2025-05-26
Giordano Bruno Guerri: «Non è giusto finanziare tutti i film»
Giordano Bruno Guerri (Imagoeconomica)
Il presidente del Vittoriale (che annuncia: «Forse Di Caprio si sposerà qui») riflette sulla «supremazia» della sinistra: «È ovunque, dagli atenei ai teatri di provincia, un po’ per sopraffazione e un po’ per viltà».Giordano Bruno Guerri, storico presidente del Vittoriale, l’ultima sanguinosa polemica è sui danari pubblici al cinema.«Un enorme spreco di soldi. I produttori, prima di prendere qualsiasi decisione, dicono: “Vediamo quanto ci dà il ministero…”». Solo l’anno scorso 121 milioni: 261.000 euro a film. «Un’opera cinematografica o televisiva non va sempre assistita. Mi limiterei a sostenere quelle di interesse culturale e qualità».Produttori, registi e attori si lagnano: servono finanziamenti a pioggia.«Battente, come le passeggiatrici. Il sistema va certamente modificato. Bisogna trovare un criterio: non perfetto, ma almeno corretto».Esiste l’egemonia della sinistra?«Detesto questa parola: egemonia. L’abbiamo logorata. Usiamo un sinonimo: supremazia». Supremazia.«È indubbia. Dall’università ai teatri di provincia. È ovunque».Come la spiega?«In termini storiografici. La cultura di destra è rimasta annichilita dal ricordo del fascismo. Pensiamo alla parola patria. Nel Ventennio l’hanno usata talmente a sproposito da provocare il disgusto. Non s’è potuta più pronunciare». Nemmeno adesso.«Solo con parsimonia e sospetto».Torniamo alla cultura di destra.«S’è ristretta. Un po’ per viltà. Un po’ per sopraffazione. Un po’ per campare. E visto che la cultura è come la natura, ne hanno approfittato». Sfugge, per modestia di mezzi, la similitudine.«La cultura non tollera vuoti. Lo spazio è stato occupato dall’altra parte, che ora presidia gelosamente. Ma è già sbagliato definirla di destra o sinistra, alta o bassa. La cultura è cultura. Qualunque cosa le appiccichi sopra, finisci per sminuirla».L’attore Elio Germano, alfiere degli interpreti impegnati, dice: la colpa del decadimento è di Alessandro Giuli. «È stata una grave sgrammaticatura, totalmente fuori luogo. Non si può fare un attacco al governo mentre ti trovi al Quirinale per ritirare un premio. Roba da panzer. Geppi Cucciari, pur avendo detto cose grevi, almeno è stata più elegante». Il ministro della Cultura se l’è presa: «Alla sinistra restano solo i comici».«Perfino lui ha il diritto di incazzarsi. Comunque, inizialmente ha calcato la mano. Poi ha precisato meglio il suo pensiero, riportandolo entro i limiti della giusta critica. Non mi pare sia stato mai fatto a sinistra. Continuano a dire: “Ah, ci volete affamare”. Oppure: “Ah, ci volete togliere la libertà di espressione”».Anche lei sarebbe stato un valoroso ministro?«No, non lo sarei stato».Perché?«Mi piace moltissimo quello che faccio. Non c’è solo il Vittoriale, ma pure l’organizzazione dei musei del Garda. E pubblico libri da cui ricevo enormi gratificazioni. Se avessi fatto il ministro, non avrei più scritto una riga». Sia sincero.«Lo sono: mi avrebbe devastato la vita». Dicono di lei: è il più irregolare tra gli intellettuali di destra. «Altra parola che depreco: intellettuale. Detesto anche che mi chiamino dott. o prof.».Non si negano a nessuno.«Sono una diminutio. Io sono tale in quanto me».Teniamo irregolare, almeno?«Quello va benissimo». Di conseguenza, è stato assessore al Dissolvimento dell’ovvio a Soveria Mannelli, sulla Sila.«Il nome, chiaramente, lo imposi io». Come andò?«Durai ventotto giorni. Mi dimisi per eccesso di cene ufficiali». Rimarrà l’unico incarico politico?«Mai dire mai. La politica, del resto, è l’unica attività che non pone limiti di età».Senatore Giordano Bruno Guerri.«Basta che nessuno s’azzardi a chiamarmi onorevole».Intanto resta la vedova allegra di Gabriele D’Annunzio, che fece erigere il Vittoriale.«Mi definirei amante». Amante.«Lui è ancora vivo e lotta insieme a noi. Adesso sto addestrando il suo ologramma, che poi guiderà i visitatori». Ardito.«Due psicologi, sotto la mia guida, hanno cercato di dargli anche la sua personalità: ironica, giocosa, solenne. Parla pure con la stessa lingua, usando l’aulico. Se lo interroghi, come tutta l’intelligenza artificiale, cede però al politicamente corretto». È un ologramma woke.«Sto tentando di rieducarlo».In che modo?«Vado lì e gli urlo: “Stronzo!”».Cosa risponde?«“Ti prego di non usare con me questo linguaggio”».Lei ha fatto pure da Cicerone a Leonardo di Caprio.