2024-01-08
«Dal fossile non si esce. E sull’atomo mi aspetto un nuovo referendum»
Davide Tabarelli (Imagoeconomica)
L’esperto Davide Tabarelli: «Alla fine la Ue cancellerà il divieto di auto a benzina dal 2035. Non è etico vietare ai Paesi poveri l’uso del carbone».È passata qualche settimana dalla chiusura di Cop 28 e, come accade in questi tempi convulsi, la conferenza di Dubai che ha fatto un passo avanti e molti indietro – almeno per le aspettative di chi come la Commissione europea voleva l’abbandono definitivo dei combustibili fossili – è già andata in archivio. Non si capisce perché, se è vero che l’allarme sul clima è esiziale per l’umanità, vada a corrente alternata. Se ne accenna giusto per le previsioni del tempo che registrano temperature più alte, ma che rientrano secondo molti esperti nelle anomalie «ordinarie» delle stagioni (non è un ossimoro: pare che con la meteorologia vada proprio così: c’è una normalità dell’eccezione) o quando quelli di Ultima Generazione imbrattano qualche monumento, interrompono i concerti o bloccano il traffico e lì rischiano di essere maltrattati. Eppure la faccenda energia, clima, ambiente è seria ed ha importantissimi risvolti economici. A Dubai hanno sancito in sostanza che si dovranno abbandonare (di là da venire) i combustibili fossili, ma con una «transizione ordinata, giusta ed equa anche per i Paesi produttori». Come dire salvate pure l’ambiente, ma non toccate i nostri pozzi. E allora per capire cosa è successo veramente, oltre i pregiudizi e le prese di posizione ideologiche, conviene bussare dall’uomo che di energia se ne intende davvero: il professor Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. Con lui proviamo a fronte freddo a capire cosa è cambiato, se è cambiato, con la conferenza di Dubai e quali sono i veri risultati del summit. La Cop 28 si è sostanzialmente risolta in un rinvio sine die, un mezzo fallimento. Secondo lei, professore, quali sono le ragioni. I Paesi produttori hanno voluto dare un segnale politico all’Occidente?«Non è un fallimento in realtà; non è nulla, perché se si crede di risolvere i problemi con i buoni auspici allora non si capisce l’entità delle difficoltà. I Paesi produttori di petrolio fanno tantissimi soldi e se lo possono permettere di provare ad investire in qualcosa di diverso dai fossili e, magari, ci guadagna anche l’ambiente». Forse è un caso, ma il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov in concomitanza con la conferenza di Dubai ha detto: l’Occidente ha comandato per 500 anni, ora è finita. La Russia aveva già con Putin ad Abu Dhabi fatto intendere che vuole mettersi alla testa dei Paesi produttori. A questo punto la faccenda da energetica diventa diplomatica?«Vale in un senso o nell’altro l’inconsistenza della diplomazia climatica. Non cambiano molto le cose, il potere dei fossili è enorme e questo crea delle dipendenze per i Paesi produttori, come la Russia o l’Arabia Saudita, che soffrono della dannazione delle risorse, in particolare da petrolio. Noi siamo dipendenti dalle importazioni di fossili, che causano le emissioni, ma loro sono messi peggio, dipendono di più dalle entrate da esportazioni». Non c’è un eccesso d’ingenuità nel pensare che facendo una conferenza sul clima a Dubai si possa arrivare a dichiarare la fine del petrolio?«Sì certo, è ingenuo, ma lo è stato anche con la prima Cop del 1995 di Berlino, con la nona di Milano, con quella dell’anno scorso in Egitto. Dalla prima le emissioni di CO2 sono salite di quasi un terzo, perché crescono i consumi di energia e questi si affidano ai fossili per l’80%».Questo eccesso d’ingenuità non rivela che gli allarmi sul cambiamento climatico sono in buona sostanza lanciati da chi ha interesse a sostituirsi ai produttori di fossili?«Gli allarmi danno un po’ più di concretezza alle aspirazioni ingenue. Tuttavia, chi ha vero interesse, quello immediato, sono i Paesi poveri, che chiedono 100 miliardi di dollari all’anno come danni e in sostanza, se il cambiamento climatico da uomo è vero, allora hanno ragione, l’abbiamo causato noi ricchi».La lobby green esce sconfitta?