Caro direttore, la leggo e la stimo e condivido quasi sempre quello che lei scrive. Però su Gaza bisogna che lei prenda una posizione. Non ha più senso attaccare la sinistra perché sembra dimenticare ciò che ha fatto Hamas e si schiera solo dalla parte dei palestinesi. Le chiedo di andare oltre tutto ciò. L’Italia e l’Europa non possono continuare ad accettare passivamente il genocidio che Netanyahu sta attuando. Lei è una persona seria e a mio giudizio anche molto ascoltata. Non indugi oltre direttore.
Ezio Basilico
Caro Ezio, sono stato una prima volta in Israele nel 1991, mentre erano in corso la guerra del Golfo e la prima Intifada. Di quel periodo ricordo i crateri lasciati dai missili sparati da Saddam Hussein e le maschere antigas che tutti tenevano con sé, nel timore che l’Iraq colpisse Tel Aviv con il Sarin, come già aveva fatto in Kurdistan. Mi tornano in mente anche i bambini palestinesi che ti rincorrevano per venderti le collanine di pietre e i negozianti di Gerusalemme costretti dai miliziani islamici ad abbassare le saracinesche: rischiando la pelle, ti attiravano per le vie della città vecchia, nella speranza che tu comprassi qualche cosa. Già allora Hamas imperversava e terrorizzava gli stessi palestinesi. Tra i morti addebitati agli israeliani c’erano arabi sospettati di essere spie al soldo di Tel Aviv o povere donne accusate di prostituirsi, ma magari solo colpevoli di aver provato a fare qualche soldo per sfamare i propri figli, proprio come i venditori che ti avvicinavano guardandosi le spalle e guidandoti nei vicoli.
Allora, istintivamente provai simpatia per la causa israeliana. Un Paese che resisteva a chi avrebbe voluto cancellarlo. Una democrazia che lottava contro la demografia, perché più delle rivolte temeva che alla lunga i palestinesi sarebbero diventati schiacciante maggioranza, come predicavano i capi dell’Olp. Però da allora, oltre a essere passati molti anni, sono cambiate anche molte cose e, è il caso di dirlo, sono stati commessi pure molti errori. A lungo si è sottovalutata la situazione di Gaza e per troppo tempo i vertici di Israele hanno ignorato che Hamas (movimento islamico fondamentalista che per statuto ha come obiettivo la distruzione di Israele), con la forza e forse anche per la disperazione, fra i palestinesi stava diventando sempre più potente. A Tel Aviv e Gerusalemme hanno chiuso gli occhi di fronte ai finanziamenti di cui godeva il movimento divenuto padrone della Striscia, rimuovendo per anni il problema dei due Stati e di un’unica terra. E allo stesso tempo, i governanti ebraici non si sono resi conto che i soldi occidentali, invece di servire per aiutare la popolazione a uscire dalla povertà, venivano impiegati per comprare armi.
Il 7 ottobre di due anni fa, dunque, ha rappresentato un brusco risveglio. Per la prima volta gli israeliani, ma soprattutto il loro governo, hanno scoperto di essere impotenti e di non aver capito ciò che si preparava sotto i propri occhi. Tuttavia, paradossalmente, invece di rimediare, riconoscendo gli sbagli compiuti, Netanyahu e i suoi hanno pensato che si potesse risolvere tutto con la forza, nella speranza di riuscire a riportare a casa gli ostaggi ed estirpare i tagliagole di Hamas. Per questo, una settimana dopo la strage di israeliani nel deserto e nei villaggi intorno alla Striscia, scrissi un editoriale segnalando il rischio che, passato l’orrore per le vittime innocenti (ragazzi assassinati durante un rave, famiglie sterminate nei propri letti), subentrasse l’orrore per la reazione dell’esercito di Gerusalemme. Era abbastanza scontato che un’invasione, con bombardamenti e un accerchiamento militare, in un territorio densamente popolato, avrebbe fatto nuove vittime, e queste - come succede sempre - avrebbero fatto dimenticare le precedenti. Ma se tutto ciò era intuibile sette giorni dopo il massacro, figuratevi dopo 19 mesi. E soprattutto considerate che ogni giorno il numero dei bambini e delle donne morte sotto i missili e le macerie aumenta. Israele ha probabilmente ridotto la capacità offensiva di Hamas, ma a che prezzo? Non c’è solo la contabilità terribile dei morti, che pure è insopportabile. C’è anche il contraccolpo per quella che viene indicata come la sola democrazia del Medio Oriente. Se prima si poteva dire che Israele era odiato dal mondo arabo, oggi tocca riconoscere che l’odio è cresciuto in tutto il mondo. Il Paese non è mai stato così isolato e l’antisemitismo così diffuso.
Non so come si possa porre rimedio, evitando l’onda di risentimento che sta montando e che non riguarda solo le bande di autonomi e black bloc che bruciano la bandiera israeliana. Tempo fa avevo suggerito un passo indietro di Netanyahu, ma ormai mi pare evidente non soltanto che il premier israeliano non abbia alcuna intenzione di dimettersi, ma credo che neppure basterebbe. Qui il solo modo di fermare il massacro è sospendere l’invio di armi. A Tel Aviv come a Gaza. Infatti, tante anime belle parlano di pace e si dicono indignate di fronte ai morti, ma poi nessuno mette fine al commercio di munizioni. Chi oggi pensa di andare in piazza, come Giuseppe Conte e la Cgil, sperando di poter usare il dramma palestinese per i propri fini elettorali, dovrebbe avere il coraggio di andare a protestare in quei Paesi che, a differenza dell’Italia, l’invio di armi non lo hanno mai sospeso.