«La sua fidanzata è bresciana. Una bellissima modella. La prima volta sono capitati al Vittoriale per caso. Quando sono tornati, ho guidato io il gruppo. Lui s’era preparato. Ha fatto domande interessanti. La cosa più importante, però, è che siano venuti con le rispettive mamme».Sfugge anche questa.«Si ventila l’ipotesi che possano scegliere il Vittoriale per celebrare il loro matrimonio». Sarebbe clamoroso. «Ci spero».Altre recenti visite illustri?«Vannacci e Renzi. E poi Giuli: era da cinquant’anni che non veniva un ministro della Cultura a Gardone Riviera». Veniamo agli esiti editoriali. Il suo ultimo libro è Benito. Storia di un italiano.«Mi ha dato soddisfazioni inaspettate. Non solo è alla sesta edizione, ma nessuno gli ha sputato addosso: né a destra, né a sinistra. È piaciuto persino a insospettabili».Per esempio? «Travaglio. Ma soprattutto Benito è servito a smussare quest’idea ridicola del pericolo fascista». Rivendica altri meriti?«Ha fatto passare l’idea che gli italiani fossero mussoliniani. Il fascismo era una religione politica. E noi cattolici restiamo i fedeli della domenica». Il fascismo continua ad appassionare. «Intanto, resta un problema irrisolto. Non lo abbiamo affrontato nel dopoguerra. Dobbiamo ancora farci i conti. Poi, è la nostra unica epopea degli ultimi cento anni, sebbene sia negativa. Infine, c’è un motivo politico. La polemica si riaccende ogniqualvolta c’è un governo di centrodestra. Chi ne parlava all’epoca di Prodi o di Conte? Anche su questo, raccolgo ampie soddisfazioni: l’ultimo libro di Padellaro, per esempio, riprende il mio discorso sugli antifascisti».Rinominati neoantifascisti.«Quelli di una volta rischiavano la galera, il confino e la pelle. Quelli di oggi rischiano solo l’applauso. Anzi, vanno a cercarselo. È facile essere antifascisti adesso».Quasi imprescindibile.«Alla fine diventa controproducente: sia per la sinistra, che per la cultura woke. Significa allontanarsi dai problemi reali della gente. Nessuno si preoccupa per i ragazzi di Acca Larenzia e il loro braccio alzato».Anche la saga su Mussolini di Antonio Scurati, con relativa trasposizione televisiva, indirizza?«Verso una direzione deviante e sbagliata. Sia il libro che il film partono da una tesi precostituita per arrivare a una realtà costituita. Il racconto comincia nel 1919, quando Mussolini aveva già 36 anni. La storia non si fa così. Come si può capire un uomo, la sua personalità, le scelte politiche?».Corrado Augias l’ha provocata in televisione: «Lei si sente fascista?».«È un rito che si ripete, come il battesimo. Non potendo chiedere al neonato, il sacerdote domanda al padrino: “Rinunci a Satana?”. E lui: “Rinuncio”».Anche da Meloni si esige professione di antifascismo.«Le chiedono una manifestazione di fede. Ricorda gli anni Venti, quando obbligavano a ripetere: “Il Duce ha sempre ragione”. Lei non acconsentirà mai. È una donna estremamente forte. Per questo piace agli italiani, che vogliono qualcuno che gli tolga le castagne dal fuoco: Craxi, Berlusconi, Draghi. È una costante della nostra storia».L’ossessione finisce per favorirla?«Ma certo. Si fa credere ancora che ci sia il rischio del colpo di Stato e della marcia su Roma. Meloni vuole portare il Paese avanti, non certo indietro. Il vero pericolo oggi è telematico, internettiano. È il controllo della comunicazione, assieme alla Russia e allo strapotere economico cinese». Chiedono pure alla premier di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia.«Quello potrebbe farlo». È un suggerimento? «Una logica previsione. Si sta progressivamente staccando dal passato per guardare al futuro. Nel simbolo ci sarà sempre un tricolore, magari non a forma di fiamma».«D’Annunzio non ha nulla da invidiare a un qualunque Che Guevara» disse Meloni anni fa.«Sono due figure epiche. Del resto: grande poeta, drammaturgo, seduttore, innovatore. È stato un eroe unico. Ha conquistato Fiume come un condottiero. Ha concluso la sua vita facendo costruire un capolavoro, il Vittoriale, dove mi trovo in questo momento».Anche Giordano Bruno Guerri ha avuto una vita gaudente e dissoluta.«Perché dissoluta? Ho cercato solo di assecondare i piaceri. Sono un ex libertino, liberale, liberista, libertario». Anche marito e genitore.«Sposo e padre esemplare».Da direttore dell’Indipendente, mise sotto la testata il verso di un poeta gay, John Giorno: «Nessun cazzo è duro come la vita».«Mi attaccarono tutti. Qualcuno aveva scritto “cazzo” in prima pagina. Capirai. Solo Belpietro e Feltri mi difesero».Nonostante la sua redenzione, quell’aforisma vale ancora?«Rimane eterno».
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