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2022-04-27
Sull’invio di armi all’Ucraina Berlino cede al pressing. Ora si passa a quelle pesanti
Il ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov, a sinistra, saluta l’omologo lituano, Arvydas Anusauskas (Ansa)
L’hanno chiamata «Lega per l’Ucraina». È l’etichetta marziale, quasi fumettistica, coniata per il «Gruppo di consultazione per il supporto all’Ucraina». Ossia, il vertice, svoltosi ieri alla base militare americana di Ramstein, tra i ministri della Difesa di 40 Paesi. Si tratta dei 30 dell’Alleanza atlantica e di altri dieci non Nato: alcuni, come il Giappone, più risolutamente antirussi; altri, come Israele, Tunisia, Qatar e Kenya, più prudenti. Per l’Italia, era presente Lorenzo Guerini.
La scelta di radunarsi sul territorio tedesco non dev’essere stata casuale, visto che la Germania, negli ultimi giorni, è stata oggetto di fortissime pressioni mediatiche e politiche, affinché abbandonasse ogni titubanza in questo conflitto per procura contro la Russia. Alla fine, Berlino ha ceduto: il ministro della Difesa, Cristine Lambrecht, già in mattinata aveva annunciato il via libera all’invio di 50 blindati Gepard alla resistenza. Si tratta di mezzi semoventi antiaerei: cingolati sui quali è montata una torretta con cannoni da 35 millimetri Oerlikon, dotati di un radar per la ricerca del bersaglio e di uno per il tiro. In aggiunta, l’azienda tedesca di armi Rheinmetall ha offerto a Kiev 88 carri Leopard 1A5, 20 Leopard 2, fiore all’occhiello della Bundeswehr, impiegati dalla Turchia nella guerra siriana, e 100 Marder, veicoli da combattimento adatti alla fanteria.
Adesso, la palla passa al ministro dell’Economia, Robert Habeck, che deve offrire una sorta di visto finanziario e che sarebbe favorevole alla spedizione. I media attribuiscono ancora delle riserve al cancelliere socialdemocratico, Olaf Scholz, bersagliato dalla stampa per i legami del suo partito con Mosca. A cominciare da quelli, mai rinnegati, del predecessore Gerhard Schröder: capo del consorzio Nord stream, presidente di Rosneft, società russa di gas e petrolio, l’ex capo del governo non ha intenzione di mollare gli incarichi.
La spedizione dei blindati della Rheinmetall, tra l’altro, coinvolgerebbe la Svizzera e l’Italia, dove si trovano ora i panzer. La ditta, intanto, si è fatta avanti anche per addestrare l’equipaggio dei carri in Germania e per fornire pezzi di ricambio, basi di servizio e munizioni. Un orientamento avallato direttamente dalla Lambrecht: «Lavoriamo insieme ai nostri amici americani», ha dichiarato la titolare della Difesa, «nell’addestramento di truppe ucraine ai sistemi di artiglieria su suolo tedesco».
Berlino baratta il gas con le armi? Il fatto che, già tre giorni fa, il segretario Usa al Tesoro, Janet Yellen, abbia definito «controproducente» l’embargo al metano russo, autorizza a pensare che i teutonici stiano scegliendo il male minore. Di sicuro, la loro svolta contribuisce a definire l’atmosfera delineatasi a Ramstein, dove è stata inaugurata la prossima fase della guerra a Vladimir Putin per interposti ucraini. Un passo in più verso l’escalation, consacrato dal discorso del numero uno del Pentagono, Lloyd Austin: «Siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra» e «possiamo fare di più». In particolare, gli Stati Uniti, ha promesso il segretario alla Difesa, «continueranno a muovere mari e monti per poter soddisfare le esigenze di Kiev».
