2018-04-29
«La letteratura, la mia arma contro il male»
Antonio Moresco è uno tra i più incendiari autori italiani, i suoi romanzi estremi dividono la critica: «Nella mia vita la scrittura ha avuto un potere salvifico. Ho collezionato 15 anni di rifiuti. Contesto le regole di Italo Calvino e Alessandro Baricco, che elevano la propria misura a teoria generale».Colpisce il tono di voce. Pacato, quasi dimesso. E poi lo sguardo affabile, tra i capelli e la barba bianca. Antonio Moresco, 70 anni, mantovano di nascita e milanese d'adozione, mi accoglie nel sottotetto che gli fa da studio in Porta Romana. Un posto semplice, scaffali di libri e una scrivania con vista alberata, dove si ritira, eremita della parola. Uno tra i più irriducibili e incendiari scrittori italiani, autore di romanzi estremi che hanno diviso la critica tra bluff assoluto e superamento di Dostoevskij, nonché di saggi contro l'intero sistema editoriale, ha una voce e una gentilezza inusuali. Zero sussiego e zero narcisismo. Questo tono calmo fonde anni di seminario, dislessia, ripetute bocciature scolastiche, militanza nell'estrema sinistra al confine con la lotta armata, lavori come facchino e operaio d'altoforno, 15 anni di rifiuti prima dell'esordio, quarantacinquenne. I suoi lavori sono più apprezzati all'estero che in ItaliaL'ultimo libro, L'adorazione e la lotta (Mondadori), è un atto d'amore per la letteratura e un atto d'accusa per la casta degli intellettuali?«È un atto d'amore per la letteratura come la intendo io più che per la sua idea corrente».Che sarebbe?«Un'idea al ribasso. Che non contempla quel carattere d'invenzione, di rottura e di profezia che ha sempre accompagnato la letteratura e che è ciò che me la fa amare. Di conseguenza, il mio è anche un atto di lotta nei confronti di chi, in particolare dalla seconda metà del Novecento, vuol portare giù le cose, teorizzando che è impossibile volare alto».I suoi scritti sono stati a lungo respinti. Aver denunciato i «gruppi d'intellettuali canonizzatori, schematizzati e ideologici» è una rivalsa?«È un'esperienza che ho vissuto sulla mia pelle. Non ci sono arrivato con il cervello, ma con altre parti del corpo. Questo dovrebbe aggiungere e non togliere verità a un'affermazione».Che cosa accade in uno scrittore quando patisce tanti rifiuti?«È stata una via crucis di 15 anni. Ma la mia dedizione alla letteratura era così forte che, pur soffrendo, resistevo; come uno che prende un sacco di cazzotti, ma non va per terra. Non mi passava nemmeno per la testa di gettare la spugna. I verdetti dei sacerdoti canonizzatori hanno rafforzato la mia vocazione».La sua predilezione è per i classici e per certi libri rimossi. Qual è il criterio, se ce n'è uno?«Le preferenze sono istintive, ma gli scrittori e i poeti che amo sono persone che fronteggiano il mondo e il male del mondo. Leopardi, Cervantes, Tolstoi, Dostoevskij, Balzac, Melville, Kafka, Celine non hanno paura di prendere di petto le cose che contano. Sono autori sonnambulici, perché attingono anche a risorse sotterranee, che permettono loro di vedere la parte in ombra, il buio».In Apologia del rischio, Ferruccio Parazzoli sostiene che la narrativa italiana è priva di disperazione, grido, verticalità. Lei è una delle poche eccezioni?«Mi ha fatto molto arrabbiare il libro di Ferruccio, un amico che stimo. Non si può generalizzare così. Abramo chiese a Dio di non bruciare Sodoma per salvare i pochi giusti superstiti. All'inizio dei Fratelli Karamazov Fëdor Dostoevskij scrive che non sempre lo stravagante è espressione di idiosincrasia, può succedere che proprio in lui ci sia il midollo dell'universo. L'eccezione non conferma la regola, nega la regola. So cos'è stata la mia vita. Ho scritto Lettere a nessuno e sono stato emarginato. Ho pubblicato con gli editori più importanti libri di migliaia di pagine. Il buon Ferruccio li ha letti, non si può fare un insieme matematico, quando c'è un caso che lo nega».Altra polemica, con Antonin Artaud, un totem di una certa cultura. Anche il superamento della parola può diventare ideologia?«A un certo punto si decide che la parola non va più bene e che solo il gesto è misura di verità. Ma perché? Chi l'ha deciso? Non mi piacciono le generalizzazioni: Artaud e i suoi seguaci hanno lavorato per il re di Prussia e oggi dominano la pompa, lo spettacolo, la pubblicità. Io cerco di difendere la parola carica di verità e di pensiero».Il cristianesimo, dove la parola si fa carne, attraversa l'equivoco.«Infatti, a me interessa la parola consustanziata, transustanziata. Può venire dall'alto o dal basso, ma quando la si trova, la si riconosce, anche se si è lontani. Per questo difendo la parola da chi lavora per schemi. Tipo: oggi non si può più fare arte, c'è solo il gesto, la letteratura è finita».Si ribella anche ai canoni di Italo Calvino, altro totem.«Quando ho criticato le Lezioni americane sono stato messo nel banco dei cattivi. Se le regole di eccellenza sono leggerezza e brevità facciamo fuori il 90% della letteratura mondiale. La Divina Commedia, I fratelli Karamazov, Don Chisciotte, Guerra e pace erano brevi e leggeri?». Dipinge Georges Simenon come un prodotto del marketing.