2024-04-11
«Italia in debito con Viotti, genio nell’oblio»
Guido Rimonda (Photo Buat)
Guido Rimonda, il violinista che ha dedicato la carriera al visionario compositore piemontese, inaugurerà sabato una grande mostra a Vercelli: «Inventò l’inno francese e il concerto romantico. Ispirò Beethoven e lanciò Stradivari. Il mondo s’inchina, noi dimentichiamo».«Padre dell’inno nazionale francese, fondatore della Royal academy inglese e inventore dell’archetto per violino moderno». Sei lettere, inizia con la V di Vercelli. Altri indizi? «Compositore-esecutore italiano nato nel 1755, stimato da Haydn, Mozart, Beethoven e Brahms, ebbe tra i suoi allievi Kreutzer, Rode e Baillot». Chi si dovesse arrendere, nonostante questo curriculum leggendario, non se ne faccia una colpa perché Giovanni Battista Viotti è un vero e proprio gigante sprofondato nell’oblio. Della serie nemo propheta in patria, a scuola, nei Conservatori, in tv, sui giornali e nelle sale da concerto. Davanti all’ennesimo «Viotti chi?» c’è però chi si è ribellato e ha dedicato tutte le sue energie alla riscoperta del geniale artista di Fontanetto Po. Il suo nome è Guido Rimonda, classe 1969, violinista piemontese come il suo beniamino, a cui è stata dedicata la mostra «Viotti e Stradivari. La ricerca della perfezione» (sabato l’inaugurazione a Vercelli). Un duo delle meraviglie per gli amanti degli archi, che fino al 2 giugno potranno ammirare alcuni dei preziosissimi violini appartenuti al primo e costruiti dal secondo, uno dei quali per la prima volta esposto in Italia. A ripercorrere insieme al pubblico l’avventura umana e artistica di Viotti ci penserà l’attore Pierpaolo Spollon (Doc - Nelle tue mani), mentre per apprezzare le sue opere i concerti non mancheranno (anche nell’originale formula face to face, per un solo spettatore). Oltre allo stesso Rimonda si esibiranno Nikolaj Szeps-Znaider, Kerson Leong, Uto Ughi e il Quartetto Goldmund.Lei per Viotti ha una magnifica ossessione. Si dice che fin da ragazzino andasse alla ricerca di documenti e manoscritti del compositore, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della morte. Oggi, insieme a sua moglie, Cristina Canziani - anche lei musicista - sta restaurando la casa natale del maestro per farne un museo. Senza contare l’orchestra Camerata Ducale, fondata più di 30 anni fa sempre da voi due, le sue incisioni dell’opera omnia di Viotti per Decca, il Festival e la Fondazione che prendono il nome dell’artista. Ma cos’ha di tanto speciale Viotti? «Stiamo parlando di un riferimento assoluto del tardo Settecento. Un grande violinista, un virtuoso, un compositore visionario e un impresario, ma soprattutto un innovatore. L’arco moderno che viene adoperato oggi in tutto il mondo è opera sua, mentre quello precedente - come dice il nome - assomigliava proprio a un arco da caccia. E poi anticipò la forma romantica del concerto solistico».Rimaniamo per un momento sull’arco. «Viotti ebbe un’intuizione geniale. Ne modificò la curvatura e scelse un legno perfetto per i suoi scopi: il pernambuco, un materiale esotico che in Francia veniva utilizzato per colorare i tessuti. Grazie alla collaborazione con il liutaio parigino François Tourte nacque un nuovo arco, radicalmente diverso, anche nella lunghezza e nel peso. Fu una vera e propria rivoluzione che ebbe un grande impatto sulla musica per violino, violoncello e contrabbasso. Una scintilla che aprì le porte al Romanticismo».In che modo questa svolta tecnica incise così profondamente a livello artistico? «Il nuovo strumento liberò l’espressività degli esecutori perché offriva una tavolozza di colori molto più ricca, ma soprattutto aprì nuove prospettive ai compositori. La tenuta del suono permetteva infatti di costruire linee melodiche molto più ampie. Pensiamo a un capolavoro precedente come Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi: è tutto costruito su piccolissimi frammenti tematici. Viotti rispetto al Barocco fa un passo in avanti. Grazie alle sue frasi lunghe, che prima erano sostanzialmente impossibili da sostenere, riesce ad avvicinarsi al canto della voce umana. Non solo, in qualche modo “brevettò” tutti i colpi d’arco (détaché porté, traîné, elastique...), sistematizzando un metodo che per molto tempo rimase un punto di riferimento per i musicisti. Non a caso la bellezza del suono di Viotti divenne leggendaria».Lo riportano le cronache dell’epoca?