Tramite il ministro Oleksiy Reznikov, il Paese invaso dovrebbe aver presentato, appunto, la lista dei desiderata bellici. Il legato di Volodymyr Zelensky sostiene che «ogni tranche di assistenza militare ci avvicina alla pace in Europa». L’impressione, però, è che l’anglosfera si stia servendo dell’Ucraina per condurre una guerra d’attrito nel Donbass, il cui scopo ultimo, ormai confermato pure da Washington, è mettere in ginocchio la Russia. Così, la nuova parola d’ordine è armi pesanti. E la nuova strategia, archiviato il proposito di portare alle trattative un Putin più fiacco, è sconfiggere Mosca: «L’Ucraina crede di poter vincere la guerra e a questo crediamo anche tutti noi», ha incalzato Austin. Il quale, paragonando la resistenza di Kiev a quella degli europei contro il nazismo, ha spiegato che solo lo zar, sorpreso dal sostegno mondiale agli assediati, «può decidere una de-escalation», ponendo fine all’«invasione malvagia». Il Cremlino, conseguentemente, dovrebbe rinunciare alla «retorica pericolosa e inutile» sul ricorso alle testate atomiche. Le provocazioni sono un’esclusiva occidentale? Parrebbe: mentre il segretario di Stato, Antony Blinken, apriva alla neutralità di Kiev, Austin sottolineava che, quanto all’ipotesi di un ingresso della nazione nella Nato, i partner manterranno «il principio delle porte aperte».
Secondo il capo del Pentagono, il vertice di Ramstein è destinato a diventare «un gruppo di contatto mensile»; giusto per essere sicuri che gli alleati si lancino nella spirale bellicista. E Roma? Caduta Berlino, si accoderà?
Guerini ieri ha parlato di una «riunione importante per coordinare gli aiuti» e di un «nuovo invio di equipaggiamenti militari», della stessa natura di quello disposto dal precedente decreto interministeriale. «L’Italia continuerà a fare la propria parte sulla base delle indicazioni decise dal Parlamento». Ergo, solo equipaggiamenti difensivi, in base alla promessa con cui è stata venduto il nostro coinvolgimento? Nessun salto di qualità nelle forniture? Verificarlo sarà impossibile: la lista è secretata. Da noi le bombe sono come la polvere: si nascondono sotto al tappeto.
Il falco BoJo fa arrabbiare i partiti ma per ora a dirlo c’è solo Giuseppi
Boris Johnson considera «interamente legittimo» l’uso di armi fornite dall’Occidente all’Ucraina per colpire in profondità le linee di rifornimento di Mosca in territorio russo; Mosca risponde che potrebbe ritenere altrettanto legittimo prendere di mira in profondità le linee di rifornimento all’Ucraina fin dentro quei Paesi che riforniscono Kiev di armi. L’escalation è spaventosa, si rischia una guerra totale. E cosa fa l’Italia?
Fino ad ora, stiamo continuando a fornire armi all’Ucraina in virtù di un provvedimento del governo convertito in legge dal Parlamento all’inizio della guerra. Ma è possibile che nessun partito, tranne il M5s e Alternativa, si ponga il problema di un quadro della situazione che rischia di degenerare fino a un punto di non ritorno? «La linea di Johnson», dice alla Verità un esponente di primissimo piano del Pd, «non è certamente la nostra. Il nostro segretario, Enrico Letta, si è spinto molto in là all’inizio del conflitto, quando ha visto che Mario Draghi era incerto, e questo ci è costato anche un calo nei sondaggi, ma non è immaginabile seguire il Regno Unito in questo genere di atteggiamenti. Del resto, anche Francia e Germania sono distanti da questa linea».
«Il governo italiano», ci spiega un autorevole rappresentante dell’esecutivo, «non ha assolutamente questa posizione. Neanche il presidente americano, Joe Biden, che pure è stato molto duro, è mai arrivato a tanto. Johnson si distingue spesso per i suoi atteggiamenti iper aggressivi, ma l’Italia continuerà a muoversi all’interno dell’Unione europea e della Nato. Il rischio di una escalation è altissimo», aggiunge la nostra fonte, «e in ogni caso se ci fossero dei cambiamenti di strategia occorrerebbe richiamare in causa il Parlamento».
«Il punto», sottolinea alla Verità un big della Lega, «è che l’invio delle armi in Ucraina è stato deciso in fretta e furia il giorno dopo l’inizio della guerra con una formulazione vaga che consente al governo di fare quello che vuole fino alla fine del 2022. Abbiamo deciso di mandare armi difensive, per qualunque altra cosa bisognerà riconvocare il Parlamento».
