2019-09-19
Dopo il crollo del ponte
la società dei Benetton ingaggiò investigatori per ostacolare le intercettazioni
In seguito al crollo del ponte Morandi la società dei Benetton ingaggiò Paolo Fraschini per impedire la registrazione di telefonate e audio ambientali: conto da 60.000 euro. In teoria il sistema doveva impedire intrusioni ma potrebbe aver ostacolato le indagini. «Riscrivete i report. Sono arrivati i nuovi soci tedeschi e cinesi». Gli indagati nell'inchiesta bis un mese dopo la cessione del 10% di Aspi: «Il danno di immagine è un problema di governance». Lo speciale comprende due articoli. Subito dopo il crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018, la Spea Engineering, braccio operativo di Autostrade per l'Italia della famiglia Benetton, ha deciso di investire 60.000 euro per impedire agli investigatori di intercettare i suoi dirigenti indagati. È quanto sta emergendo dalle perquisizioni e dai primi interrogatori nell'ambito dell'inchiesta per falso ideologico che lo scorso 13 settembre ha portato all'arresto di tre dipendenti di Aspi e Spea e alla sospensione dal servizio e dall'attività professionale per 12 mesi di altri sei indagati. Dunque alcuni dirigenti delle due società, dopo la tragedia genovese, non solo si attivarono per modificare i report dei controlli ed evitare di dover interrompere il traffico autostradale su altri viadotti, ma misero in atto una ramificata attività di «inquinamento probatorio», che andava dall'istruzione dei testimoni al contrasto delle attività degli inquirenti. Per esempio a metà settembre 2018 l'ufficio legale Spea firma un contratto con lo studio Andreano per l'ingaggio di un investigatore privato. Il detective è Paolo Fraschini, riferimento della Muteki srl, società specializzata nella fornitura «di servizi di sicurezza e investigazione di elevata qualità» di Cesano Maderno. Nell'oggetto del contratto tra lo studio Andreano e la Spea, sequestrato dagli investigatori, si legge: «Attività di investigazione preventiva. Grado di difficoltà: particolarmente elevato». L'incarico «proveniente dal cliente» è quello «di reperire investigatore privato abilitato (di fiducia e noto allo studio incaricato) che dovrà essere coordinato dallo studio legale al fine di svolgere l'attività atta e diretta a prevenire attività di intrusioni illecite e/o intercettazioni /acquisizioni di materiale riservato, nonché al fine di garantire la segretezza delle attività difensive che verranno di volta in volta discusse e poste in essere presso i vostri uffici nonché presso gli uffici dell'avvocato Michele Andreano e Massimo Ceresa Gastaldo, incaricati come difensori di fiducia dai vostri dipendenti De Angelis Emanuele e Massimiliano Giacobbi, nonché dalla vostra società quale ente indagato». Per tali attività «di difficoltà particolarmente elevata» la Muteki ha emesso fatture per un importo complessivo di circa 60.000 euro, tutte intestate a soggetti riconducibili allo studio Andreano. Quest'ultimo, ieri, per motivi di opportunità e d'immagine (negli ultimi anni è stato protagonista di importanti e delicati processi per terrorismo, corruzione e omicidio, per esempio ha difeso Manuel Foffo per l'assassinio di Luca Varani e Alessandro Boettcher, nel caso della cosiddetta «coppia dell'acido») e nell'interesse della Spea ha rinunciato al mandato, mentre il socio Fabio Freddi, amministratore dello studio, si era già sospeso nei mesi scorsi, dopo le prime notizie su indagini sul suo conto. Venerdì 13 settembre le Fiamme gialle hanno perquisito la stanza di Freddi, accusato di favoreggiamento, essendo stato lui a curare personalmente i rapporti con la società Muteki. Il gip Angela Maria Nutini nell'ordinanza di arresto per i tre dipendenti di Spea e Aspi ha scritto: «Lo zelo della società (la Spea, nrd) durante le indagini non si è limitato al supporto ai dipendenti indagati, ma si è tradotto anche in attività di bonifica dei computer, nell'installazione di telecamere finalizzate a impedire l'attivazione delle intercettazioni da parte degli inquirenti e nell'utilizzo di disturbatori delle intercettazioni al fine di ostacolare quelle eventualmente già in corso. Risulta che Valentina Maresca (capo dell'ufficio legale di Spea, ndr), Antonino Valenti (responsabile dell'ufficio tecnico sicurezza stradale della Spea di Genova, ndr), con l'ausilio dell'avvocato Fabio Freddi abbiano contattato appositamente a tali fini la società Muteki srl. Dalla conversazione telefonica […] tra Valenti e Maresca in compagnia del legale rappresentante della predetta società si evince l'attività di installazione dei dispositivi, tra gli altri, a Ferretti». Lucio Ferretti Torricelli, arrestato lo scorso 13 settembre, è un dirigente di Spea e dunque l'investigatore privato e i suoi «disturbatori» hanno protetto le conversazioni non solo di Giacobbi (pure lui finito ai domiciliari) e De Angelis, ma anche quelle di altri indagati. Il viavai dei jammer ha dato vita anche a scenette comiche. In una conversazione la Maresca chiede al