno «ogni misura necessaria per difendere sovranità, forze armate e alleati». La decisione segue le sanzioni contro il procuratore Karim Khan e la relatrice Onu Francesca Albanese, mentre alcuni repubblicani chiedono ulteriori misure contro la Cpi.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto con favore la scelta di Washington, definendola un atto decisivo a tutela di Israele. In una nota, Netanyahu si è congratulato con Rubio, sottolineando che la mossa rappresenta «un passo importante contro la campagna diffamatoria sullo Stato e sull’Idf».
Leone XIV: «Digiuno per la pace»
Papa Leone XIV ha annunciato ufficialmente una giornata di digiuno e preghiera per la pace e la giustizia prevista per domani. A concludere l’udienza generale di ieri i in Vaticano, il pontefice ha rivolto un appello urgente a tutti i fedeli affinché partecipino alla giornata dedicata alla preghiera, sottolineando le sofferenze causate dai conflitti in diverse parti del mondo. «Mentre la nostra Terra continua a essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina e in molte altre regioni del mondo, invito tutti i fedeli a vivere la giornata del 22 agosto in digiuno e in preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia, e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti armati in corso», ha dichiarato il Papa al termine della sua catechesi in Aula Paolo VI.
Il Meeting di Rimini (che inizierà proprio domani) fa sapere di accogliere «con gratitudine» l’appello di papa Leone. Scelta condivisa anche dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana. L’iniziativa coincide con la celebrazione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria Regina. Si tratta di una festività istituita da Pio XII nel 1955, fissata al 31 maggio come culmine del mese dedicato alla Madonna, e successivamente, con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, spostata al 22 agosto. Leone XIV ha spiegato il legame tra questa data e il tema della pace, ricordando che «Maria è madre dei credenti qui sulla Terra ed è invocata anche come Regina della pace».
Nel suo discorso durante l’udienza, papa Prevost ha dedicato ampio spazio al tema del perdono, considerato fondamentale nella costruzione della pace. «Come ci insegna Gesù, amare significa lasciare l’altro libero senza mai smettere di credere che persino quella libertà, ferita e smarrita, possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene».
Il Papa ha precisato il significato profondo del perdono: «Il perdono non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro». Riflettendo su come Gesù accetti il tradimento di Giuda nella notte prima della Passione, Leone XIV ha richiamato anche la condizione umana: «Anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito». In queste circostanze, ha aggiunto, «la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste sempre un’altra via». Il pontefice ha esortato a non cedere alla rabbia: «Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore». L’obiettivo di questo messaggio è chiaro: «Il cristiano chiamato ad amare e perdonare deve essere un messaggero di pace nel mondo».
Oltre all’appello per la giornata di preghiera, è emersa un’importante novità riguardante l’attività internazionale del Papa. Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca della Chiesa cattolica maronita, ha annunciato su Al Arabiya che il pontefice ha in programma una visita in Libano da effettuarsi «entro dicembre». Pur senza fornire una data precisa, il patriarca ha aggiunto che «i preparativi sono già in corso», lasciando intendere che il viaggio è ormai in fase avanzata di organizzazione. Tappa che rientra nel quadro più ampio degli impegni internazionali del Papa, come il viaggio atteso a Nicea (Turchia), la cui data resta però ancora da ufficializzare.