Dunque, se in tv e sui giornali quasi tutte le forze politiche sembrano allineate e coperte in trincea, i malumori rispetto a quanto vanno proclamando protagonisti internazionali come Boris Johnson cova sotto la cenere e prima o poi è destinato a emergere. Sarebbe inoltre interessante sapere cosa pensa di questa escalation Giorgia Meloni, che fino ad ora ha curato più che altro il suo orticello politico, allineandosi dall’opposizione a ogni tipo di decisione, probabilmente con l’obiettivo di ricevere l’agognata legittimazione a governare da parte di Washington.
Intanto torna alla carica Giuseppe Conte, che ha chiesto anche al premier, Draghi, e al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, di riferire in Parlamento. Ieri il Movimento 5 stelle ha diffuso una nota in cui si afferma che il Consiglio nazionale ha deliberato all’unanimità «di opporsi all’invio di aiuti militari e di controffensive che possano travalicare le esigenze legate all’esercizio del diritto legittima difesa sancito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni unite, che rimane obiettivo primario e ragione giustificativa della reazione in corso». Non solo, il Movimento ritiene «che l’Italia debba promuovere tutti gli sforzi necessari affinché sia contrastato il rischio di un’ulteriore escalation militare e sia invece favorito il rilancio delle negoziazioni diplomatiche, in modo che il conflitto attuale non deflagri in uno scontro militare di proporzioni sempre più vaste e incontrollabili».
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Il vertice di Ramstein convince i tedeschi a spedire i blindati Gepard. Pure un’azienda privata offre i tank e l’addestramento. E Lorenzo Guerini garantisce: «Roma farà la sua parte».Malumori nel Pd e nella Lega. No esplicito del M5s ad aiuti «che non siano difensivi».Lo speciale contiene due articoli.L’hanno chiamata «Lega per l’Ucraina». È l’etichetta marziale, quasi fumettistica, coniata per il «Gruppo di consultazione per il supporto all’Ucraina». Ossia, il vertice, svoltosi ieri alla base militare americana di Ramstein, tra i ministri della Difesa di 40 Paesi. Si tratta dei 30 dell’Alleanza atlantica e di altri dieci non Nato: alcuni, come il Giappone, più risolutamente antirussi; altri, come Israele, Tunisia, Qatar e Kenya, più prudenti. Per l’Italia, era presente Lorenzo Guerini.La scelta di radunarsi sul territorio tedesco non dev’essere stata casuale, visto che la Germania, negli ultimi giorni, è stata oggetto di fortissime pressioni mediatiche e politiche, affinché abbandonasse ogni titubanza in questo conflitto per procura contro la Russia. Alla fine, Berlino ha ceduto: il ministro della Difesa, Cristine Lambrecht, già in mattinata aveva annunciato il via libera all’invio di 50 blindati Gepard alla resistenza. Si tratta di mezzi semoventi antiaerei: cingolati sui quali è montata una torretta con cannoni da 35 millimetri Oerlikon, dotati di un radar per la ricerca del bersaglio e di uno per il tiro. In aggiunta, l’azienda tedesca di armi Rheinmetall ha offerto a Kiev 88 carri Leopard 1A5, 20 Leopard 2, fiore all’occhiello della Bundeswehr, impiegati dalla Turchia nella guerra siriana, e 100 Marder, veicoli da combattimento adatti alla fanteria. Adesso, la palla passa al ministro dell’Economia, Robert Habeck, che deve offrire una sorta di visto finanziario e che sarebbe favorevole alla spedizione. I media attribuiscono ancora delle riserve al cancelliere socialdemocratico, Olaf Scholz, bersagliato dalla stampa per i legami del suo partito con Mosca. A cominciare da quelli, mai rinnegati, del predecessore Gerhard Schröder: capo del consorzio Nord stream, presidente di Rosneft, società russa di gas e petrolio, l’ex capo del governo non ha intenzione di mollare gli incarichi. La spedizione dei blindati della Rheinmetall, tra l’altro, coinvolgerebbe la Svizzera e l’Italia, dove si trovano ora i panzer. La ditta, intanto, si è fatta avanti anche per addestrare l’equipaggio dei