2024-08-12
«Il Cio ha sottovalutato l’incolumità delle atlete. Adesso regole chiare»
Il ministro Andrea Abodi: «Gli arbitri hanno commesso errori gravi contro di noi, spero non per motivi personali. Senna non adatta per nuotare».«Contro l’Italia errori arbitrali da matita blu, spero che dietro non ci siano anche questioni personali». Il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi, ripercorre con La Verità il cammino di questi Giochi olimpici segnati dalle polemiche. «La Senna? Quel fiume non è adatto per nuotare. Il match Carini-Khelif? L’inclusività è importante, ma anche l’equa competizione e la tutela della salute degli atleti negli sport di contatto». Lo scontro sulle questioni di genere? «Non basta il passaporto, serve una commissione scientifica che fornisca gli strumenti per scrivere regole chiare. Con tutto il rispetto, mi riesce difficile immaginare in ambito sportivo generi diversi, al di là del maschile e femminile».Ministro, tra una bufera e l’altra, come si è difesa la squadra azzurra a Parigi?«Egregiamente, da tanti punti di vista. Le medaglie sono un motivo di orgoglio, accrescono la reputazione di un Paese, non solo nella dimensione sportiva. Rappresentano anche uno strumento formidabile per promuovere lo sport e i suoi valori. Ma in questi Giochi i nostri atleti vantano anche una medaglia “speciale”: quella della funzione educativa contenuta nei loro messaggi. Hanno trasmesso il senso della vittoria che è una tappa di transito di un percorso, oppure il significato di un obiettivo mancato come lezione di vita».Però dobbiamo fare i conti con arbitraggi piuttosto ostili, e diversi atleti si sono lamentati. Esiste forse un pregiudizio anti-italiano in queste Olimpiadi, dopo il ritiro di Angela Carini dal ring?«Contro di noi, sono stati commessi errori da matita blu. Nel pugilato, nella scherma, nel judo, nella pallanuoto. Non credo ai pregiudizi nello sport, tanto più nei confronti dell’Italia. Salvo prova contraria».Appunto. Come si spiegano certi svarioni? Non è sfiorato dal sospetto di malafede?«Dai nostri atleti e atlete abbiamo ascoltato parole nobili e confortanti anche di fronte a errori evidenti, che qualificano il loro talento sportivo, trasferito nella vita quotidiana. Tuttavia, restano i dubbi sulle decisioni di chi è chiamato a giudicare, nella speranza che dietro non ci siano questioni “personali”. Rivedendo, ad esempio, le immagini di Italia-Ungheria di pallanuoto maschile, questi dubbi non solo si confermano, ma diventano certezze. D’altro canto, il modello perfetto non esiste, ma nemmeno possiamo rassegnarci all’imperfezione, soprattutto quando l’errore è grossolano e palese».Lei era presente durante il match Carini-Khelif?«Sì, e quando si è fermata sono rimasto disorientato. Ho visto salire Angela sul ring col piglio giusto e lo sguardo deciso, e vederla piangere dopo pochi secondi mi ha spiazzato. Dopo il match siamo stati insieme un bel po’, ho voluto comprendere il suo stato d’animo. Nonostante la sua esperienza, mi ha confidato di aver percepito nei colpi dell’avversaria una violenza che ha definito devastante, alla quale non era abituata».Il Cio ha detto semplicemente che Khelif è una donna, e merita rispetto.«Khelif ha vinto la medaglia d’oro e merita rispetto, ma lo meritavano anche le sue avversarie. Il Cio ha parlato di inclusività, sottovalutando totalmente un altro principio che ritengo prioritario: quello della sicurezza negli sport di contatto, legato alla tutela della salute degli atleti e delle atlete. Inoltre, occorre tutelare anche il principio dell’equa competizione».Non può bastare il passaporto per avere certezze sul genere degli atleti...«È così, il passaporto non dice tutto definitivamente. E aggiungo che in casi delicati come questi bisogna saper chiedere un supporto alla scienza, che vada al di là della burocrazia del passaporto. Lo dico nel rispetto di tutte le atlete in gara. Spiace, invece, che su questa vicenda le divisioni politiche abbiano preso il sopravvento anche nel terreno olimpico».Immagina, per gli eventi futuri, una commissione di esperti scientifici, per riscrivere le regole?«È quello che si augurano in molti. Soprattutto quando il confronto sportivo si basa sul contatto fisico tra gli atleti, è doveroso andare in profondità e porre regole chiare, uniformate a livello internazionale. E per questo dobbiamo affidarci alla scienza, chiederle un supporto in chiave interpretativa per dirimere certe controversie. Lo abbiamo fatto in occasione della pandemia, non possiamo non farlo per lo sport a più alto livello, a partire dalle Olimpiadi».Il premier Meloni ha detto che «atleti con caratteristiche maschili non possono essere ammessi in gare femminili». Ammette che alcuni atleti potranno essere esclusi dalle competizioni, nel nome dell’equità?