2024-02-05
«I vegani? Da me non c’è posto. E ai bambini cucino la trippa»
Giorgio Barchiesi, noto come Giorgione (Ansa)
Parla Giorgio Barchiesi, noto come Giorgione, l’oste (così si definisce) che spopola su Sky: «Basta paranoie a tavola: fritti e grassi ci vogliono. Ai miei clienti suono la chitarra e chiedo di spegnere il cellulare».Guanciale, salsiccia e speck. Spezzatino di manzo con patate al burro e lardellate. Zucca al forno, sì, ma ripiena di paccheri, salsiccia e scamorza. La cucina di Giorgio Barchiesi entra ed esce dai processi del web di puristi e cultori del politically correct ai fornelli. Dicono che insegni pratiche anti salutiste, ma lui è un fiume in piena nello spiegarti che è esattamente il contrario, e che il rischio della noia alimentare è la paranoia mentale. Origini romane, «naturalizzato umbro», nella sua vita precedente faceva il veterinario, e poi ha aperto un’osteria. È lì che lo ha scovato la tv, già personaggio ma poi diventato personaggio televisivo. La trasmissione Orto e cucina ha convinto una schiera di fan. Oggi conduce Caro Giorgione in onda il venerdì alle 21 su Gambero Rosso Channel su Sky.Guai a chiamarla chef. Questo me l’hanno detto, di non farla arrabbiare.«Ma mica mi arrabbio, e anzi ho tutto il rispetto per gli chef. Io, semplicemente, cucino. Sono un oste».In tv ma pure per parecchi convitati.«Ora i ristoranti sono due: c’è Alla via di mezzo, a Montefalco in provincia di Perugia, e poi Villa Selva, a Gualdo Cattaneo, che propone la stessa formula di menù ma in aggiunta ha anche le camere. L’ho aperto con i miei tre figli Giuseppe, Michele e Maria e nel fine settimana faccio la spola tra i due posti».Sul sito infatti c’è scritto che la sua presenza è sempre garantita dal venerdì alla domenica. Fa pensare che in tanti vogliano in primis vederla dal vivo, e poi pure mangiare i suoi piatti. «Quando vogliono vedere te forse vuol dire che qualcosa di buono hai fatto. E però questa cosa dell’essere diventato una sorta di fenomeno mediatico spesso mi interroga. Non tanto perché ho perso un po’ di privacy, quanto perché so che più si va in alto più si fa rumore cadendo».Teme di deludere?«Alla mia tavola non succede: ci si alza sempre dal tavolo a pancia piena e soddisfatti. Però c’è pure chi si stupisce: “Ma come, non ha il menù alla carta?”. Oppure c’è chi si immagina che cucino le stesse cose che preparo per la tv… ma c’è poco da fare, con me, sono sempre paziente e disinvolto ma si mangia quel che c’è, la formula è questa».Ovvero?«Innanzitutto c’è l’antipasto al buffet, ricco e variegato. Poi ci sono due primi, due secondi e due contorni. Lo dico appena la gente si siede, eh, a discapito di qualche fraintendimento. Se ci sono intolleranze ditelo subito o tacete per sempre».E i vegani?«Possono alzarsi e andare a mangiare altrove. Per i vegetariani una pasta al pomodoro la preparo. E poi aggiungo per tutti: vi porterò poco pane perché altrimenti “fa mappazza” e se le porzioni vi dovessero sembrare scarse chiedete e vi sarà dato».Dove ha imparato a cucinare?«Mia mamma era una pedagoga montessoriana, roba che alle sette e mezza i bambini dovevano andare a dormire. Però io sgattaiolavo in cucina, a osservare le tate che cucinavano. Ne ho avute tante, vengo da una famiglia borghese. Il mio ricordo preferito è quello della tata della Val Pusteria che stendeva l’impasto di sfoglia con i polsi e gli avambracci. Quella tata fu poi il mio mentore: aprì una pensione in montagna e io dai 17 anni ci andavo a lavorare di quando in quando in estate. La cucina per me era magia, il luogo dove gli ingredienti si trasformavano in cose buonissime».Lo è ancora?«Mi piace sopra a tutto la convivialità: a stare tutti insieme a tavola nascono amicizie. Mi ricorda le estati in campagna con la mia numerosa famiglia. Per le grandi occasioni - compleanni, anniversari… - capitava di essere in centinaia. Si cucinava anche tutta la notte, per 10 o 12 ore di seguito. Nel forno si metteva “u puorc” e il sugo bolliva nei bidoni. Si cantava, si suonava. Ancora oggi quando esco dalla cucina canto canzoni con la chitarra per i clienti».Ho letto che il suo cantante preferito è Francesco De Gregori.