«Premessa: ho letto decine di libri di Simenon, con e senza Maigret. È un ottimo scrittore, che ha inventato un investigatore simpatico, che si fa voler bene. Ma non ci dà niente di più di quello che già siamo. Io penso che la letteratura debba portarci nell'ignoto».Critica anche Baricco quando dice che non c'è più spazio per la vera letteratura.«Anche qui, nulla contro Baricco. L'ho visto anche di recente... Contesto quando dice che la letteratura non può più essere ciò che è stata in passato. Come Calvino, vuole elevare la propria misura a teoria generale».Forse era un discorso di mercato.«Certo, l'economia è il dio moderno. In passato solo Charles Dickens, Victor Hugo e Lev Tolstoi hanno fatto buoni numeri. Per il resto, da Kafka a Dostoevskij, da Virginia Woolf a Faulkner poche centinaia o forse qualche migliaio di copie. Poi gli editori ci hanno guadagnato per secoli. I frati che vergavano i codici miniati e hanno avuto una funzione per l'intera umanità quante copie vendevano?».Oggi uno scrittore non riesce a garantirsi l'autosufficienza.«Senza la pensione di mia moglie non ce la faremmo. Ma per questo non mi metto a scrivere cose diverse. Ognuno fa le proprie scelte».Attribuisce alla letteratura un potere salvifico?«Nella mia vita l'ha avuto. Non mi ha salvato da tutte le disperazioni e i mali, ma mi ha fornito le armi per combatterli. Mi ha fatto conoscere dei fratelli. È una fiamma che, se l'accosti a un'altra, diventa un fuoco».Cos'è accaduto negli anni in cui era «in fondo al pozzo»?«Avevo smarrito ogni strada. Non ho mai avuto vita facile. A livello scolastico ho subito continue bocciature, non ho fatto l'università. Oggi si direbbe che sono dislessico; all'epoca si diceva che ero un cretino. Dai 20 ai 30 anni ho svolto lavori di fatica, sulla carta d'identità c'era scritto operaio, mi sono buttato nella lotta politica e pensavo che quella sarebbe stata la mia vita. Poi la scrittura mi ha aiutato a trasfigurare questa disperazione».La scintilla ha appiccato la fiamma?«A Verona vivevo nelle case occupate, facevo l'operaio alla Cirio di Villafranca, ci andavo in Vespa, turni settimanali di 12 ore di giorno e 12 di notte. La macchina con la quale lavoravo mi stava portando alla sordità. In un'edicola acquistai Lord Jim di Joseph Conrad e provai a ricominciare a leggere, senza riuscirci. Quando lo ripresi in mano, mi accorsi che l'avevo abbandonato nel punto in cui Lord Jim uccide il suo nemico nella jungla e, in quel momento, rivede la farfalla pregiata che insegue da tempo. È una metafora della mia ricerca dell'assoluto, per citare Balzac».Abbandonò l'estrema sinistra?«In quell'esperienza mi ero buttato senza risparmiarmi. Ho percorso fino in fondo il sogno della palingenesi attraverso un'ingegneria sociale».Cosa significa fino in fondo?«Ho vissuto con la povera gente, di città in città, ho avuto numerose denunce, fatto una breve esperienza carceraria. Ho rasentato certe situazioni senza entrarci, non per merito mio. Qualcuno mi ha tenuto una mano sulla testa».Poi è tornato a Milano?«In un monolocale a Lambrate. Ho cominciato a scrivere Clandestinità, il primo libro. Ma siccome mia moglie e mia figlia piccola dovevano dormire, mi spostavo con il tavolino nel gabinetto. Non ho vergogna a dire che come scrittore sono nato in un cesso. Anzi, è motivo di orgoglio».Scriveva a macchina.«A mano. Poi correggevo e battevo a macchina. Da qualche anno, ho iniziato a usare il computer. Ma tuttora non sono collegato a internet».Però è uno dei fondatori di Nazione indiana, e Primo amore, due importanti siti letterari.«È un bel paradosso. Ho solo lanciato idee a persone più brave di me». Ho trovato in Rete un articolo che dice: «L'insospettabile Antonio Moresco, finalmente uno scrittore di destra». Che effetto le fa?«Le semplificazioni sono comiche. La motivazione sarebbe che il male preesiste al bene. Se ne parla anche nell'Ecclesiaste, nel Libro di Giobbe, in Moby Dick. E allora? Sono stato violentemente attaccato con questi parametri. Le favole, la letteratura sacra e la musica sono di destra o di sinistra?». Scrive che «la cultura in questi anni non è migliore della politica, nonostante si creda tale».«La politica è un parafulmine. Pensare che il male sia solo lì è un'idea consolatoria. Il male attraversa la società in tutti i suoi aspetti, cultura compresa. Dove ci sono le stesse cricche e gli stessi settarismi che popolano la politica. La politica è il grande capro espiatorio, con il quale mi viene istintivo solidarizzare». Un libro di 400 pagine che è un atto d'amore verso la letteratura si chiude con un elogio di Teresa d'Avila.«Nella storia del cristianesimo gli uomini sono stati padri della Chiesa, le donne mistiche. Cioè: gli uomini ritengono che si acceda a Dio attraverso la dottrina, le donne che vi si acceda direttamente. Io provo più simpatia per le mistiche come Teresa d'Avila e Teresa di Lisieux. Non ho studiato, ma sono diventato scrittore ugualmente, senza passare per la dottrina e le consorterie dei sacerdoti».
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)