2023-08-26
«Gli stupri? Viviamo in una società porno»
Lo psicoterapeuta Claudio Risè: «I contenuti a luci rosse sono certamente un fattore, ma più in generale i ragazzi subiscono l’influenza di un abbassamento generale del rispetto per l’altro. Prendete il Ghb: che senso ha avere rapporti con un soggetto inerme?».Claudio Risé, psicoterapeuta e profondo analista della società contemporanea, ha dedicato larga parte della sua produzione saggistica all’esame della mascolinità. Una mascolinità che - non da oggi -è messa sotto accusa, fino a diventare sinonimo di violenza. Risé, specie dopo episodi come il mostruoso stupro di gruppo di Palermo dobbiamo pensare che esista un particolare problema con i giovani maschi? Ha ragione chi sostiene che serva una «rieducazione» del maschio? «Secondo me è proprio impossibile rieducare una categoria di persone senza nemmeno andare a vedere da dove origini la diseducazione. Credo che il problema sia che viviamo in una società in cui l’immagine dell’altro ha perso qualsiasi sacralità, non c’è più alcun rispetto per l’esistenza dell’altro. Ogni giorno tutti devono combattere gli uni contro gli altri praticamente senza regole». Quindi non è soltanto un problema dei maschi? «Tutti devono combattere in questo modo, i maschi come le donne, i generali come i presidenti e le persone comuni. Io penso che ci siamo una generale caduta del rispetto verso l’altro. Per questo motivo non accetto di prendere i disgraziati ragazzi di oggi come unici capri espiatori». Questa ovviamente non è una giustificazione di chi commette atti orribili. «Ma certo che no. Però dobbiamo andare alla radice degli episodi di violenza, cercare di comprendere davvero da dove abbiamo origine. Quello che voglio dire è che tutta la nostra società è infarcita di violenza per le strade, nelle scuole… Gli insegnanti vengono insultati, percossi… Come facciamo a puntare il dito soltanto contro i maschi quando tutti, in ogni circostanza e situazione, tendono ad aggredirsi fra loro e a sopraffare il prossimo? Sinceramente non mi sento di sostenere l’isolamento del responsabile, perché è sbagliato».Esiste sempre una responsabilità, anche penale, che è personale…«Vero. Ma il punto resta il medesimo. E cioè il fatto che è venuta meno la sacralità dell’altro, il rispetto dell’altro. E questa è una caratteristica della società postindustriale nata oltre due secoli fa, iniziata con la Rivoluzione francese e proseguita con manifestazioni sempre più violente».Questa desacralizzazione dell’altro da che cosa dipende? «Da quella che è stata chiamata morte di Dio. Se Dio è morto, come ha annunciato lo Zarathustra di Nietzsche, possiamo fare quello che vogliamo, anche perché la vita ha perso ogni sacralità. Questo è un punto fondamentale. Si ragiona comunemente come se le società potessero fare a meno di Dio e del sacro». E non è così?«A mio avviso è assolutamente impossibile. Le società per stare insieme hanno bisogno di un’idea di sacralità. Se questa idea non c’è più, perché ognuno vuole fare i fatti suoi, allora il meccanismo non funziona più. E non è un problema della Sicilia più o meno povera. E’ una situazione di una parte del mondo, dell’Occidente». Si potrebbe obiettare che violenze e stupri c’erano anche nelle società tradizionali, cioè nel mondo non ancora dissacrato e disincantato. «Credo che nella società tradizionale cose di questo genere fossero in realtà molto più rare, o comunque sintomatiche di particolari situazioni di disagio psichico. Le società tradizionali che ho conosciuto nella mia esistenza non erano poi così violente. In molte di queste la differenza sessuale era riconosciuta, onorata e molto ben organizzata. E in molte di esse, ad esempio in Oriente, esistono forme di rispetto verso l’altro che sono sempre collegate a regole religiose. Del resto il rispetto per l’altro dipende da un rispetto verso un’entità superiore: è da lì che viene la sacralità dell’essere umano». Il ministro Eugenia Roccella sostiene che la diffusione del porno online sia in parte responsabile di episodi come quello di Palermo. «C’entra certamente qualcosa, perché una delle mille manifestazioni del disordine attuale. Però non è da lì che il disordine nasce. E non è limitando quel fenomeno che possiamo veramente ricostruire un ordine. L’ordine passa da ciò che dicevo prima, cioè dal ritorno del rispetto per l’altro, che è legato, tra l’altro, al rispetto di sé. Dobbiamo uscire da questa visione di abbassamento generale, a cui certo anche la pornografia online dà il suo contributo». Potremmo dire che il problema non stia tanto nel porno in sé, quanto in una società che è essa stessa pornografica. «Mi rendo conto che sia una cosa terribile da dire, ma penso che sia effettivamente così. O almeno questa è l’impressione che si ricava dalla lettura quotidiana dei giornali. Dalle notizie e dal modo in cui vengono commentate. La sensazione è anche quella di vivere in un mondo molto vile, spesso privo del senso dell’onore, in cui ciascuno è pronto a attaccare l’altro non appena questo cade. È una società miserabile, questa, e mi sembra che questa impressione sia condivisa da molti dei pazienti che incontro. Molti mi sembrano disgustati da questa società». Al di là dei casi estremi come gli stupri, la sensazione è che ci sia stato un profondo cambiamento dei rapporti fra i sessi, erotici e sentimentali. «A me pare che ci sia una deriva pornografica che è anche profondamente anaffettiva. Faccio un esempio tratto da casi di cronaca. Abbiamo molto sentito parlare di questa droga dello stupro. L’utilizzo di questa sostanza fa sì che si abbiano rapporti con una persona che non è cosciente. Che significa? Che chi la utilizza sugli altri non vuole davvero vivere la sessualità, non vuole viverla consapevolmente assieme a un’altra persona. Mancano totalmente l’affetto e l’amore». Il rapporto sessuale si riduce a rapporto di potere. «Certo, è una questione di potere. Ma anche di impotenza, affettiva prima di tutto. È impotenza di amare l’altro. È una questione di debolezza, in fondo». La trasformazione del rapporto sessuale o affettivo in mero rapporto di potere è una idea fondamentalmente sadica. «Sì. Il marchese De Sade e le sue idee sono alla base della società attuale. Egli ha partecipato con importanti contributi all’immaginario della rivoluzione francese, e in qualche modo continua a partecipare alla creazione delle forme successive di questa società. Crudeltà contro affettività, negazione della regola come aspetto costruttivo e affermazione di una regola come pura forma di potere che prova eccitazione… La trasformazione di ogni rapporto in rapporto di potere è in fondo la storia della società occidentale dalla rivoluzione francese in poi».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)