«L’unico che non canto, tanto rispetto che ho per la sua poesia».E cosa propone? «So suonare musica italiana. Battisti, Guccini, quel tipo di musica lì, che suonavo quando ero ragazzetto con la chitarra».I tempi della giornata ormai sono frenetici. Siamo ancora in grado di gustarci la convivialità?«Si sta perdendo il centro delle case, che è la cucina perché mette tutta la famiglia intorno al tavolo. Ma ormai fatichiamo persino a prepararci un piatto. E se pure si riesce a stare tutti riuniti si accende la televisione, senza più parlarsi e incrociare gli sguardi. Ogni tanto mi tocca dare uno sganassone sul tavolo anche al mio ristorante».Perché?«I ragazzi vengono e chattano, ciascuno sul suo telefono, pure se stanno in coppia. Dopo lo sganascione glielo dico, che occorre trovare uno sguardo, un odore, “fidatevi di un vecchio come me”».Lei con la moglie ci lavora. «Siamo insieme dal 1975 e si immagini quante vicissitudini negli anni possono esser successe. Il fatto è che lei è però al di sopra di ogni mia passione, non vedo la mia esistenza senza di lei».Le sue ricette non vanno d’accordo con le diete.«Per me, la dieta è una pausa di riflessione tra un pasto e l’altro».Che non coincide con il digiuno intermittente.«Ah no, brava, mica intendevo quello. Perché poi di diete se ne inventano una dopo l’altra e diventano persino una moda. Fiorisce l’industria degli integratori, a sostituire il cibo vero. E si moltiplicano le allergie e le intolleranze. Peccato che la noia alimentare - ne sono convinto - porti alla paranoia e bisogna starci attenti. Penso semplicemente che il cibo debba essere accattivante e buono. Importantissima è la materia prima di qualità».Costosa, oggi giorno. Se non ce la si può permettere?«Bisogna saper scegliere. Possiamo tirare su i figli a merendine perché non abbiamo voglia di proporre un pezzo di pane con burro e zucchero, o con olio e sale? O un pomodoro? Nel mio ristorante spesso facciamo una tavolata di soli bambini. E va a finire che si mangiano tutto mentre chiacchierano tra loro. Deve vedere le mamme, mi guardano con le lampare negli occhi: “Ma come, ha mangiato anche la trippa?”. E certo, signora mia, che l’ha mangiata. E di gusto».Il suo è un elogio del grasso?«I grassi sono demonizzati, ma possono far parte di una dieta bilanciata. Fino a poco tempo fa il male assoluto erano i fritti. Ora si sono svegliati che una volta a settimana è bene mangiarli perché si attiva il metabolismo. Tra un po’ ci vorrà il dietologo pure per il pranzo di Natale, ma vaff… Bisogna mangiare di tutto, altroché, con la massima attenzione al gusto e alla freschezza del prodotto».Quanto costa mangiare da lei?«Trentasei euro per tutto e zitti e buoni, bevande escluse».Non è caro, potrebbe chiedere di più?«Non sa quante volte mi han consigliato di alzare i prezzi. Diciassette anni fa facevo 15 euro, ora non riuscirei a starci dentro con i costi. Ma con quella cifra i conti sono fatti. È vero che sono 170 coperti, ma grazie alla formula fissa siamo ancora in 3 in cucina. Tovaglia di carta e nessuna ambizione, mica ci penso a diventare stellato».In tanti ristoratori si sono lamentati che i giovani non hanno voglia di lavorare. Lei come la pensa?«Guardi, io da sempre lavoro con i ragazzi e un po’ forse ho nelle orecchie quel che mi disse mia madre, che è morta che avevo solo 17 anni».Cosa le disse?«La cosa che mi ricordo perfettamente di mia mamma, oggi che ho 66 anni, è il giorno in cui ne avevo 14 e lei mi disse: “Giorgio, vai incontro alle cose con curiosità e non con diffidenza, soprattutto nei confronti delle diversità. Vai incontro alle cose con l’emozione che ti danno e non ci sarà diversità”. Qui nei dintorni mi conoscono, per come sono fatto, e così è capitato che mi mandassero a lavorare ragazzi complicati seguiti dai servizi sociali, o chi era sbarcato con un gommone ed era stato costretto a una vita di espedienti. Ho dato una chance a tutti».E come è andata?«Al 90% benissimo, ovvio non sempre. Un ragazzetto che è con me da quando aveva 18 anni era da galera, oggi è capocuoco. Ci vuole autorevolezza e non autorità. Spiego che c’è un disegno comune a cui dedicarsi. E poi se qualcuno si inventa una ricetta io sono contento di dire che è sua. Penso che troppo spesso pensiamo che i giovani debbano essere come li abbiamo in mente noi, e magari li sfruttiamo pure».
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