«È un rischio che si corre. A prescindere dall’identità di genere, tutti hanno diritto di fare sport e seguire liberamente le proprie passioni. Ma quando si arriva a un livello di competizione così alto, come ha già detto il presidente della federazione mondiale di atletica, Sebastian Coe, bisogna dotarsi di regole più precise e trasparenti, evitando di commettere il grande errore di esprimere valutazioni rimanendo alla superficie del problema».Qualcuno ipotizza la creazione di nuove categorie agonistiche, oltre alle gare maschili e femminili, per chi possiede livelli ormonali fuori dalla norma, o per il mondo intersex e transgender.«Sono casi molto diversi. Non so fino a che punto, in competizioni di questo livello, si possa invocare il principio delle libere scelte individuali. Con tutto il rispetto del mondo, mi riesce difficile immaginare che in ambito sportivo si possano declinare più generi, al di là di quello maschile e femminile».Lei si tufferebbe nella Senna, come viene richiesto ai nuotatori olimpici?«Loro si sono fatti sentire, ma non avrebbero potuto rifiutarsi di gareggiare. La Senna è meravigliosa dal punto di vista paesaggistico, ma non è un luogo adatto per nuotare. Tantomeno a livello olimpico, ma ormai è cosa passata. Io un bagno nel Tevere l’ho fatto venti anni fa, involontariamente, rovesciandomi da un canoino. Qualche bracciata e sono risalito, mi è andata bene. Tra la Senna e il Tevere non ho visto grandi differenze, almeno nel colore dell’acqua».Le «Macroniadi», come qualcuno le chiama, sono un fallimento organizzativo?«Le Olimpiadi sono affidate a un comitato organizzatore che va al di là del governo della nazione che le ospita. Il dominus resta il Comitato olimpico internazionale. Di questa edizione resteranno nella memoria i risultati, le storie di atlete e atleti e il ricordo di suggestivi luoghi iconici diventati impianti sportivi a cielo aperto. Ma chiusi i Giochi, non resteranno nuove strutture sportive, soprattutto nelle periferie sofferenti. Ho visto una Parigi spaccata in due: una che sorride per il grande avvenimento, e l’altra che continua la sua vita, segnata da mille difficoltà».Come giudica la cerimonia di apertura, così «variopinta», che ha causato le reazioni del Vaticano?«Credo che quella cerimonia non abbia rappresentato appieno lo spirito olimpico, soprattutto quel senso della “comunione” che dovrebbe essere il primo elemento da valorizzare. Sfilare, peraltro non tutti, in modo disarticolato e in tempi così lunghi, è ben altra cosa rispetto al ritrovarsi tutti in un luogo, nello stesso momento, come nelle aperture delle altre edizioni dei Giochi. Gli atleti sono stati marginali, incidentali rispetto alle coreografie, con i rispettivi significati, che da collaterali sono diventate centrali».Si riferisce ai contenuti sui diritti civili?«Sì, un corollario di contenuti che poi è diventato invadente rispetto alla cerimonia. Non discuto quei messaggi in quanto tali, ma non mi è piaciuta la mancanza di rispetto nei confronti della tradizione olimpica, dei valori tradizionali. L’inclusività è un valore irrinunciabile, ma ho l’impressione ci sia stata qualche “fuga in avanti” di troppo».Dopo la disfatta agli Europei, il calcio italiano è da rifondare, sotto ogni punto di vista? «Non esistono formule magiche, ma intanto devono cambiare alcuni presupposti del sistema. Per questo ho appoggiato l’emendamento sulle rappresentanze calcistiche, anche se lo considero solo un primo passo di un processo che deve portare a perseguire in modo più efficace obiettivi sociali e competitivi. Sul piano tecnico, mi aspetto molti cambiamenti a livello di protocolli formativi per le scuole calcio, un’anticipazione anagrafica per il campionato Primavera, una ridefinizione degli organici delle seconde squadre, con meno fuori quota e più giovani italiani, e una più chiara missione sportiva affidata alle Leghe e ai rispettivi campionati. E vorrei si apprezzasse di più il talento dei singoli calciatori, troppo spesso sacrificato sull’altare degli schemi, che tolgono l’anima al calcio. Sono tutte cose che all’estero hanno già fatto: dobbiamo solo avere l’umiltà di imparare, contestualizzare e applicare. Per poi ripartire».
Luca Zaia intervistato ieri dal direttore della Verità e di Panorama Maurizio Belpietro (Cristian Castelnuovo)
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