carri in Germania e per fornire pezzi di ricambio, basi di servizio e munizioni. Un orientamento avallato direttamente dalla Lambrecht: «Lavoriamo insieme ai nostri amici americani», ha dichiarato la titolare della Difesa, «nell’addestramento di truppe ucraine ai sistemi di artiglieria su suolo tedesco».Berlino baratta il gas con le armi? Il fatto che, già tre giorni fa, il segretario Usa al Tesoro, Janet Yellen, abbia definito «controproducente» l’embargo al metano russo, autorizza a pensare che i teutonici stiano scegliendo il male minore. Di sicuro, la loro svolta contribuisce a definire l’atmosfera delineatasi a Ramstein, dove è stata inaugurata la prossima fase della guerra a Vladimir Putin per interposti ucraini. Un passo in più verso l’escalation, consacrato dal discorso del numero uno del Pentagono, Lloyd Austin: «Siamo qui riuniti per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra» e «possiamo fare di più». In particolare, gli Stati Uniti, ha promesso il segretario alla Difesa, «continueranno a muovere mari e monti per poter soddisfare le esigenze di Kiev». Tramite il ministro Oleksiy Reznikov, il Paese invaso dovrebbe aver presentato, appunto, la lista dei desiderata bellici. Il legato di Volodymyr Zelensky sostiene che «ogni tranche di assistenza militare ci avvicina alla pace in Europa». L’impressione, però, è che l’anglosfera si stia servendo dell’Ucraina per condurre una guerra d’attrito nel Donbass, il cui scopo ultimo, ormai confermato pure da Washington, è mettere in ginocchio la Russia. Così, la nuova parola d’ordine è armi pesanti. E la nuova strategia, archiviato il proposito di portare alle trattative un Putin più fiacco, è sconfiggere Mosca: «L’Ucraina crede di poter vincere la guerra e a questo crediamo anche tutti noi», ha incalzato Austin. Il quale, paragonando la resistenza di Kiev a quella degli europei contro il nazismo, ha spiegato che solo lo zar, sorpreso dal sostegno mondiale agli assediati, «può decidere una de-escalation», ponendo fine all’«invasione malvagia». Il Cremlino, conseguentemente, dovrebbe rinunciare alla «retorica pericolosa e inutile» sul ricorso alle testate atomiche. Le provocazioni sono un’esclusiva occidentale? Parrebbe: mentre il segretario di Stato, Antony Blinken, apriva alla neutralità di Kiev, Austin sottolineava che, quanto all’ipotesi di un ingresso della nazione nella Nato, i partner manterranno «il principio delle porte aperte». Secondo il capo del Pentagono, il vertice di Ramstein è destinato a diventare «un gruppo di contatto mensile»; giusto per essere sicuri che gli alleati si lancino nella spirale bellicista. E Roma? Caduta Berlino, si accoderà? Guerini ieri ha parlato di una «riunione importante per coordinare gli aiuti» e di un «nuovo invio di equipaggiamenti militari», della stessa natura di quello disposto dal precedente decreto interministeriale. «L’Italia continuerà a fare la propria parte sulla base delle indicazioni decise dal Parlamento». Ergo, solo equipaggiamenti difensivi, in base alla promessa con cui è stata venduto il nostro coinvolgimento? Nessun salto di qualità nelle forniture? Verificarlo sarà impossibile: la lista è secretata. Da noi le bombe sono come la polvere: si nascondono sotto al tappeto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/invio-armi-ucraina-berlino-cede-2657220189.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-falco-bojo-fa-arrabbiare-i-partiti-ma-per-ora-a-dirlo-ce-solo-giuseppi" data-post-id="2657220189" data-published-at="1651020582" data-use-pagination="False"> Il falco BoJo fa arrabbiare i partiti ma per ora a dirlo c’è solo Giuseppi Boris Johnson considera «interamente legittimo» l’uso di armi fornite dall’Occidente all’Ucraina per colpire in profondità le linee di rifornimento di Mosca in territorio russo; Mosca risponde che potrebbe ritenere altrettanto legittimo prendere di mira in profondità le linee di rifornimento all’Ucraina fin dentro quei Paesi che riforniscono Kiev di