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Approvato un nuovo insediamento: per il ministro Bezalel Smotrich è una risposta a chi riconosce la Palestina. Dagli Usa ancora sanzioni contro i giudici della Corte penale internazionale: Benjamin Netanyahu ringrazia...L’appello ai fedeli affinché domani partecipino all’iniziativa per Ucraina e Gaza. L’annuncio: il Santo Padre visiterà il Libano entro dicembre. Presto sarà anche in Turchia.Lo speciale contiene due articoliIsraele ha dato il via libera definitivo a un progetto di insediamento in Cisgiordania che suscita forti polemiche a livello internazionale. Il piano riguarda l’area nota come E1, una zona aperta a Est di Gerusalemme, la cui urbanizzazione, secondo i palestinesi e numerose organizzazioni per i diritti umani, rischierebbe di spezzare in due la Cisgiordania, compromettendo in maniera irreversibile la prospettiva di uno Stato palestinese indipendente. Se l’iter amministrativo proseguirà senza ostacoli, i lavori infrastrutturali potrebbero iniziare entro pochi mesi, mentre la costruzione dei primi alloggi è attesa tra circa un anno. Il progetto prevede la realizzazione di circa 3.500 unità abitative destinate ad ampliare l’insediamento di Maale Adumim. Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha annunciato l’approvazione del nuovo insediamento, definendolo una risposta politica ai Paesi che intendono riconoscere lo Stato di Palestina. L’Ue ha condannato duramente la decisione, giudicandola una violazione del diritto internazionale e un ostacolo alla soluzione dei due Stati. Smotrich ha replicato che il progetto rappresenta un «passo decisivo» per rafforzare il legame del popolo ebraico con la Terra d’Israele e che ogni nuovo insediamento costituisce «un chiodo nella bara» dell’idea di uno Stato palestinese. L’Autorità nazionale palestinese ha condannato l’approvazione israeliana del progetto per 3.400 nuove abitazioni in Cisgiordania, definendola una misura che «trasforma il territorio in una prigione». Emergono intanto dettagli sull’operazione «Gideon’s Chariots 2», autorizzata dal ministro della Difesa Israel Katz e destinata a segnare un passaggio decisivo nella campagna militare israeliana su Gaza. Il piano impiega cinque divisioni delle Forze di difesa israeliane (Idf), tre regolari e due di riserva, con un totale fino a dodici brigate operative durante la fase più intensa: nove permanenti e tre composte da riservisti. L’avanzata è stata preceduta da incursioni nei quartieri di Zeitoun e Jabaliya, mirate a logorare le difese di Hamas e ad accerchiare progressivamente Gaza City. Parallelamente, l’esercito ha predisposto misure per l’evacuazione dei civili verso Sud: corridoi umanitari, ospedali da campo, centri medici rinforzati e strutture di distribuzione degli aiuti. Tuttavia, i vertici hanno chiarito che non sarà possibile effettuare controlli individuali su ogni persona in fuga, dato l’alto numero di sfollati.Sul fronte della mobilitazione, l’Idf ha già richiamato 70.000 riservisti e intende convocarne altri 60.000. Il picco operativo è fissato per il 2 settembre, con un’ulteriore ondata prevista entro fine anno. In diversi casi il periodo di servizio sarà esteso dai tradizionali 70-80 giorni fino a 100-140, segno che l’impegno militare si protrarrà almeno fino al 2026. L’operazione appare dunque concepita come un’offensiva di lungo periodo, mirata a colpire irreversibilmente le capacità militari del movimento islamista. Il governo israeliano ha reso noto che Benjamin Netanyahu ha ordinato di accelerare i tempi per la conquista delle ultime roccaforti di Hamas a Gaza. Il premier ha inoltre ringraziato riservisti, famiglie e soldati dell’Idf per l’impegno dimostrato. Hamas ha condannato i piani israeliani per l’offensiva a Gaza e lo sfollamento di oltre un milione di civili, definendoli «un nuovo capitolo della guerra di sterminio». Il movimento ha inoltre indetto per giovedì uno sciopero globale, sollecitando in particolare i Paesi arabi e musulmani a mobilitarsi in sostegno della popolazione della Striscia. Nonostante i duri colpi, una brigata di Hamas resta attiva a Gaza City, con capacità ridotte, mentre i tunnel sotterranei continuano a rappresentare una minaccia tattica. Ieri un gruppo di diciotto miliziani ha attaccato un avamposto Idf nel corridoio di Morag, a Khan Yunis, usando armi leggere e lanciarazzi. Dopo aver sfondato l’ingresso e aperto il fuoco, sono stati respinti dal battaglione Nachshon della Brigata Kfir, che ha ucciso una decina di terroristi; i superstiti sono fuggiti nei tunnel. Secondo le prime analisi, l’attacco è partito da cunicoli coordinati e mirava a rapire soldati, come dimostrano le barelle trovate con gli aggressori. Mentre scriviamo si apprende che l’amministrazione Trump ha imposto nuove sanzioni contro quattro giudici della Corte penale internazionale (Cpi), accusati di voler indagare su cittadini statunitensi e israeliani senza consenso. I destinatari delle