«Certamente. Secondo il compositore francese Charles Dancla, Viotti da questo punto di vista era superiore a Niccolò Paganini, che era famoso invece per la sua elasticità. E non è un segreto che lo stesso Paganini considerasse Viotti un maestro. Le leggo cosa scrissero di lui i suoi allievi Rodolphe Kreutzer, Pierre Rode e Pierre Baillot: “Da troppo lungo tempo noi siamo privi di sentire i suoni espressivi di Viotti. Ne siamo stati talmente commossi che nulla potrà mai farceli dimenticare. La traccia non può essere fuggitiva, ella rimane per sempre nella memoria, come nel cuore”».Solo per aumentare il nostro senso di colpa per aver dimenticato questa figura prodigiosa come sperimentatore, esecutore e didatta, si potrebbe citare l’elogio di Johannes Brahms rivolto al Viotti compositore. Del suo concerto n. 22 disse: «È un pezzo magnifico, di mirabile libertà d’invenzione; sembra che sia improvvisato e invece è tutto magistralmente pensato e realizzato». «Mi ha sempre colpito l’evoluzione della corposa produzione, essenzialmente strumentale, di Viotti (29 concerti per violino, due per pianoforte, due sinfonie, oltre a duetti, trii quartetti e sonate...). Dai primi concerti solistici che avevano uno stile “galante”, secondo il gusto dell’epoca, arrivò ad anticipare e in qualche modo a definire la forma del concerto romantico, alla quale si rifarà lo stesso Ludwig van Beethoven. E se parliamo di riconoscimenti illustri, non si può non citare l’omaggio di Wolfgang Amadeus Mozart, che apprezzava il suo concerto n. 16 e lo orchestrò aggiungendo trombe e timpani».Ora, chi pensa di non conoscere nulla di Viotti può andare su Youtube ad ascoltare il suo Tema e variazioni in do maggiore (rb.gy/sxc2mq). Resterà sorpreso nell’udire La Marsigliese. La scoperta è sua e parte proprio da quei manoscritti che cercava da ragazzo. Ce la racconta?«Mio padre ovviamente conosceva bene la mia passione e, pur non essendo un musicista, mi fece un regalo speciale per i miei 18 anni: delle partiture appartenute a Giovanni Battista Viotti, che aveva trovato da un antiquario di Firenze. Per anni le ho tenute nel cassetto pensando che fossero delle semplici variazioni sulla Marsigliese, che probabilmente - immaginavo - il maestro aveva potuto ascoltare in Francia. Un giorno però il mio amico Gianluigi Marianini, noto dandy, famoso per aver trionfato a Lascia o raddoppia?, mi fece notare un dettaglio curioso».Quale?«La data indicata, 1781, era antecedente di 11 anni al momento in cui il militare transalpino Claude Joseph Rouget de Lisle si era intestato la paternità del brano (musica e parole), che sarebbe poi diventato l’inno nazionale francese. Anni dopo ho fatto esaminare il documento e l’analisi chimica ha confermato che l’inchiostro sul pentagramma è lo stesso che è stato utilizzato per la datazione. Confermando l’indicibile: non fu Viotti a ispirarsi a de Lisle, ma il contrario».A onor di cronaca, alcuni musicologi contestano le sue conclusioni. C’è chi sostiene di non aver potuto visionare il manoscritto e chi afferma che quella non sembra la mano del compositore vercellese. Lei cosa risponde?«L’originale è in mio possesso e posso farlo visionare a chiunque lo desideri. La verità è che nessuno me lo ha mai chiesto in tutti questi anni. E i dubbi sono stati sollevati solo sulla base di una fotografia dello spartito, pubblicata nel libretto di uno dei miei dischi. Il colmo è che, davanti a questo ritrovamento, c’è stata molta più serenità in Francia che in Italia».Cosa intende dire?«Il Memoriale della Marsigliese mi ha chiesto la partitura e l’orchestra filarmonica di Parigi ha inciso il Tema con variazioni per un documentario inviato a tutte le scuole francesi».Les Enfants de la patrie hanno ammesso quindi che il loro inno è made in Italy?«Non esageriamo. Hanno trovato una formula che salva capra e cavoli e spegne le polemiche, evitando che si crei un caso e se ne parli troppo» (ride).Di Francia abbiamo parlato abbondantemente. Resta da capire come abbia fatto un musicista di umili origini, partito da Fontanetto Po (Vercelli), a fondare l’attuale Royal academy di Londra. «Per spiegare quanto fosse avanti le cito un quadro. Intorno al 1783 Goya dipinge il compositore Luigi Boccherini alla corte dell’Infante di Spagna. Negli stessi anni Viotti costruisce a sue spese un teatro a Parigi, segnando il passaggio dall’artista al servizio dei reali al musicista imprenditore di sé stesso. A Londra si ritroverà dopo una fuga per ragioni politiche. E lì, ormai conosciuto come impresario, fonderà nel 1813, con l’amico Muzio Clementi, la Royal philharmonic society. Conosceva il mondo e sapeva come comportarsi, visto che da piccolo aveva studiato con il principe Alfonso Dal pozzo della Cisterna. Non solo, se non fosse per Viotti lo stesso Stradivari non sarebbe così conosciuto».Adesso non esageri.«È la verità. Ascoltando Viotti il mondo ha scoperto i violini di Antonio Stradivari, così come Paganini rese famoso Giuseppe Guarneri del Gesù. Sono gli scherzi del destino. Anche Paganini suonava uno Stradivari, ma lo perse al gioco. E così gli regalarono il famoso “Cannone”. Il resto è storia».Tirando le somme, come abbiamo fatto a perderci per strada un gigante come Viotti?«Esterofilia, moda, mancata valorizzazione del nostro patrimonio. Gli allievi di Conservatorio ancora oggi non hanno le trascrizioni dei suoi Concerti e non possono studiarli con un pianista. La strada è ancora lunga, ma di certo non mi fermo adesso...».
