2025-01-23
Affiliato dell’Isis catturato a Napoli. «Il suo obiettivo erano gli ebrei»
L'interno della sinagoga di Napoli dove un marocchino affiliato all'Isis stava progettando un attentato (Ansa)
Da mesi le forze dell’ordine controllavano un marocchino che dava segni di radicalizzazione e adesione al Califfato: quando ha fatto un sopralluogo alla sinagoga è scattato il blitz. Scriveva: «Mi porto il ferro». A Napoli, nel cuore di Chiaia, tra i vicoli eleganti di via Cappella Vecchia, lo scorso 20 ottobre si consuma una scena apparentemente ordinaria: uno straniero, alto, con la barba lunga e curata, passeggia senza fretta. Ma quello non è un giro di piacere. Per gli investitori della Digos di Napoli, coordinati dal procuratore Nicola Gratteri e dal pm antiterrorismo Claudio Onorati, che ieri hanno arrestato Firaoun Mourad, marocchino, nato a Mers Sultan il 18 gennaio 1991 e residente a San Giuseppe Vesuviano con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordine democratico, quello era un sopralluogo. Un passo del suo piano. E il luogo scelto non è casuale: la sinagoga di Napoli. Il profilo social di Mourad, per come è stato analizzato dagli investigatori, racconta di un uomo in bilico tra due mondi. Su Facebook si fa chiamare «Lo Straniero» e «Mour Ad», due identità digitali che sembrano convergere in un unico messaggio: odio e vendetta. «Con la jihad e la forza uccideremo gli ebrei con l’aiuto di Dio», scrive sui social pochi istanti prima che comparisse davanti alla telecamera piazzata sulla sinagoga. E subito dopo, su Facebook, lancia una storia: un’immagine del Golfo di Napoli con impressa una frase tratta dall’inno dello Stato Islamico: «Nazione mia l’alba è tua». Nel frattempo tenta l’acquisto di un coltello dalla manifattura di pregio, col quale, stando alla ricostruzione degli investigatori, avrebbe voluto ammantare di «sacralità» l’ideata azione contro la comunità ebraica. La connessione deve essere apparsa agli inquirenti subito chiara. E da quell’istante, per precauzione, vengono innalzati i livelli di sicurezza. Un virus spia, il trojan, inserito nei suoi dispositivi, già da tempo intercetta ogni parola, ogni spostamento, ogni piano. E saltano subito fuori le presunte connessioni con appartenenti all’Isis, determinati, secondo chi indaga, a pianificare attentati sul territorio italiano utilizzando la strategia dell’aggressore isolato, del «lupo solitario». Il 29 settembre 2024 viene registrata una conversazione che viene posta dagli inquirenti alla base della richiesta di arresto: Mourad parla con calma, quasi con distacco: «Io porto con me il ferro, nascondo il ferro addosso a me e gli dirò: vieni con me. Lo farò tranquillizzare, dopodiché lo colpirò e lo farò cadere a terra. Dopo tornerò a casa, prenderò il mio zaino e non dirò nulla. E tornerò a Napoli. Chi mi conoscerà? Diranno uno barbuto, e lo andranno a cercare a Chi l’ha visto?». Parole che gelano il sangue. Perché «il ferro» nel gergo criminale è un’arma. Il «Lupo del Vesuvio» e la sua natura solitaria nascondevano molto di più. Mourad, oltre a condividere contenuti jihadisti sui suoi profili social, si auto addestra, guarda video di preparazione al martirio. Raccoglie nella galleria fotografica del suo smartphone immagini di attentati con la classica cintura esplosiva. A quel punto in Procura hanno ritenuto di avere in mano «plurimi elementi indiziari in ordine all’adesione dell’indagato all’Isis». A due ore dall’attentato al Festival della diversità di Solingen, quando l’Isis non aveva ancora rivendicato la strage, pubblica due storie. La prima: un filmato di militanti dello Stato Islamico con volto coperto che decapitano ostaggi. La seconda: un discorso di un terrorista di Al Qaeda, lo sceicco Abdullah Al Rashoud, circondato da armi, che incita al «crollo di Satana», ovvero la distruzione dell’Occidente. Per gli inquirenti non sono coincidenze. Sono i segnali di una escalation. Gli investigatori lo seguono dall’estate del 2024, cioè da quando il «Lupo del Vesuvio» torna nell’area partenopea dalla provincia di Verona. Da quel momento, il suo nome comincia ad apparire nelle indagini. I due account Facebook, una serie di messaggi su Telegram. Il 15 ottobre 2024, un contatto dal nome «Ass mh» gli scrive proprio su Telegram: «Da tanto tempo che non ti vedo… Con l’aiuto di Dio la vittoria sarà nostra… Se vengo in Italia sarò un invasore». La rete di contatti di Mourad viene mappata (ieri gli investigatori della Digos hanno eseguito anche diverse perquisizioni nei confronti di persone che erano in contatto con l’arrestato). E solo pochi giorni dopo, il 20 ottobre, tutto diventa più chiaro. Mourad è lì, in via Cappella Vecchia. Il suo cellulare aggancia le celle telefoniche della zona per ben 20 minuti. Poi torna a casa. La sinagoga e la comunità che la frequenta, però, spiegano gli investigatori, non hanno corso rischi. «Preoccupati no, ma restiamo guardinghi», spiega Lydia Shapirer, presidente della comunità ebraica napoletana, che descrive il clima di «ribaltamento dei ruoli» al quale assiste: «Le vittime diventano carnefici e viceversa». Mentre è nel suo appartamento a San Giuseppe Vesuviano (dove ieri mattina gli agenti della polizia di Stato hanno fatto irruzione per notificargli il provvedimento di custodia cautelare emesso dal gip del Tribunale di Napoli) il «Lupo del Vesuvio» trascorre ore davanti al computer. La stanza è piccola, le tende sempre tirate, la luce del monitor proietta ombre inquietanti sulle pareti. Video di esplosioni, canti di martirio, mappe scarabocchiate con annotazioni in arabo. Una foto di un uomo inginocchiato su un tappeto da preghiera dietro un simbolo dell’Occidente «corrotto»: un’auto di lusso. Ogni elemento sembra raccontare una storia di odio e di radicalizzazione. E ora gli investigatori dovranno unire tutti i puntini, perché l’inchiesta, annunciano, non è affatto conclusa.
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)