misure sono i giudici Kimberly Prost (Canada) e Nicolas Guillou (Francia), insieme ai procuratori aggiunti Nazhat Shameem Khan (Figi) e Mame Mandiaye Niang (Senegal). Le sanzioni congelano eventuali beni negli Stati Uniti e vietano a individui e istituzioni americane di intrattenere rapporti con loro. Washington ha definito l’iniziativa una risposta a quella che considera «politicizzazione, abuso di potere e illegittima ingerenza giudiziaria» della Cpi. Il Segretario di Stato Marco Rubio ha ribadito che la Corte costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale e che gli Usa adotteranno «ogni misura necessaria per difendere sovranità, forze armate e alleati». La decisione segue le sanzioni contro il procuratore Karim Khan e la relatrice Onu Francesca Albanese, mentre alcuni repubblicani chiedono ulteriori misure contro la Cpi. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto con favore la scelta di Washington, definendola un atto decisivo a tutela di Israele. In una nota, Netanyahu si è congratulato con Rubio, sottolineando che la mossa rappresenta «un passo importante contro la campagna diffamatoria sullo Stato e sull’Idf». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/israele-cisgiordania-appello-papa-digiuno-2673906876.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="leone-xiv-digiuno-per-la-pace" data-post-id="2673906876" data-published-at="1755768340" data-use-pagination="False"> Leone XIV: «Digiuno per la pace» Papa Leone XIV ha annunciato ufficialmente una giornata di digiuno e preghiera per la pace e la giustizia prevista per domani. A concludere l’udienza generale di ieri i in Vaticano, il pontefice ha rivolto un appello urgente a tutti i fedeli affinché partecipino alla giornata dedicata alla preghiera, sottolineando le sofferenze causate dai conflitti in diverse parti del mondo. «Mentre la nostra Terra continua a essere ferita da guerre in Terra Santa, in Ucraina e in molte altre regioni del mondo, invito tutti i fedeli a vivere la giornata del 22 agosto in digiuno e in preghiera, supplicando il Signore che ci conceda pace e giustizia, e che asciughi le lacrime di coloro che soffrono a causa dei conflitti armati in corso», ha dichiarato il Papa al termine della sua catechesi in Aula Paolo VI.Il Meeting di Rimini (che inizierà proprio domani) fa sapere di accogliere «con gratitudine» l’appello di papa Leone. Scelta condivisa anche dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana. L’iniziativa coincide con la celebrazione della memoria liturgica della Beata Vergine Maria Regina. Si tratta di una festività istituita da Pio XII nel 1955, fissata al 31 maggio come culmine del mese dedicato alla Madonna, e successivamente, con la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, spostata al 22 agosto. Leone XIV ha spiegato il legame tra questa data e il tema della pace, ricordando che «Maria è madre dei credenti qui sulla Terra ed è invocata anche come Regina della pace».Nel suo discorso durante l’udienza, papa Prevost ha dedicato ampio spazio al tema del perdono, considerato fondamentale nella costruzione della pace. «Come ci insegna Gesù, amare significa lasciare l’altro libero senza mai smettere di credere che persino quella libertà, ferita e smarrita, possa essere strappata all’inganno delle tenebre e riconsegnata alla luce del bene».Il Papa ha precisato il significato profondo del perdono: «Il perdono non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro». Riflettendo su come Gesù accetti il tradimento di Giuda nella notte prima della Passione, Leone XIV ha richiamato anche la condizione umana: «Anche noi viviamo notti dolorose e faticose. Notti dell’anima, notti della delusione, notti in cui qualcuno ci ha ferito o tradito». In queste circostanze, ha aggiunto, «la tentazione è chiuderci, proteggerci, restituire il colpo. Ma il Signore ci mostra la speranza che esiste sempre un’altra via». Il pontefice ha esortato a non cedere alla rabbia: «Ci insegna che si può offrire un boccone anche a chi ci volta le spalle. Che si può rispondere con il silenzio della fiducia. E che si può andare avanti con dignità, senza rinunciare all’amore». L’obiettivo di questo messaggio è chiaro: «Il cristiano chiamato ad amare e perdonare deve essere un messaggero di pace nel mondo».Oltre all’appello per la giornata di preghiera, è emersa un’importante novità riguardante l’attività internazionale del Papa. Il cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca della Chiesa cattolica maronita, ha annunciato su Al Arabiya che il pontefice ha in programma una visita in Libano da effettuarsi «entro dicembre». Pur senza fornire una data precisa, il patriarca ha aggiunto che «i preparativi sono già in corso», lasciando intendere che il viaggio è ormai in fase avanzata di organizzazione. Tappa che rientra nel quadro più ampio degli impegni internazionali del Papa, come il viaggio atteso a Nicea (Turchia), la cui data resta però ancora da ufficializzare.