«No no, è molto forte e viva. Il trend non si inverte, magari ci sarà maggiore realismo, ma non si torna indietro. Cercheremo sempre di più di ridurre la dipendenza da fossili, ma con risultati marginali, perché la fisica non la possiamo cambiare. Pensi che le rinnovabili nuove, sole e vento, a livello globale, dopo 50 anni di sforzi, contano per il 2% del totale». Escludere l’addio al fossile, almeno in tempi brevi, significa che le politiche europee (auto elettriche, case col cappotto, guerra alla zootecnia per dirne alcune) vanno fuori gioco e mettono l’Europa fuori gioco nel contesto economico?«Noi europei, con le politiche solo verdi, stiamo pagando l’energia troppo rispetto al resto del mondo e questo aiuta la deindustrializzazione. Poi si spinge anche sull’efficienza e sul risparmio, ma è difficile stabilire il confine con l’impoverimento». Ora più che mai, pensando alle auto elettriche e non solo, l’opzione di una sola tecnologia - tutto elettrico - sembra sbagliata. Secondo lei ci sarà un ripensamento in Europa? «Credo che le democrazie europee funzionino e avremo modo di rivedere alcune politiche troppo spinte. L’auto elettrica continuerà a crescere, auguriamole grande successo, ma non possiamo vietare il motore tradizionale, è una questione di libertà, una questione di democrazia, pertanto verrà rivisto il divieto del 2035». Lei ha sempre sostenuto che la transizione non poteva avvenire cancellando i fossili e che comunque gas e petrolio per la trazione non sono sostituibili e che anzi sono la forma di energia più democratica. Bisogna tornare un po’ indietro cioè accettare la propulsione fossile per andare un po’ più avanti ricalibrando la transizione? «Credo, purtroppo, che nemmeno nel lungo termine riusciremo a farne a meno, ma spero di sbagliarmi. Sono proprio i poveri che hanno bisogno di energia a basso costo, facilmente trasportabile, stoccabile. Sono i fossili che soddisfano queste esigenze. Trovo eticamente indegno che si vieti agli africani, in nome dell’ambiente, di costruire centrali a carbone, quando non hanno l’elettricità per l’acqua potabile o per il frigo dove conservare i vaccini. Consuma più un frigo in California in un anno che un africano subsahariano; questa la frase ad effetto che circola in rete da mesi».Si apre una nuova era verso il nucleare? Dobbiamo accelerare la ricerca in quel campo? E l’Italia che rinunciò all’atomo per referendum che dovrebbe fare? «Ricordarsi che è il Paese di Enrico Fermi e, mi permetta l’iperbole, di Galileo Galilei. Senza nucleare non si può ridurre la dipendenza da fossili. Dobbiamo fare ricerca, pensare alla fusione, a reattori piccoli di nuova generazione, ma anche a quelli già esistenti, simili, ma più moderni, ai 56 che sono in funzione in Francia. Prima di tutto occorre fare il deposito per le scorie, che stiamo aspettando da oltre 30 anni. Poi prepariamoci al prossimo referendum».Di petrolio e di gas ce n’è ancora abbastanza?«Tantissimo, caso mai il problema è fare investimenti per tirarli fuori da sottoterra, perché l’Occidente, su pressione dell’ambientalismo, non li fa e così rafforza il potere delle autocrazie dei fossili. L’Italia è un ottimo esempio, importa il 90% del petrolio e del gas che consuma, pur avendone tantissimo sottoterra». A questo punto tutti gli studi sul clima che vanno in un’unica direzione devono essere ripensati? Gli va data una maggiore autorevolezza sottoponendoli magari anche a critica, cosa che fino a qualche settimana fa sembrava un’eresia? «In realtà a Dubai è stato riaffermato che non esistono dubbi sull’origine antropica del cambiamento, perché di ricerca, nel nuovo accordo, si parla soprattutto per come correggere il fenomeno. Invece la complessità è enorme e di certezze assolute non ne vedo, come molti scienziati, al di fuori del circuito Onu, hanno da sempre sottolineato».
Volodymyr Zelensky (Ansa)