armi. L’escalation è spaventosa, si rischia una guerra totale. E cosa fa l’Italia? Fino ad ora, stiamo continuando a fornire armi all’Ucraina in virtù di un provvedimento del governo convertito in legge dal Parlamento all’inizio della guerra. Ma è possibile che nessun partito, tranne il M5s e Alternativa, si ponga il problema di un quadro della situazione che rischia di degenerare fino a un punto di non ritorno? «La linea di Johnson», dice alla Verità un esponente di primissimo piano del Pd, «non è certamente la nostra. Il nostro segretario, Enrico Letta, si è spinto molto in là all’inizio del conflitto, quando ha visto che Mario Draghi era incerto, e questo ci è costato anche un calo nei sondaggi, ma non è immaginabile seguire il Regno Unito in questo genere di atteggiamenti. Del resto, anche Francia e Germania sono distanti da questa linea». «Il governo italiano», ci spiega un autorevole rappresentante dell’esecutivo, «non ha assolutamente questa posizione. Neanche il presidente americano, Joe Biden, che pure è stato molto duro, è mai arrivato a tanto. Johnson si distingue spesso per i suoi atteggiamenti iper aggressivi, ma l’Italia continuerà a muoversi all’interno dell’Unione europea e della Nato. Il rischio di una escalation è altissimo», aggiunge la nostra fonte, «e in ogni caso se ci fossero dei cambiamenti di strategia occorrerebbe richiamare in causa il Parlamento». «Il punto», sottolinea alla Verità un big della Lega, «è che l’invio delle armi in Ucraina è stato deciso in fretta e furia il giorno dopo l’inizio della guerra con una formulazione vaga che consente al governo di fare quello che vuole fino alla fine del 2022. Abbiamo deciso di mandare armi difensive, per qualunque altra cosa bisognerà riconvocare il Parlamento». Dunque, se in tv e sui giornali quasi tutte le forze politiche sembrano allineate e coperte in trincea, i malumori rispetto a quanto vanno proclamando protagonisti internazionali come Boris Johnson cova sotto la cenere e prima o poi è destinato a emergere. Sarebbe inoltre interessante sapere cosa pensa di questa escalation Giorgia Meloni, che fino ad ora ha curato più che altro il suo orticello politico, allineandosi dall’opposizione a ogni tipo di decisione, probabilmente con l’obiettivo di ricevere l’agognata legittimazione a governare da parte di Washington. Intanto torna alla carica Giuseppe Conte, che ha chiesto anche al premier, Draghi, e al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, di riferire in Parlamento. Ieri il Movimento 5 stelle ha diffuso una nota in cui si afferma che il Consiglio nazionale ha deliberato all’unanimità «di opporsi all’invio di aiuti militari e di controffensive che possano travalicare le esigenze legate all’esercizio del diritto legittima difesa sancito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni unite, che rimane obiettivo primario e ragione giustificativa della reazione in corso». Non solo, il Movimento ritiene «che l’Italia debba promuovere tutti gli sforzi necessari affinché sia contrastato il rischio di un’ulteriore escalation militare e sia invece favorito il rilancio delle negoziazioni diplomatiche, in modo che il conflitto attuale non deflagri in uno scontro militare di proporzioni sempre più vaste e incontrollabili».
L’argento è ai massimi storici a oltre 60 dollari l’oncia superando i fasti del 1979 o del 2011. Oltre 45 anni fa l’inflazione fuori controllo, la crisi degli ostaggi in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan spinsero il prezzo dell’oro a triplicare, mentre l’argento salì addirittura di sette volte. Dopo quel picco, entrambi i metalli entrarono in una lunga fase di declino, interrotta solo dalla sequenza di crisi finanziarie iniziata con il crollo del mercato immobiliare statunitense nel 2007, proseguita con il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e culminata nella crisi del debito europeo tra il 2010 e il 2012. In quel periodo l’oro raddoppiò, mentre l’argento quasi quadruplicò.
