2021-04-20
«Vi porterò nello spazio a vedere il basket»
Andrea Iervolino@V.Zunino Celotto/Getty Images
Il produttore Andrea Iervolino: «In collaborazione con Nba lanceremo nel 2023 il primo evento sportivo extra terrestre. Quando i biglietti dalla Terra non costeranno più 250.000 dollari l'uno, saliremo su un razzo come oggi si sale su un aereo. E la mia Space 11 farà film e tv in orbita».Il cinema, nello spazio. Quando Andrea Iervolino, la prima volta, ha pensato di portare lo spettacolo oltre i confini della Terra, Elon Musk e quel suo progetto di un film con Tom Cruise, ancora, non erano nell'aria. «Sono quasi due anni», ci racconta il produttore italo-canadese, fondatore nel 2011 della Iervolino Entertainment Spa, «che, nel tempo libero, mi dedico a sviluppare una proprietà intellettuale atta a produrre contenuti nello spazio. Nel tempo, ho studiato diversi format: eventi dal vivo, competizioni sportive, contenuti televisivi e cinematografici», cui solo nell'aprile 2021 ha voluto dare una qualche forma di (pubblica) concretezza. Andrea Iervolino, nato a Cassino, nel Lazio, nel 1987, ha annunciato la scorsa settimana la nascita di una nuova impresa, denominata Space 11. «Da imprenditore e persona da tempo impegnata nello spettacolo, mi sono riproposto di fondare la prima società che si occupi, specificatamente, di produrre entertainment nello spazio». Obiettivo, questo, nato - soprattutto - dall'analisi attenta della società presente e delle sue necessità future.Quando ha capito di voler portare il suo mestiere, la produzione, oltre la Terra? «Viviamo un'epoca di gran fermento. Elon Musk si è riproposto di colonizzare Marte. Un giapponese, Yusaku Maezawa, con Musk, ha dato il via alla costruzione di un razzo che possa portare otto artisti a compiere un viaggio attorno alla Luna. Alberghi sono stati annunciati, spedizioni turistiche. Come può, un mondo che va verso lo spazio, non avere bisogno di spettacolo?». Pensa che l'intrattenimento sia un'esigenza dei futuri viaggiatori dello spazio? «Sì. Quando i biglietti per lasciare la Terra non costeranno più 250.000 dollari l'uno, quando lo spazio sarà accessibile alle masse e ci si imbarcherà su un razzo con la stessa naturalezza con la quale, oggi, si sale su un aereo, le persone avranno bisogno di spettacolo. C'è un mercato che va delineandosi, parallelo a quello che si creerà quando porteremo sulla Terra un intrattenimento prodotto in orbita». Per avere accesso ai viaggi spaziali è necessario possedere determinati requisiti fisici. Da imprenditore, non trova limitante dover lavorare solo con una categoria di persone? «Non tutti gli attori o gli sportivi potranno viaggiare oltre i confini della Terra. Non possiamo essere tutti piloti di Formula 1 o calciatori. Non, almeno, finché la tecnologia non saprà compensare la mancanza di certi requisiti fisici». Perché non ha reso pubblico Space 11 due anni fa, quando cominciò a lavorare all'idea? «Allora, il mondo era diverso. Io non so nulla di fisica o di spazio. Mi sono affidato a professionisti del settore: esperti di scienza, osservatori spaziali, tecnici. Nella mia squadra, ho quale ex impiegato di Space-X. Oggi, queste figure mi hanno detto che il mondo è pronto a sostenere, a livello tecnologico, produzioni di questo tipo». Di che produzioni si parla? «Il primo format, che annunceremo ufficialmente fra una decina di giorni, con l'idea di renderlo fruibile dalla prima metà del 2023, sarà una produzione tv legata ad un evento sportivo nello spazio. Non posso dire molto, lo faremo con Nba a tempo debito». Quali requisiti devono avere i vostri protagonisti? «Per andare nello spazio e lavorare senza la forza di gravità, attori, tecnici e sportivi devono sottoporsi a determinati test, volti a capire se abbiano la resistenza