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Meloni ha poi lanciato un altro attacco all’opposizione a proposito di Abu Mazen, presidente della Palestina: «La sua bella presenza qui ad Atreju fa giustizia delle accuse vergognose di complicità in genocidio che una sinistra imbarazzante ci ha rivolto per mesi». E ancora contro la sinistra: «La buona notizia è che ogni volta che loro parlano male di qualcosa va benissimo. Cioè parlano male di Atreju ed è l’edizione migliore di sempre, parlano male del governo, il governo sale nei sondaggi, hanno tentato di boicottare una casa editrice, è diventata famosissima. Cioè si portano da soli una sfiga che manco quando capita la carta della Pagoda al Mercante in fiera, visto che siamo in clima natalizio. E allora grazie a tutti quelli che hanno fatto le macumbe». L’altra stilettata ironica a proposito del premio dell’Unesco che riconosce la cucina italiana come bene immateriale dell’umanità: «A sinistra non è andato bene manco questo. Loro non sono riusciti a gioire per un riconoscimento che non è al governo ma alle nostre mamme e nonne, alle nostre filiere, alla nostra tradizione, alla nostra identità. Hanno rosicato così tanto che è una settimana che mangiano tutti dal kebabbaro. Veramente roba da matti». Ricordando l’unità della coalizione, Meloni ha sottolineato che questa destra «non è un incidente della storia» rivendicando le iniziative adottate in tre anni di esecutivo. Il premier ha poi toccato i temi di attualità e a proposito dell’equità fiscale rivendicata dall’opposizione ha scandito: «Non accettiamo lezioni da chi fa il comunista con il ceto medio e il turbo capitalista a favore dei potenti. Oggi il Pd si indigna perché gli Elkann vogliono vendere il gruppo Gedi e non ci sarebbero garanzie per i lavoratori però quando chiudevano gli stabilimenti di Stellantis ed erano gli operai a perdere il posto di lavoro, tutti muti. Anche Landini sul tema fischiettava». Non sono mancati i riferimenti ai temi caldi del centrodestra: immigrazione, riforma della giustizia, guerra in Ucraina ed Ue con il disimpegno di Trump e il Green Deal.
Sul palco anche i due vicepremier. «La mia non vuole essere solo una presenza formale, ma una presenza per riconfermare un impegno che tutti noi abbiamo preso nel 1994» ha detto il leader di Fi Antonio Tajani. «Ma gli accordi di alleanze fatte soprattutto di lealtà e impegno, devono essere rinnovati ogni giorno. La ragione di esistere di questa coalizione è fare l’interesse di ciascuno dei 60 milioni di cittadini italiani. E lo possiamo fare garantendo, grazie all’unità di questa coalizione, stabilità politica a questo Paese». Per il leader leghista Matteo Salvini “c’è innanzitutto l’orgoglio di esserci dopo tanti anni. Ci provano in tutti i modi a far litigare me e Giorgia. Ma amici giornalisti, mettetevi l’anima in pace: non ci riuscirete mai». Poi il ministro dei Trasporti ha assicurato che farà «di tutto» per avviare i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha rilanciato sull’innalzamento del tetto del contante e sull’impegno anti maranza e infine ricordato come il governo stia facendo un buon lavoro nella tassazione delle banche.
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C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
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Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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