A differenza dei grandi rally del passato, l’ultimo anno non è stato caratterizzato da eventi catastrofici paragonabili. E allora perché un rally dei «preziosi»? Parte della spiegazione risiede nelle preoccupazioni degli investitori per una possibile pressione politica sulla Federal Reserve, che potrebbe tradursi in inflazione più elevata con tassi più bassi, uno scenario tradizionalmente favorevole ai metalli preziosi. Un’altra parte deriva dagli acquisti di oro da parte delle banche centrali, impegnate a ridurre la dipendenza dal dollaro. Oggi il metallo giallo rappresenta circa il 20% delle riserve ufficiali globali, superando l’euro (16%). Il congelamento delle riserve russe dopo l’invasione dell’Ucraina ha incrinato la fiducia nel dollaro come valuta di riserva, rafforzando l’attrattiva dell’oro e, per effetto di contagio, anche dell’argento.
Lo sblocco di 185 miliardi di euro di asset russi congelati sta già producendo effetti profondi sull’architettura finanziaria globale e sulla gestione delle riserve da parte delle banche centrali. Secondo Jefferies, il dibattito sulla possibile monetizzazione di queste riserve rappresenta un precedente di portata storica e costituisce uno dei principali motori dell’accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali, iniziata nel 2022.
Il problema è innanzitutto di fiducia. Per i mercati globali il segnale è già stato colto. Il congelamento delle riserve russe nel 2022 è stato il “trigger” - lo stimolo - che ha spinto molti Paesi, soprattutto al di fuori del G7, a interrogarsi sulla sicurezza delle proprie attività denominate in valute occidentali. La risposta è stata un accumulo senza precedenti di oro. I dati del World Gold Council mostrano che tra il terzo trimestre del 2022 e il secondo del 2025 le banche centrali hanno acquistato 3.394 tonnellate di metallo prezioso, con tre anni consecutivi oltre la soglia delle 1.000 tonnellate.
Questo movimento strutturale si è intrecciato con altri fattori macroeconomici che hanno sostenuto una spettacolare corsa dell’oro. Tra il 2024 e il 2025 i prezzi sono raddoppiati, spinti dagli acquisti ufficiali, dai tagli dei tassi della Federal Reserve, da un dollaro più debole, dai dubbi sull’indipendenza della banca centrale statunitense e dal ritorno massiccio degli investitori negli Etf.
Altro fattore scatenante di oro e argento è il debito. Quello globale sfiora ormai la soglia dei 346mila miliardi di dollari, segnala l’Institute of International Finance (IIF), che nel suo ultimo rapporto evidenzia come, a fine settembre, l’indebitamento complessivo abbia raggiunto i 345,7 trilioni, pari a circa il 310% del Pil mondiale. Secondo l’IIF, «la maggior parte dell’aumento complessivo è arrivato dai mercati sviluppati, dove l’ammontare del debito ha segnato un un rapido aumento quest’anno».
Più debito e più sfiducia sulle regole finanziarie portano alla fuga però dai titoli di Stato, come emerge dai rendimenti. Quelli dei bond pubblici globali a 10 anni e oltre sono balzati al 3,9%, il livello più alto dal 2009. I rendimenti obbligazionari mondiali (gli interessi che si pagano) sono ora 5,6 volte superiori al minimo registrato durante la pandemia del 2020. Trainano il rialzo le principali economie, tra cui Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Canada, Germania e Australia. Per dire, il rendimento dei titoli di Stato tedeschi a 30 anni è salito al 3,46%, il livello più alto da luglio 2011. Quando l’argento toccò un picco.
L'era del denaro a basso costo per i governi sembra finita. Vediamo come finisce questa corsa del «silver» e del «gold».
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Ansa
Secondo quanto riferito, i militari della Bundeswehr saranno impiegati principalmente in attività di ingegneria militare. Un portavoce del dicastero ha spiegato che il loro compito consisterà in «attività di ingegneria», che potrebbero includere «la costruzione di fortificazioni, lo scavo di trincee, la posa di filo spinato o la costruzione di barriere anticarro». Sempre secondo il ministero, il dispiegamento non richiederà però un mandato parlamentare, poiché «non vi è alcun pericolo immediato per i soldati legato a un conflitto militare».