riferimento della Muteki se «vi sia il modo di rintracciarne» uno scomparso: «L'altro giorno abbiamo usato il disturbatore e non si trova più. Io l'ho dimenticato nella sala riunioni e non so che fine possa avere fatto». L'esperto ribatte: «E dalle telecamere non si vede chi è che l'ha preso?». Le immagini video avrebbero immortalato due sospetti mentre lasciavano la stanza e l'ipotesi dei «derubati» è che si trattasse di finanzieri. Adesso quei filmati, archiviati presso i server della Muteki, potrebbero consentire agli investigatori «ufficiali» di verificare chi sia entrato e uscito dalle stanze «protette» e se i jammer siano stati utilizzati anche in altri uffici, come lasciano immaginare le intercettazioni. Due giorni fa, durante gli interrogatori di garanzia di Giacobbi e Ferretti, si è parlato anche dei «disturbatori» e almeno uno degli indagati ha confermato che l'indicazione di utilizzarli fosse arrivata dall'ufficio legale Spea. Ufficialmente tale attività aveva l'obiettivo di proteggere società e indagati da ficcanaso diversi dagli inquirenti e di schermare le conversazioni tra legali, indagati e consulenti. Per questo era stata bonificata e attrezzata una sala della Spea di Milano e, a Genova, un casottino esterno agli uffici aziendali. Ma gli inquirenti sospettano che lo «zelo» dei dirigenti Spea e dei loro consulenti esterni abbia spinto l'attività oltre i limiti consentiti dalla Cassazione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/investigatori-anti-intercettazioni-alla-spea-2640424011.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="riscrivete-i-report-sono-arrivati-i-nuovi-soci-tedeschi-e-cinesi" data-post-id="2640424011" data-published-at="1758063278" data-use-pagination="False"> «Riscrivete i report. Sono arrivati i nuovi soci tedeschi e cinesi» I report truccati su ponti e viadotti sarebbero serviti anche a farsi belli con gli investitori. Soprattutto da quando in Autostrade per l'Italia erano entrate due consistenti cordate straniere. Dall'inchiesta di Genova sono saltate fuori sei conversazioni ambientali che erano archiviate in un computer. Due settimane dopo il crollo del ponte Morandi scattarono le perquisizioni e gli investigatori della Guardia di finanza portarono via più di un pc dagli uffici di Autostrade per l'Italia e da quelli di Spea, la società controllata che è il braccio operativo della holding Atlantia. Nell'hard disk indicato dai finanzieri come in uso al responsabile delle verifiche tecniche di transitabilità dei trasporti eccezionali di Spea, Marco Vezil, c'erano i file valutati come di interesse investigativo. Sono stati prodotti con il registratore del cellulare lasciato acceso, che ha captato la conversazione tra i presenti. In uno dei casi il file è datato 24 maggio 2017. Esattamente un mese prima i vertici di Autostrade e gli investitori stranieri (Allianz capital partners e Chem China) erano seduti con i loro advisor finanziari (Goldman Sachs, JP Morgan, Credit Suisse, Morgan Stanley e lo Studio eredi Bonelli per gli aspetti legali) per ultimare l'accordo, pubblicizzato il 27 aprile con un comunicato ufficiale. In una delle conversazioni, riportata anche nell'ordinanza di custodia cautelare, l'ex responsabile delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli, in riunione con Lucio Torricelli Ferretti e Massimiliano Giacobbi (finiti ai domiciliari, parla, alla presenza di Vezil, del ripristino del viadotto Giustina sulla A14. Donferri Mitelli «indispettito», annota il gip, «dai ragionamenti» di un tecnico su ciò che doveva essere fatto per mettere in sicurezza il viadotto, sostiene stizzito: «Devo spendere il meno possibile... sono entrati i tedeschi... a te non te ne frega un cazzo... sono entrati i cinesi... devo ridurre al massimo i costi... e devo essere intelligente de porta' alla fine della concessione... lo capisci o non lo capisci?». Ed ecco, subito dopo, uno dei passaggi fondamentali dell'inchiesta: «Adesso li riscrivete e fate Pescara a 40 (i difetti di alcuni viadotti erano di una certa gravità e nei report il voto era di 50 su 70, ndr)... perché ti ho detto il danno d'immagine è un problema di governance». Una governance che doveva dare conto ai nuovi gruppi. A pochi giorni dal loro ingresso, fare arrivare quei report allarmanti sarebbe stato probabilmente valutato inopportuno. Anche perché l'investimento, per il 10% di quote di Aspi cedute dalla famiglia Benetton, era stato notevole. Il board decise di cedere il 5% a un consorzio guidato da Allianz capital partners, braccio infrastrutturale del colosso assicurativo tedesco (insieme a Edf invest e a Dif infrastructure). L'ulteriore quota del 5% è stata ceduta, invece, a Silk road fund, un fondo cinese azionista di Pirelli insieme a Chem China. Il prezzo riconosciuto dagli acquirenti generò una plusvalenza di 736 milioni di euro per Atlantia, forse difesa anche attraverso l'attività di revisione messa in atto sui report tecnici che rappresentavano una realtà molto più pericolosa per la sicurezza degli automobilisti.