«Ci sono forze che cercano di dividerci, di ridefinire la nostra storia e di distruggere le nostre tradizioni condivise. La chiamano la cultura woke». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un video messaggio al gala 50esimo anniversario della National Italian American Foundation a Washington. "È un tentativo di cancellare la storia fondamentale degli italoamericani e di negare il loro posto speciale in questa nazione. Non glielo permetteremo. Il Columbus Day è qui per restare», ha aggiunto il presidente del Consiglio ringraziando Donald Trump per aver ripristinato quest'anno la celebrazione.
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L'amministratore delegato e direttore generale di Gruppo FS Stefano Antonio Donnarumma premiato a Washington
L’amministratore delegato del Gruppo FS Italiane ha ricevuto il Premio Dea Roma della National Italian American Foundation per il contributo alla modernizzazione delle infrastrutture di trasporto e alla crescita sostenibile del Paese.
La NIAF (National Italian American Foundation) ha conferito a Stefano Antonio Donnarumma, amministratore delegato e direttore generale del Gruppo FS Italiane, il Premio NIAF Dea Roma come leader nell’eccellenza ingegneristica per la crescita nazionale e l’infrastruttura sostenibile.
La cerimonia si è svolta sabato 18 ottobre 2025 durante il Gala del 50° Anniversario della NIAF, all’Hotel Washington Hilton di Washington D.C. negli Stati Uniti d’America. Il riconoscimento è stato assegnato per evidenziare il ruolo cruciale svolto da Donnarumma nella trasformazione e modernizzazione delle infrastrutture di trasporto italiane, con un forte impegno verso la sostenibilità e l’innovazione.
«È un vero onore ricevere questo premio che ho il piacere di dedicare a tutti gli italiani che creano valore sia nel nostro Paese che all’estero e diffondono principi volti a generare competenze specifiche nell’ambito dell’ingegneria, della tecnologia e dell’innovazione. Nel Gruppo FS Italiane abbiamo avviato quest’anno un Piano Strategico da 100 miliardi di euro di investimenti che rappresenta un motore fondamentale per la crescita e lo sviluppo del Paese». ha dichiarato Stefano Antonio Donnarumma.
Sotto la guida di Donnarumma, il Gruppo FS sta promuovendo importanti progressi nello sviluppo di linee ferroviarie ad Alta Velocità e nelle soluzioni di mobilità sostenibile, contribuendo a collegare le comunità italiane e a supportare gli obiettivi ambientali nazionali. Il Piano Strategico 2025-2029 include diversi interventi per migliorare la qualità del servizio ferroviario, costruire nuove linee ad alta velocità e dotare la rete del sistema ERTMS per garantire maggiore unione fra le diversi reti ferroviarie europee. Più di 60 miliardi è il valore degli investimenti destinati all'infrastruttura ferroviaria, con l'obiettivo di diventare leader nella mobilità e migliorare l’esperienza di viaggio. Questo comprende l’attivazione di nuove linee ad alta velocità per collegare aree non ancora servite, con l'obiettivo di aumentare del 30% le persone raggiunte dal sistema Alta Velocità. Sul fronte della sostenibilità, inoltre, il Gruppo FS - primo consumatore di energia elettrica del Paese con circa il 2% della domanda nazionale – si pone l’obiettivo di decarbonizzare i consumi energetici attraverso la produzione da fonti rinnovabili e l’installazione di oltre 1 GW di capacità rinnovabile entro il 2029, pari al 19% di tutti i consumi del Gruppo FS, e di circa 2 GW entro il 2034. Fondamentale è anche il presidio internazionale, con una previsione di crescita del volume passeggeri pari al 40%.
Il Gruppo FS ha infatti inserito lo sviluppo internazionale tra le sue priorità, destinando una quota significativa degli investimenti al rafforzamento della propria presenza oltre confine. L’obiettivo è consolidare il posizionamento del Gruppo in Europa, ormai percepita come un’estensione naturale del mercato domestico, e promuovere una rete ferroviaria sempre più integrata e in linea con i principi della mobilità sostenibile.
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