Ma se il pericolo non c’è allora perché inviarli oltretutto senza passare dal Parlamento? Il rafforzamento delle difese lungo il confine orientale dell’Alleanza si inserisce in un contesto segnato dal protrarsi della guerra in Ucraina e dall’intensificarsi delle operazioni militari russe sul terreno. Secondo un rapporto analitico dell’intelligence britannica datato 13 dicembre, rilanciato da Rbc, le forze russe stanno tentando di avanzare nell’area di Siversk, nella regione di Donetsk, approfittando delle difficili condizioni meteorologiche. Londra smentisce però le dichiarazioni di Mosca sul controllo totale della città. Gli analisti ritengono che reparti russi siano riusciti a infiltrarsi nella zona centrale sfruttando la nebbia, mentre le Forze di difesa ucraine continuano a presidiare i quartieri occidentali, a conferma che i combattimenti sono ancora in corso anche se la città risulta ormai in gran parte perduta e per tentare di riconquistarla sarebbero necessarie nuove riserve. L’intelligence britannica sottolinea inoltre come Siversk rappresenti da tempo un obiettivo strategico per Mosca. Il controllo della città, spiegano gli analisti, consentirebbe alle forze russe di aprire un corridoio verso centri urbani più grandi e decisivi del Donetsk, come Sloviansk e Kramatorsk, che restano sotto il controllo ucraino. Il rapporto segnala inoltre una capacità limitata delle truppe ucraine di condurre operazioni di raid localizzate nella parte settentrionale di Pokrovsk e sottolinea come le forze russe continuino a subire perdite consistenti lungo l’intera linea del fronte. Secondo le stime di Londra, nel 2025 il numero complessivo di morti e feriti tra le fila russe potrebbe arrivare a circa 395.000 unità.
Sul piano umanitario ed energetico, l’Ucraina sta affrontando le conseguenze degli ultimi attacchi russi contro le infrastrutture elettriche. Dopo i bombardamenti notturni, oltre un milione di utenze sono rimaste senza corrente. Le squadre di emergenza hanno però già avviato gli interventi di ripristino. «Attualmente oltre un milione di utenze sono senza elettricità. Ma le squadre di riparazione, sia di UkrEnergo che degli operatori del sistema di distribuzione, hanno già avviato i lavori di riparazione per garantire la fornitura ai consumatori. Spero che oggi riusciremo a riparare la maggior parte di ciò che è stato interrotto durante la notte», ha dichiarato Vitaliy Zaychenko, presidente del cda dell’operatore pubblico della rete elettrica, citato dall’agenzia statale Ukrinform. Zaychenko ha aggiunto che le situazioni più critiche si registrano nelle regioni di Odessa, Mykolaiv e Kherson, confermando come il conflitto continui a colpire in modo diretto la popolazione civile e le infrastrutture essenziali del Paese.
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Donald Trump (Ansa)
Insomma, se di nuovo attaccato, in soccorso del Paese di Volodymyr Zelensky scenderebbero gli Stati membri dell’Alleanza. Probabilmente - come nel caso dell’organizzazione nordatlantica - non ci sarebbero automatismi e sarebbero necessarie prima delle consultazioni politiche. La Russia, però, sarebbe avvisata. E la novità è che anche gli Stati Uniti, benché recalcitranti a impegnarsi per Kiev e per il Vecchio continente, hanno accolto il lodo Meloni.
Axios, citando fonti dell’amministrazione americana, ha scritto che la Casa Bianca sarebbe pronta a dare il suo assenso, sottoponendo comunque l’intesa al voto del Congresso. «Vogliamo offrire agli ucraini», ha dichiarato un funzionario Usa, «una garanzia di sicurezza che non sia un assegno in bianco da un lato, ma che sia sufficientemente solida dall’altro».