fisica per affrontare un viaggio del genere. Posso farle un esempio banale?». Prego. «Ha presente il senso di vuoto che si prova in aereo, quando il mezzo perde quota? Ecco, gli astronauti che lavorano insieme a noi mi hanno detto di tenere a mente quella sensazione allo stomaco, perché nello spazio non è dovuta ad un vuoto d'aria, è costante. Non tutti riuscirebbero a sopportarla in eterno». Pare una strada piena di ostacoli, insomma. «Il processo produttivo non è diverso da quello tradizionale: bisogna avere l'idea di un format, un budget e un progetto, poi fare una prevendita dei diritti di produzione. C'è, certo, l'ostacolo rappresentato dall'impiego di nuove tecnologie, ma si tratta di mezzi diversi che tendono allo stesso obiettivo di sempre». Quanto mostrerete del processo di selezione? «I primi format saranno girati tra la Terra e lo spazio. Le prove fisiche cui sottoporremo i nostri protagonisti faranno parte dello show, e sarà chiaro come non tutti possano avervi accesso». Costi. Quali differenze comporta una produzione terrestre e una spaziale? «Non posso parlare di cifre, siamo anche una società pubblica. I diritti tv e di sponsor di un evento di questo tipo sono sostenibili, se si paragona la vendibilità di questi diritti ad altri format o manifestazioni sportive di primato nel mondo. Finanziariamente, è fattibile». Variety l'ha annoverata fra i quindici produttori più influenti di Hollywood. Chi, tra i big d'America, si è detto pronto a partire? «Quel che posso dire è che il mondo sarà impressionato quando annunceremo i protagonisti della prima manifestazione. Come non esserlo? Quando si ha la sicurezza della parte tecnologica, si ha la voglia di partire. Dobbiamo guardare ad un futuro in cui i razzi siano i nuovi aerei. Questo insegue la mia idea, il futuro, e la consapevolezza di come non ci sia vita senza spettacolo». Qual è, oggi, il futuro del cinema tradizionale? «Il cinema come sala non morirà mai. Cambierà. Negli Stati Uniti, le sale tradizionali sono semi-vuote. Le sale super lusso, dove un biglietto costa 30 dollari, sono sempre piene. Il cinema non ha un problema di costo, ma di esperienza. Lo spettatore vuole quel che a casa non può avere: una poltrona comoda, un cameriere che gli porti da mangiare e da bere, la possibilità di condividere le proprie emozioni. Così, la sala continuerà ad esistere, come esperienza sofisticata». E, quindi, complementare allo streaming. «Certo. Quel che ho imparato è che, se uno spettatore vuole vedere un film al cinema, va al cinema. Ci va pur sapendo che la pirateria è un fenomeno esistente e diffuso. Ciononostante, gli Avengers, Batman, i film evento escono in sala e fanno i miliardi. Questo, perché esistono film adatti alla sala e film che non lo sono». La Iervolino Entertainment Spa è un'eccellenza italiana che esporta nel mondo. Come? «Il modo in cui noi facciamo film è diverso dal modo in cui si fanno film in Italia. Quando approcciamo una storia, cerchiamo di elevarla all'universale, senza che abbia una specifica connotazione in un territorio. In questo modo, la si può vedere ovunque. Infatti, il 93-98% di quel che i nostri film incassano deriva dal mercato internazionale. In Italia, produrre film per il pubblico italiano, significa dar loro una dimensione culturale italiana». Il cinema italiano ha un problema di provincialismo? «Non credo. Vedo l'Italia molto migliorata da questo punto di vista, anche grazie ai decreti che sono stati fatti. Siamo il Paese più bello del mondo, abbiamo i migliori tecnici del settore cinematografico: costumisti, production designer, truccatori. Siamo un Paese che è pronto a tornare leader nella produzione mondiale».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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