La definizione dello scenario postbellico sarebbe uno dei tre accordi da firmare separatamente: uno per la pace, uno per la sicurezza, uno per la ricostruzione. L’esponente dell’esecutivo statunitense considera positivo che, per la prima volta, la nazione aggredita abbia mostrato una visione per il dopoguerra. A dispetto dell’apparente stallo dei negoziati, peraltro, il collaboratore di Donald Trump ha riferito ad Axios che, negli Usa, l’apertura di Zelensky almeno a un referendum sullo status dei territori occupati viene considerata «un progresso». All’America sarebbe stato giurato che gli europei sosterrebbero il capo della resistenza, se decidesse di mandare in porto la consultazione.
Steve Witkoff e Jared Kushner si sarebbero confrontati su piano per creare una zona demilitarizzata a ridosso del fronte, insieme ai consiglieri per la sicurezza di Ucraina, Germania, Francia e Regno Unito. I passi avanti sarebbero stati tali da convincere Trump a spedire il genero e l’inviato speciale in Europa. Entrambi, in vista del vertice di domani, sono attesi oggi a Berlino per dei colloqui con rappresentanti ucraini e tedeschi. Domani, invece, i delegati di The Donald vedranno il cancelliere, Friedrich Merz, Macron e il premier britannico, Keir Starmer. Al summit parteciperanno anche altri leader Ue e Nato, tra cui Giorgia Meloni. Reduce, a questo punto, da un successo politico e diplomatico.
Un’accelerazione delle trattative potrebbe aiutarla a trarsi d’impaccio pure dalle difficoltà interne: i malumori della Lega per il decreto armi e l’intervento a gamba tesa del Colle sulla necessità di sostenere Kiev. La reprimenda di Sergio Mattarella poteva certo essere diretta contro il Carroccio, che infatti ieri ha risposto, con toni insolitamente duri, tramite Paolo Borchia: al capo dello Stato, ha lamentato l’eurodeputato, «piace far politica». A giudicare dai commenti di Matteo Salvini e Claudio Borghi, però, sembra improbabile una crisi della maggioranza. Ma la coincidenza davvero interessante è che l’inquilino del Quirinale ha pronunciato il suo discorso appena dopo il faccia a faccia tra Meloni e Zelensky, cui il nostro premier avrebbe fatto presente l’inevitabilità di «concessioni territoriali dolorose». Ieri è toccato ad Antonio Tajani smentire le presunte pressioni italiane affinché l’Ucraina accetti le condizioni del piano di Trump. «Sui territori», ha precisato il ministro degli Esteri, seguito a ruota da Guido Crosetto, «la decisione è solo degli ucraini». Fatto sta che, pure sull’utilizzo degli asset russi - una partita delicatissima, nella quale nemmeno la posizione della Germania è priva di ambiguità - Roma sta cercando di disinnescare le mine piazzate dalla Commissione europea, che sarebbero di intralcio alla pace.
Chi, intanto, si sta riaffacciando nella veste di mediatore è Recep Tayyip Erdogan. Teme che il Mar Nero, nel quale Ankara mantiene interessi vitali, diventi «un campo di battaglia», come ha detto ieri il Sultano. Non a caso, Kiev ha accusato Mosca di aver colpito un cargo turco che trasportava olio di girasole. Erdogan ha garantito che «la pace non è lontana» ed espresso apprezzamenti per l’iniziativa di The Donald. «Discuteremo il piano anche con il presidente degli Stati Uniti Trump, se possibile», ha annunciato. Con Vladimir Putin, ha aggiunto il presidente, «abbiamo parlato degli sforzi della Turchia per raggiungere la pace. Entrambi riteniamo positivo il tentativo di impostare un dialogo per porre fine al conflitto. Trump si è attivato e noi siamo al suo fianco, i nostri contatti con gli Usa sono continui».
Ieri, sono stati trasferiti in Ucraina quasi tutti i prigionieri liberati dalla Bielorussia in cambio dello stop alle sanzioni statunitensi, compresa l’oppositrice al regime Maria Kolesnikova. Pure questo è un piccolo segnale. Se ne attende qualcuno dall’Europa. Prima che la guerra diventi la sua tragica profezia che si autoavvera.
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